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SOURDELINE Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Prima della recente ristampa da parte dell’etichetta Guerssen, i due album dei Sourdeline, “La reine blanche” del 1976 e “Jeanne d'Aymé” del 1978, erano delle perle riservate a pochi fortunati. La loro musica, paragonabile per diversi aspetti a quella dei connazionali Malicorne, torna finalmente a disposizione di tutti quelli che hanno amato ed amano il prog folk francofono. Non tutti sanno però che il gruppo si è riformato e sta addirittura preparando qualcosa di nuovo. Abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere, fra passato e futuro, con Jean-Pierre Danìelsen, uno dei fondatori e principale artefice della rinascita della band.


Cosa spingeva negli anni Settanta un ragazzo a suonare musica folk? Cosa ti affascinava di questa musica?

Innanzitutto vogliamo ringraziarvi per l’interesse verso la nostra musica… Negli anni Sessanta, come la maggior parte dei giovani dell’epoca, ascoltavo musica rock e poi ho scoperto abbastanza presto il blues e la musica folk americana. Sono stato così molto appassionato di Donovan: avevo notato che cantava due canzoni di un certo B. Jansch. Nel 1966 o 67 ero a Londra e ho comprato un po’ per caso l’LP "It dont bother me" di Jansch. Credo che questo acquisto abbia molto influenzato tutto il resto della mia vita. Sono stato allo stesso tempo affascinato dal suo modo di suonare la chitarra e dalle sue canzoni. In seguito ho acquistato tutti gli LP di Bert Jansch che ho potuto trovare. Nel suo terzo LP tutte le canzoni sono delle arie tradizionali inglesi. Penso che sia stato ascoltando il disco che ho avuto voglia di provare a fare qualcosa a partire dalla musica tradizionale francese.

Come mai dopo tanto tempo dall’uscita dei due album dei Sourdeline ti sei deciso a rimettere in piedi il gruppo?

Per me i Sourdeline erano solo il ricordo di un’altra vita. Non ho più ascoltato i nostri dischi per trenta anni e poi un giorno il mio figlio più giovane è riuscito a convincermi a mettere i Sourdeline su MySpace… Siccome non sono molto bravo in informatica è lui che ha creato la nostra pagina. In poco tempo ho constatato che c’era molta gente che diventava nostra amica su MySpace… e che conosceva la nostra musica soprattutto in Inghilterra e negli Stati Uniti, cosa che mi ha sorpreso. In particolare ho ricevuto un messaggio da Margaret Ayre del gruppo Fernknight che mi diceva che il gruppo era grande fan dei Sourdeline. In seguito sono stato contattato dall’etichetta Guerssen per la ristampa dei nostri due LP, era stata Margaret che aveva fatto conoscere loro la nostra musica. E’ in questo modo che mi è venuta l’dea di riformare i Sourdeline.

Ho visto che hai registrato di recente alcuni pezzi in duo con Catherine Burban e in un certo senso potrebbe sembrare un ritorno alle prime origini dei Sourdeline. Hai provato a riunire anche altri membri della band originaria e come hanno preso la proposta di ritornare in scena?

Ero rimasto in contatto con Catherine… perché siamo sposati da molti anni… e con Jean-Pierre Dallongeville che è un amico d’infanzia che abita a quindici chilometri da casa mia, ma ho perso di vista tutti gli altri membri del gruppo. Ho provato a prendere contatto con loro tramite internet ma non ho potuto ritrovare le loro tracce. Ho domandato a JP Dallongeville se voleva tornare a fare della musica con noi ma per sue ragioni personali non ha potuto unirsi al gruppo. Tuttavia era molto contento della ristampa dei nostri dischi e ogni volta che abbiamo fatto dei concerti nella nostra città è venuto ad ascoltarci.

Secondo te perché i Sourdeline non hanno avuto tanto seguito come altri gruppi, come i Malicorne?

Prima di tutto perché non siamo bravi quanto loro. Quando riascolto i dischi dei Malicorne mi rendo conto che erano prodotti molto bene. Il suono è eccellente così come la scelta delle canzoni e la loro resa finale. Hugues de Courson, il loro prima bassista, che era anche il produttore, faceva un lavoro di grande qualità. Noi eravamo in una label molto piccola che non aveva molti mezzi finanziari. Il nostro primo disco è stato registrato in tre giorni, in un piccolo studio, su otto tracce. Il secondo è stato registrato in sette giorni, più un altro giorno per il mixaggio. Ma comunque ci è mancato un produttore per dirigere le sedute di registrazione. Me ne rendo conto riascoltando i nostri dischi. Oltre a ciò credo anche che siamo arrivati anche sulla scena folk francese un po’ tardi, dato che il nostro primo disco è stato registrato nel 1976 proprio all’apogeo del folk in Francia che nel 1980 era già quasi esaurito. Forse anche la musica che suonavamo non corrispondeva a ciò che il pubblico di quell’epoca si attendeva da un gruppo folk francese. In più non siamo mai stati a nostro agio sui grandi palchi e nei festival importanti. Per contro abbiamo fatto dei concerti molto belli in piccole sale dove potevamo suonare in versione acustica, senza amplificazione.

Secondo te suonare nell’Île de France è stato per voi svantaggioso, rispetto a gruppi che appartenevano a scene folk che avevano qualcosa da rivendicare come la Bretagna, l’Occitania o l’Alsazia (non so se conosci una canzone dei Machin che recita “Moi, je suis un folkeux, / Je suis pas breton et le regrette un peu”)?

Non lo so. Molti gruppi tra i più conosciuti in verità abitavano a Parigi o nella regione parigina. Come ogni abitante della regione parigina hanno tutti un nonno o una nonna originari della provincia. Tuttavia le tradizioni folkloristiche non sono rimaste vive se non in certe regioni e in particolare in Bretagna. All’inizio degli anni Sessanta i giovani non si interessavano al folklore, credo anche che trovassero questa musica un po’ ridicola. Se mi avessero detto quando avevo 14 o 15 anni che un giorno avrei suonato della musica tradizionale francese non ci avrei creduto. Infatti l’interesse per questo tipo di musica è arrivato dopo le rivolte del ’68, credo che sia stata la scoperta del folk americano che ha fatto riscoprire ai giovani le proprie musiche tradizionali; in realtà tutti i musicisti folk francesi hanno cominciato suonando dalle canzoni di Dylan al blues alle canzoni di Pete Seeger. Pertanto era più facile per quelli nati in una regione della Francia dove la tradizione era ancora viva riappropriarsi di questa musica.

Nella vostra biografia ho letto che avete preso diversi pezzi dal libro di Joseph Canteloube, come era il vostro approccio ai pezzi tradizionali? In che modo avveniva la ricostruzione del pezzo e come realizzavate gli arrangiamenti?

Una parte del nostro repertorio viene dai libri di Canteloube o da libri scolastici di musica per ragazzi dai dieci ai quattordici anni o ancora dalle canzoni che avevamo sentito cantare da altri musicisti. In principio cominciavo a lavorare alla canzone con Catherine poi domandavo un parere agli altri membri del gruppo: se gli piaceva ognuno lavorava a casa sua e dopo ci si rivedeva per la messa a punto. Ci ritrovavamo una o due volte la settimana. I week-end quando non avevamo concerti andavamo da JP Dallongeville, che aveva una casa piuttosto grande per accoglierci tutti, per lavorare insieme. Si suonava e si risuonava la canzone fino a che il risultato non ci piaceva. Dato che non sapevamo all’epoca né leggere molto bene né scrivere la musica si faceva ad orecchio. Ciò che dava problemi talvolta problemi a Pascale, la violinista del nostro primo LP, che aveva una vera preparazione classica. All’inizio si trovava male a suonare senza partiture ma ha finito per abituarsi al nostro modo di lavorare. Mi ricordo che per "Le château de Chantelle" aveva delle difficoltà per le parti di violino, in effetti avevamo messo in piedi questo pezzo prima che lei entrasse nel gruppo e sono stato io che avevo messo a punto le parti di violino. Ma ero un violinista molto scarso. In effetti avevo composto sulla chitarra e poi cercato di riprodurre le note sul violino. Fortunatamente abbiamo reclutate Pascale perché suonavo veramente male il violino. Con Catherine e JP Dallongeville avevamo già suonato spesso insieme, cosa che rendeva più facile il lavoro. Ognuno sapeva in anticipo ciò che doveva fare, in particolare per le armonie vocali. Siccome non avevamo molti strumenti a nostra disposizione, si provavano molte combinazioni di strumentazione e quando il suono ci piaceva si conservava la formula. Come potete vedere il nostro metodo di lavoro era molto empirico.

Come mai avete preferito un approccio più libero e personale a quello più tradizionalista, come poteva essere per esempio quello dei Mélusine?

Mi piacciono molto la storia e le scienze la studiano. Amo fare delle ricerche sulle società passate e antiche ma per ciò che concerne la nostra musica il nostro scopo non era quello di fare dell’etno-musicologia né di riproporre la musica dei nostri antenati ma di suonare “la nostra musica” come noi la sentivamo. Le arie tradizionali non erano infatti che un supporto. Penso che fosse così per tutti i gruppi folk progressivi. In quanto musicista il lato passato del folklore non mi ineterssava. Era più gratificante per me immaginare una musica “tradizionale” anche se non assomigliava alla musica tradizionale reale.

Come è avvenuto che nel vinile originale di “Jeanne D’Aymé” il lato A ed il lato B vennero invertiti rispetto alle vostre intenzioni?

A dire il vero non me ne ricordo più… ma credo che non sia stato un errore e che noi avessimo voluto che fosse così. La parte del disco che preferivamo e che per noi era la più importante era il lato B… e mi domando tutt’ora perché avevamo deciso di mettere la nostra suite "Jeanne d'Aymé" sul lato B. Perché tutto il lato B è un’unica storia. Avevo trovato un canto della raccolta Rouergue che raccontava gli amori sfortunati di Jeanne d'Aymé e di un principe (la leggenda dice che si tratterebbe del futuro Enrico IV) ma la musica non aveva che sei battute ed era piuttosto monotona. Ma mi piaceva molto il testo. A partire da questo testo abbiamo composto quattro canzoni (infatti il testo della quarta "Jeanne d'Aymé" non fa parte dell’originale: abbiamo inventato noi una fine a questa storia) intervallandole con delle parti strumentali. Penso che sia la miglior cosa che abbiamo fatto. All’epoca dei vinili non era grave perché si poteva cominciare l’ascolto di un disco dal lato B. E’ per questo che quando i nostri dischi sono stati ristampati dalla Guerssen ho voluto che il CD iniziasse dal lato B.

In “Jeanne D’Aymé” il vostro sound ha acquisito qualche tocco elettrico, è diventato meno stratificato e più malinconico, come mai questa trasformazione?

L’album "Jeanne d'Aymé" corrisponde in effetti a ciò che io volevo fare a quell’epoca. Abbiamo utilizzato un basso elettrico per dare un po’ più di profondità al nostro suono perché trovavo che il nostro primo disco mancasse di suoni gravi. Utilizzavamo molti strumenti su registri piuttosto acuti e medi, un basso avrebbe permesso di metterli più in rilievo. C’è anche un po’ di chitarra elettrica ma questa non ha una parte molto importante, parlando del disco, e penso che avremmo potuto farne a meno. Non ho mai amato suonare la chitarra elettrica, preferisco la chitarra acustica e non amo veramente le parti di chitarra elettrica che ho suonato su questo disco. Inoltre avevo all’epoca una pessima copia di una SG Gibson e il suono non era troppo buono. Fortunatamente la chitarra elettrica è molto discreta, giusto per dare un colore un po’ differente. Tutta la facciata B del vinile racconta la storia di Jeanne d'Aymé, come ho detto prima. Avevamo lavorato molto per questo disco. Volevamo fare qualcosa di originale, a partire dalla musica tradizionale, provando a evitare al massimo tutte le influenze rock o anche folk rock ma non volevamo neanche avere un suono “tradizionale”, senza ghironda, senza cornamuse e con pochissimo violino… infatti è abbastanza complicato da spiegare e mi domando adesso se noi sapessimo ciò che volevamo fare. In più credo che all’epoca non fossimo dei musicisti così bravi da realizzare ciò che avevamo in mente di fare. Ma malgrado numerosi difetti amo molto il lato B di “Jeanne d'Aymé” perché infatti non avevamo avuto che una settimana in studio per registrare questo disco e una giornata in più perché non avevamo avuto il tempo di finire il mixaggio. Non avevamo l’esperienza del lavoro in studio e ci sarebbe voluto più tempo per il mixaggio e per la scelta degli effetti ma la nostra etichetta Discovale non era molto ricca e non poteva accordarci più tempo. Questo album non ha avuto molto successo, Discovale aveva a quell’epoca problemi di distribuzione e nessun mezzo per la promozione. E “Jeanne d'Aymé“ è purtroppo passata inosservata. Oltre a ciò i pezzi erano abbastanza difficili da rifare in scena, avevamo troppi cambi di strumentazione in ogni canzone, numerose parti erano sovraincise anche tre volte e senza una buona sonorizzazione e un buon fonico (e noi non avevamo né l’uno né l’altro) il risultato era assai mediocre. Se avessi la possibilità mi piacerebbe molto rifare “Jeanne d’Aymé“ con i mezzi attuali e tutta l’esperienza che ho acquisito in questo tempo… ma purtroppo non si può rifare il passato…

La differenza fra i Sourdeline ed i principali gruppi prog-folk che suonavano all’epoca?

Non lo so… sta a quelli che ci hanno ascoltato dircelo. Ma credo che facessimo parte dei gruppi meno elettrici fra quelli prog-folk francesi. Mi sembra anche che siamo stati i soli ad utilizzare un sitar e ad avere delle tablas indiane come percussioni principali. Infine il nostro gruppo era molto influenzato dai Pentangle, in particolare nel nostro secondo disco, mentre molti gruppi prog-folk francesi mi sembra che si siano molto ispirati agli Steeleye Span. Riascoltando i nostri dischi mi sono reso anche conto che le percussioni avevano una grande importanza nel nostro suono. I gruppi folk-prog dell’epoca non utilizzavano molto le percussioni o meglio avevano la batteria.

Che rapporti c’erano con gli altri gruppi folk? Di cooperazione, di rivalità o avevate invece poche occasioni per confrontarvi?

Non abbiamo avuto molti contatti con altri gruppi e lo rimpiango. Ci si incrociava ai festival o anche ai concerti e questo è tutto. In più c’era molta rivalità trai gruppi tradizionalisti e quelli progressisti. Del resto non ho conservato alcun contatto con i musicisti che ho incontrato all’epoca.

A parte i Sourdeline i tuoi gruppi folk francesi (e non) preferiti?

Il mio gruppo preferito è quello dei Pentangle. Sono un fan assoluto di questo gruppo. Devo avere tutti i loro dischi. Quello che loro hanno fatto non è mai stato uguagliato. Bisogna dire che questo gruppo era composto da musicisti eccezionali. Il mio gruppo preferito di folk francese è quello dei Malicorne. Devo avere due o tre vinili. Il loro lavoro è sempre impeccabile. Mi piacciono anche parecchio la voce di Gabriel Yacoub e la qualità dei loro arrangiamenti. Amo soprattutto i loro primi album, i due o tre successivi mi sembrano meno interessanti.
Per quel che riguarda i gruppi recenti attraverso internet ho scoperto molti buoni gruppi. I miei preferiti sono senz’altro i nostri amici Fernknight, un gruppo americano di Washington e Philadelphia piuttosto folk-rock gotico-progressivo. Un altro gruppo americano che amiamo molto sono gli Arborea e c’è anche un gruppo inglese chiamato The Hare and the Moon. La loro musica è piuttosto strada e il loro modo di interpretare le arie tradizionali inglesi è molto interessante. Infine un gruppo italiano che amo molto ma che credo non esista più sono i Silverea's Daffodils che facevano delle ottime cover dei Pentangle e avevano delle buone composizioni. Ma amo anche il jazz rock, il blues e il country ma sarebbe molto lungo da raccontare.

Cosa stai facendo ora con i Sourdeline e che progetti hai per la tua rinata creatura?

Abbiamo più o meno riformato i Sourdeline e abbiamo fatto qualche concerto, ma in duo non è molto facile rifare la musica che abbiamo suonato trenta anni fa. Per contro prepariamo un nuovo disco per una label indipendente inglese, Folk Police Recordings, specializzata nella musica folk inglese. Hanno degli ottimi dischi nel loro catalogo e invito tutti a consultare le loro produzioni, veramente eccellenti. In questo disco ci sarà qualche canzone che abbiamo registrato in passato con i Sourdeline e qualche canzone che abbiamo suonato all’epoca ma che non si trova nei nostri album. Ciò che mi eccita di più è che questo disco sarà realizzato con la partecipazione di numerosi amici. Margaret e Jim Ayre, sono veramente molto onorato che abbiano accettato di partecipare a questo disco e li ringrazio molto. Margaret suonerà il violoncello e spero anche che canterà perché amo molto la sua voce, Jim si occuperà delle percussioni e probabilmente della chitarra elettrica. Ci sarà anche un altro amico Eric Guilletton, un cantautore, e il mio figlio minore Dorian, anche lui alle percussioni e forse anche altre amici che non ho avuto ancora il tempo di contattare. Il lavoro è un po’ complicato da organizzare. Con Margaret e Jim tutto si farà tramite web, cosa che mi fa un po’ paura, perché non padroneggio molto bene l’informatica ma è veramente un progetto entusiasmante quello di fare un disco dfa una parte e dall’altra dell’oceano con musicisti di generazioni e culture musicali differenti. E’ veramente un bel progetto e ringrazio molto la Folk Police Recordings di avermi proposto quest’idea. In più ho appena saputo che JP Dallongeville, che è con Catherine e me un membro fondatore dei Sourdeline, ha acconsentito a partecipare a questo disco e questa è veramente una buona notizia…

Regalaci per finire quello che secondo te è il più bel ricordo con i Sourdeline.

In effetti ho molti buoni ricordi con i Sourdeline. Innanzitutto le nostre tournée in Bretagna organizzate dal nostro amico Etienne Tison. Tra il 1976 ed il 1979 andavamo due o tre volte l’anno a suonare in Bretagna. La maggior parte dei concerti avevano luogo in dei caffè, l’ambiente era sempre fantastico. Il nostro amico Etienne abitava allora in una vecchia fattoria vicino a Concarneau. Durante le tournée c’era sempre un concerto nel piccolo vecchio magazzino della sua fattoria, il terreno era ancora in terra battuta, gli spettatori erano seduti per terra e credevamo di essere cento anni indietro nel tempo. C’era sempre un’atmosfera straordinaria, molti musicisti folk dell’epoca hanno suonato in questo magazzino e penso che tutti ne conservino un’ottima memoria. Un altro ricordo musicale: era, credo, il 1978. Noi allora eravamo solo tre, Dallongeville, Catherine ed io e suonavamo per la festa in una città della banlieue parigina, credo che fosse Montreuil ma non ne sono sicuro. Eravamo in procinto di cantare una canzone tradizionale "Ma ceinture de laine" (era quello che si dice uno chant à réponse, è molto ripetitivo). E’ una canzone che veniva interpretata senza strumenti, quando all’improvviso arriva da una strada di fronte a noi una fanfara molto conosciuta all’epoca, gli Urban Sax, composta da una cinquantina di sassofoni. Sfilando davanti a noi si sono poco a poco adattati al ritmo e alla tonalità della nostra canzone e un passo alla volta sono arrivati api piedi del palco. Abbiamo terminato questa canzone, peraltro molto tradizionale, accompagnati da una cinquantina di sassofoni free-jazz. L’ultimo bel ricordo con i Sourdeline è quando ho ricevuto una mail da Margaret dei FernKnight che diceva che lei e tutti i suoi amici amavano moltissimo questo gruppo e che facevamo parte delle loro fonti di ispirazione. Io allora pensavo che quasi nessuno conoscesse i Sourdeline, credevo che i Sourdeline fossero più o meno un fallimento… allora quando ho visto che trenta anni dopo delle eprsone conoscevano ancora la nostra musica e la amavano mi sono improvvisamente sentito assai fiero di ciò che avevamo fatto all’epoca. Ecco è tutto. Grazie di averci accolto e di averci letto.


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