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BACIO DELLA MEDUSA (IL) Jessica Attene & Alberto Nucci
 

Corsi e ricorsi storici: correva l’anno 2009 quando per la prima volta abbiamo incontrato, nei pressi di Perugia, Simone Cecchini che ci parlava di quel "Discesa agl'Inferi d'un giovane amante", secondo album in studio de Il Bacio Della Medusa, che tanto ha entusiasmato il mondo del Prog, non solo in Italia. Simone ci ha parlato di sogni, progetti e anche della sua vita personale. Lo ritroviamo nello stesso posto, a Tuoro Sul Trasimeno, con qualche anno di più sulle spalle, con un’esperienza che ha rafforzato le sue doti artistiche, uno splendido nuovo album, nuovi progetti e vecchie illusioni. Sono felice di condividere con voi la nostra chiacchierata


La prima domanda è forse un po’ scontata perché riguarda una critica che ho mosso nella recensione del vostro terzo album, “Deus Lo Vult”, e riguarda cioè la sua durata piuttosto contenuta, appena trentatré minuti in tutto: è stata una scelta precisa? Come rispondi alle mie critiche?

Ho capito subito dove voleva andare a parare questa domanda anche perché è un’osservazione che hanno fatto in molti. Se faccio un disco Progressive, e questo lo dico in tono polemico, lo faccio anche perché è un mercato che mi permette di essere libero di esprimermi, quindi la libertà di espressione si applica a tutto, nell’utilizzo dei testi, negli arrangiamenti, ecc. Dal momento che non dobbiamo confrontarci con delle richieste di mercato particolari, a maggior ragione io e gli altri non ci siamo assolutamente resi conto che il disco sarebbe andato a finire a soli trentatré minuti. Il disco, per quello che è l’opera in sé stessa, scorre bene e semplicemente si svolge in quella durata. Come dire che “Il vecchio e il mare” è un libro corto. Quando si scrive un libro o si realizza un disco non ci si pone il problema della lunghezza. Quindi il disco è di quella durata lì.
Il discorso della lunghezza dei dischi non me lo sono mai posto anche perché molti dei miei dischi preferiti sono tutti attorno ai trentacinque minuti e quindi è un problema che per me non esiste.

Vorrei sapere qualcosa di più sul protagonista del tuo album: chi è questo Simplicio? Ti sei ispirato a una persona precisa? Si tratta di un personaggio astratto? E soprattutto perché hai scelto una specie di antieroe in un ambito glorioso come quello delle crociate?

Simplicio è un personaggio totalmente inventato. Volevamo crearlo partendo dal presupposto che fosse un signorotto delle nostre zone, una specie di Brancaleone che va alle Crociate. Il lieto fine non ci poteva stare: volevamo rendere la convinzione di avere un’ambizione giustificata dalla fede, di fare un’opera di bene, strappando le terre agli infedeli, associata però al vantaggio di guadagnarsi un dominio. A sottolineare la beffa alla fine della storia Simplicio trova addirittura la sua dama fra le braccia di un prete. La morale è che tutto quello per cui aveva lottato gli si è rivoltato contro alla fine. Questo Simplicio non deve essere interpretato come un personaggio particolare che possa essere ricondotto a una persona reale. La nostra idea è quella di esporre il concetto che al mondo di Crociate se ne fanno tante, se ne fanno anche attualmente, giustificate in diversi modi. Una volta c’era la fede e la riconquista delle terre e adesso c’è il concetto di democrazia o di civiltà. Non è mio interesse fare politica ma alla fine il concetto è che tutte queste lotte in nome di qualcosa sono in fondo deleterie e nascondono l’arrivismo personale di ciascuno.

Dal punto di vista stilistico questo nuovo album mi sembra molto più vario rispetto ai precedenti. Ogni canzone è praticamente diversa dall’altra e anche dal punto di vista canoro c’è una varietà più marcata rispetto al passato. Come siete arrivati a questo risultato?

Mi sono sempre reso conto -parlo da cantante- di come fosse difficile, nell’ambito di un certo genere musicale, impreziosire la parola con un cantato che esaltasse anche i virtuosismi della parola stessa. Se devo andare a cantare cover so per esempio che posso cantare dalla canzone dei Queen fino alla canzone dei Creedence Clearwater Revival. Ho sempre avuto questa particolarità di avere una voce che si adatta a diverse situazioni, cosa che non emerge molto nell’ambito del Bacio Della Medusa. Molti che mi conoscono al di fuori del Bacio sanno di questa cosa. Era mio interesse quindi esaltare il virtuosismo del canto anche per dimostrare di saper fare più cose. Non so se ci sia riuscito o meno ma qualcuno ha captato questa cosa. Mi è capitato per esempio di avere un commento positivo dal vecchio violista del Bacio Della Medusa, Daniele Rinchi, col quale siamo rimasti in ottimi rapporti. Mi ha mandato una mail bellissima in cui dice che gli è piaciuta in particolare la mia voce polimorfa. Questo per me è stato un grande complimento perché voleva dire che il messaggio è arrivato anche a chi ha ascoltato il disco, detto poi da una persona critica come Daniele mi fa particolarmente piacere.
Se vogliamo esaminare le canzoni una per una, in “L’invocazione alle muse” ci sento dentro un po’ i Genesis, per come l’ho cantata, e qualcuno ha detto persino Rino Gaetano. Il secondo pezzo, “Indignatio”, è più urlato e potrebbe essere più hard rock. “Urbano II” è recitata e riascoltarla mi fa quasi un effetto strano per il suo stile più teatrale che cantato. “Simplicio” per me è una canzone pop a tutti gli effetti. All’inizio avevo usato un altro testo. Federico amava questa canzone in particolar modo e ha voluto che la mettessimo nel disco riadattando il testo originale che comunque era molto simile: si chiamava “Storia di fine Maggio” ed era sempre la storia di una persona che andava in guerra ambientata in un contesto storico differente ma che calzava molto con la vicenda. “Deus Lo Vult” sicuramente è quasi metal, per quanto sia chiaro che questo genere non è mai stato nelle mie corde. In “Verso Casa” e “La Beffa” torna ancora il recitato. Di questa interpretazione, ti dico la verità, sono abbastanza soddisfatto. Dico “abbastanza” perché in effetti non sono mai del tutto soddisfatto e se avessi avuto più tempo e risorse economiche a disposizione avrei potuto fare le cose anche in maniera diversa. Comunque sia il pubblico ha colto questo aspetto e cioè che la voce non era messa lì a caso.

Senza nulla togliere al precedente album, devo dire che in “Deus Lo Vult” si nota una certa crescita, come se la realizzazione di questo album fosse avvenuta in maniera più decisa. Quali sono gli errori del passato da cui avete imparato e cosa avete perfezionato?

Gli errori non sono in realtà errori. Quelli che chiami errori sono nati dall’avere delle energie immense da canalizzare: è come avere un fiume in piena da far confluire in un torrentello strettissimo. Nel primo disco c’era tanta carne al fuoco e nacque soprattutto dall’esigenza di doverci creare un repertorio live tale da permetterci di costruire uno stile e una veste da proporre al pubblico. L’esigenza del secondo disco era quella di voler fare qualcosa che altri hanno fatto prima di te e nel nostro caso bel disco concept progressivo e secondo me ci siamo riusciti: “Discesa agl’Inferi” è stata considerata da tanti come una delle cose più belle fatte negli ultimi anni. Il terzo disco lo abbiamo fatto più a colpo sicuro perché, superati i gradini del primo e secondo disco, tutti gli altri che vengono diventano semplicemente l’espressione del momento in cui li concepisci. Volevamo fare un disco che si distaccasse un po’ dagli album concept (e anche per questo la durata non è magari quella di sessanta minuti) e che dimostrasse che sapevamo fare anche altre cose. Per questo si avvicina alle estremità hard rock ma anche del metal che è una componente che comunque è presente all’interno del gruppo: Federico, il bassista, e Diego in passato hanno suonato metal mentre io mi avvicino a questa tendenza con un rock più viscerale che può essere quello dei Deep Purple o quello dei Led Zeppelin. Dall’altra parte c’era anche l’esigenza di toccare la sfera che mi riguarda che è quella più cantautoriale e anche quella di Simone Brozzetti, il chitarrista, con un rock-blues che si può sentire anche negli assoli di chitarra su “Simplicio”. Ci sono dei particolari che richiamano qualcosa del glam rock, con quei bending messi lì a ricamare sulla musica e anche sul finale le note scandite sembrano quasi qualcosa alla David Bowie, alla Mick Ronson. Il tutto con i fiati di Eva che lasciano sempre in trasparenza quello stile un po’ progressivo. Questa sicurezza quindi è data dal fatto che ci siamo sentiti svincolati da certi obblighi e mentalmente più liberi. Ci siamo sentiti quindi mentalmente più liberi.

Per quanto riguarda anche i dettagli tecnici, e non da un punto di vista strettamente artistico, cosa è cambiato?

Quando abbiamo registrato il primo disco avevo già un’esperienza in studio di registrazione, anche se si trattava di progetti diversi, avevo diciassette anni. Uno di questi coinvolgeva anche Federico: la prima volta abbiamo registrato in presa diretta ma si trattava di una specie di pop-rock che poteva essere prodotto da quattro ragazzi alla metà degli anni Novanta. Il primo disco aveva un budget limitato, col fonico che cercava per questo sempre di stringere i tempi. Se tornassimo indietro lo registreremmo sicuramente in maniera differente. Il secondo disco è stato registrato con uno step superiore e un minimo di consapevolezza la avevamo. La mole di lavoro è stata enorme e ci ha tenuti occupati dal Settembre del 2005 al Maggio del 2006. Con l’ultimo disco siamo entrati in studio già con le idee chiare su quello che andavamo a registrare. Le idee chiare le avevamo anche su come impostare il lavoro, poi è normale che ci siano anche delle variabili che vengono fissate in studio.

Per quanto riguarda invece il cambio dell’etichetta discografica, che scelte ci sono state alla base di questo cambiamento?

Non è stata una scelta di cambio di etichetta quanto piuttosto una scelta di voler svincolarsi da quella che era una discografia che secondo noi non ci dava delle possibilità per le quali valesse la pena avere dei legami, sia a livello discografico che a livello fisico. Abbiamo optato per l’autoproduzione guidata da Glare Art nella persona di Licia Marino che si era proposta a noi per questo suo progetto che reputavamo interessante; poi però ci sono state delle incomprensioni con alcuni componenti del gruppo. Ci siamo ritrovati di punto in bianco il disco distribuito da BTF e al momento così è e vedremo per il futuro quello che verrà fuori. Fatto sta che ci troviamo in un momento particolare perché era già stato deciso a priori che ci saremmo dedicati tutti quanti a nostri progetti personali, cosa che avevamo già fatto alla fine della “Discesa Agl’inferi” e credo che sia una cosa produttiva perché certe esperienze servono sempre. Poi non coltiviamo in musica una monogamia tale da precludere libertà espressive individuali: Federico ed Eva hanno un loro progetto, io ho un altro mio progetto e in questo momento ci stiamo dedicando a queste cose. Sicuramente verrà qualcosa sia per quel che riguarda la stampa in vinile di “Deus Lo Vult” che per la ristampa degli altri dischi ma ancora sono cose da definire. Al momento ci riteniamo ancora liberi a livello discografico.

Quindi la scelta è dovuta al fatto di volere un’indipendenza artistica, di staccarsi da una certa immagine?

Sia un’indipendenza artistica ma anche se vogliamo fisica. Quando ho parlato di dipendenza fisica, ai nostri livelli purtroppo questa esiste perché nella discografia che riguarda il mondo del Progressive non c’è nessuno che ti produca un disco mettendoti a disposizione, pagandotelo, uno studio di registrazione e tutto il resto. Alla fine l’etichetta acquisisce un prodotto finito che nei vari passaggi intermedi non è nemmeno stato mai visionato e giudicato da una produzione artistica. Dal momento che l’etichetta non entra in gioco nel processo di produzione e investe solo sul prodotto finito, sulla stampa abbiamo deciso alla fine di pagare da noi anche quest’ultimo passaggio, che in questo caso specifico è stato finanziato di tasca sua da Licia Marino che ha deciso di fare questo investimento prima ancora di vedere il guadagno, cosa rara di questi tempi. Il progetto era quello di portare un gruppo di qualità che non appartenesse agli stereotipi commerciali attuali, di mettergli a disposizione un’immagine adeguata e di catapultarlo su emittenti televisive e radio attraverso relazioni di mercato sperimentali. Al momento abbiamo fatto un passo indietro perché il disco è distribuito da BTF ed è stato quindi ricollocato in un’orbita standard classica che è quella dell’etichetta progressive.

Ci dai qualche tua impressione sul Prog Exhibition, al quale avete partecipato, che si è tenuto il 21 Ottobre del 2011 a Roma e che ha visto uniti in due serate tanti gruppi storici del prog?

Le impressioni sono state positive e tutto sommato ci siamo divertiti. E’ stato un onore suonare a fianco di quelli che erano i nostri miti di gioventù. Credo che sia un traguardo ambito da tutti i musicisti che militano nel genere. Ho visto soprattutto su FaceBook i commenti di molti che lo snobbavano però credo che se alla fine arriva la chiamata non puoi rinunciare: un po’ come Sanremo. Sebbene ci trovassimo ad aprire la seconda serata in un orario in cui il pubblico riteneva di avere la facoltà di partecipare a propria discrezione, con diverse persone sul foyer del teatro tenda a comprare dischi o a prendere un caffè, abbiamo visto che dopo essere partiti col primo pezzo c’è stato un esodo di massa dalla sala di ingresso alla platea di fronte al palco dove suonavamo. Anche se abbiamo suonato per mezz’ora il pubblico si è reso conto che avevamo grinta e molto da dimostrare. Gli altri hanno dimostrato tanto in passato e magari avevano un altro modo di interpretare la serata. Noi avevamo il nostro modo e soli trenta minuti a disposizione: come un giocatore di calcio che non parte titolare dall’inizio ma solo negli ultimi minuti sapendo di poter cambiare le proprie sorti e quelle della partita. Noi ce la siamo giocata secondo me molto bene e anche i commenti sono stati positivi. All’inizio la platea era abbastanza vuota ma il bello è stato vedere che, dopo la prima strofa del “Requiem per i condannati a morte”, la sala si era riempita e io mi sono concesso alla terza canzone di saltare giù dal palco e di farmi tutta la scalinata che passava in mezzo alla platea e sfruttare il momento e lasciare spazio agli altri che facevano un pezzo strumentale, per poi rientrare sul mio cantato. Ho visto che la gente è stata contenta e anche piacevolmente sorpresa. Poi il pubblico è affezionato alle esibizioni degli anni Settanta, logicamente quelli che suonavano e erano di quell’epoca non potevano certamente saltare dal palco come ho fatto io. Poi il bello è stato anche conoscere persone che fanno parte della tua collezione di dischi come Steve Hackett e Franz Di Cioccio. Vedere gente come Sinclair così umana e disponibile te la fa apprezzare anche di più.

Riascoltando il primo disco trovo che dal vivo le canzoni siano molto più efficaci: avete mai pensato di registrarle magari da capo? Se non sbaglio poi c’era in programma anche un disco live…

Secondo me il primo disco, ripeto, doveva essere inizialmente una demo per andare a suonare nei locali. Mentre lo stavamo registrando ci siamo resi conto che stava diventando un disco a tutti gli effetti. Le pecche ci sono, chi fa la musica ce le troverà di sicuro. Se lo riascolto in particolare ci trovo delle atrocità per quel che riguarda la mia voce e cose che non rifarei. Ci sono parti che potevano essere messe più a tempo e peccatucci di gioventù. Posso dire che quel disco è stato suonato nel modo migliore quando c’era Daniele Rinchi: in particolare c’era una versione di “De luxuria, de ludo et de taberna” che era spettacolare, col violino che sentivo esplodere dentro. Andato via Daniele la abbiamo fatta un po’ più gipsy rock, col sax di Eva a quel punto, ma col violino aveva un’anima gitana. Per le canzoni più rock è ovvio, come “Requiem per i condannati a morte” e “Oriente e occidente”, devo dire che la maturità che si acquisisce sul palco alla fine ti fa interpretare l’esecuzione in maniera più spigliata e sanguigna, quindi dal vivo il rock funziona meglio. L’idea di ri-registrarlo c’è stata più volte. Una versione concreta doveva essere quella del concerto di Genova che doveva uscire tramite Black Widow ma per problemi tecnici le cose sono andate per le lunghe e poi è avvenuto il divorzio e quindi resterà da parte per forza di cose. Al momento non c’è la nostra intenzione di convogliare le nostre energie in un progetto del genere anche perché fare un prodotto live non è affatto facile: ci vorrebbe una situazione favorevole sul palco per una perfetta esecuzione che molto spesso non si trova in piccoli concerti, piccoli locali e festival organizzati in maniera grossolana.

Per quanto riguarda i tuoi progetti paralleli si è concretizzato al momento qualcosa?

Si è concretizzato qualcosa con Alfio Costa. Ho partecipato con i DAAL alla cover di “Echoes” che secondo me è riuscita molto bene. Mi è piaciuta anche la voce di Guglielmo Mariotti, bassista dei The Watch nonché ultimamente anche delle Orme. Con Guglielmo e Alfio c’è in attivo anche il progetto dei Fufluns, rimasto un po’ in sospeso ma che ci siamo proposti di finire, anche con Mau di Tollo che ultimamente è stato impegnato col suo disco solista. C’è anche la Collaborazione di Ettore Salati, musicista dell’area milanese molto bravo. Doveva venire fuori un concept, un po’ folk progressivo e teatrale, sulla storia di uno spaventapasseri. Poi, sempre con Alfio e Guglielmo, ho registrato di recente cinque brani che presto verranno pubblicati in un sito. Anche a questo progetto ha collaborato Licia Marino che mi darà un grosso aiuto come art-director. Tra l’altro un aiuto molto grande me lo ha dato Alfio stesso che, oltre a dimostrare di essere un grande musicista, ha dimostrato di essere un ottimo produttore, partecipando alla realizzazione della veste sonora di questi pezzi che gli avevo fatto ascoltare in versione spartana, registrati in modo casalingo con la chitarra. Anche Davide Guidoni mi ha dato una mano ed è stato molto bravo perché i pezzi non sono progressivi ma rock e un po’ cantautoriali, se vogliamo. Guglielmo mi ha dato una mano nei ritagli di tempo, fra un concerto e l’altro delle Orme, registrando i pezzi con un basso costruito da lui stesso che poi ha lasciato alle Orme. C’è anche Stefano Piazzi, chitarrista dei Prowlers, che mi ha meravigliato perché, dopo averlo ascoltato col suo gruppo, non pensavo che si potesse rivelare come una sorta di Keith Richards mancato. Sono rimasto soddisfattissimo e meravigliato dall’apporto di queste persone che suonano brani di virtuosismo eccelso e che poi si abbassano senza difficoltà a creare una struttura più semplice dove si deve innestare il cantato. Questo dimostra che si tratta professionisti a tutti gli effetti i quali in uno spazio ristretto dimostrano di essere grandi facendo delle cose relativamente semplici se rapportate al repertorio loro.

Quindi questi pezzi rimarranno solo in rete o saranno stampati?

Con Licia sto seguendo un progetto che si basa molto sull’immagine e per il momento usciranno sul mio sito web corredati da biografia. Credo di metterli in vendita in formato digitale attraverso vari canali di distribuzione online. Il secondo passo sarà quello di verificare se c’è qualcuno interessato alla produzione vera e propria di questi pezzi altrimenti come sempre me li autoprodurrò assieme ad altre canzoni che ho fatto e fanno parte di questo contesto. Tra l’altro ci sono due brani a cui tengo molto, uno si chiama “La storia di nessuno”, un po’ ironico e autobiografico. Non vedo l’ora che queste cose escano per vedere anche la reazione del pubblico che è abituato a sentirmi soltanto in una veste progressiva che ho sempre detto essere soltanto uno dei miei aspetti.

Il Bacio Della Medusa va avanti?

Il Bacio Della Medusa, ripeto, in questo momento è in stand-by in quanto stiamo valutando le nostre reciproche strade e credo sia giusto così. Non possiamo limitarci a percorrere un’unica direzione con ostinazione e, se vogliamo, anche con la convinzione che sia giusto andare in questo senso perdendo altre possibilità. Mi piace molto condividere quello che faccio con altri musicisti. Questa cosa l’ho fatta anche grazie a voi che mi avete fatto conoscere Alfio Costa. Condividere la musica con altri musicisti è una cosa che ho fatto anche in passato partecipando a Trasimeno Blues, che è un festival abbastanza importante a livello locale, con un gruppo della zona che tra l’altro mi ha dato la possibilità di suonare con un musicista molto bravo e conosciuto negli ambienti del blues. Si chiama Roberto Giuli e mi ha dato un input a migliorare l’uso dell’armonica a bocca che suono sui miei pezzi. Lo stimolo di suonare con gli altri in chiave musicale diversa mi piace molto e mi dà ulteriori spunti per trovare soluzioni con la mia vocalità. Non mi porrò limiti in questo senso, tanto è vero che ho avuto proposte fra cui quella di scrivere i testi per altri gruppi che ruotano attorno al progressive fra cui i DAAL; se mi chiameranno sicuramente accetterò perché si tratterà certamente di un’esperienza stimolante perché sono davvero molto contemporanei.

L’intervista finisce qui ma non la serata che prosegue piacevolmente con pizze fumanti e indiscrezioni che ovviamente ci terremo come segreto… o eventuale arma di ricatto. Visto che non c’è due senza tre ci diamo appuntamento tra qualche anno sulle rive del Trasimeno.


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