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MASCHERA DI CERA, LA La Maschera di Cera
 

Torna dopo tantissimo tempo il nostro speciale 1vs1, non un’intervista ma un gruppo che, alle prese soltanto con sé stesso, autorecensisce i propri album, regalandoci pensieri, ricordi e riflessioni. In questa occasione è La Maschera Di Cera a sfidare sé stessa, forte di un nuovissimo album, “Le Porte del Domani” che già a pochi giorni dalla sua pubblicazione ha scatenato commenti e discussioni. Ma lasciamo la scena tutta per i membri del gruppo: buona lettura!


LA MASCHERA DI CERA (2002)


Alessandro Corvaglia: Al di là del contenuto/concept, segna due importanti passi: uno personale, consistente nel tornare a fare la musica che ho sempre amato, elemento che è risaltato con una sorprendente naturalezza al momento delle registrazioni e dei successivi concerti. L’altro oggettivo, perché “ripresenta” all’attenzione generale un modo di concepire e proporre un Progressive graffiante di matrice italiana dopo anni di silenzio. Fu giudicato d’altronde un grande album di debutto e vi ho sempre visto dentro quella passione istintiva e libera che si esprimeva in modo maestoso.

Mau Di Tollo: Succede che, mentre usciva questo grandioso esordio mascherato, il sottoscritto era ancora invischiato nelle vicende riguardanti le Distillerie Di Malto, la band abruzzese con la quale avevo realizzato l’album “Il Manuale Dei Piccoli Discorsi”. In tutta sincerità, quando ascoltai questa lunga suite per la prima volta mi chiesi “tutto qui?” riferendomi soprattutto all’ingenerosa registrazione che mi affaticava l’ascolto. Fu quando dovetti “studiarmelo” che ne compresi davvero il valore, i riferimenti ma anche una genuina disperazione dark che me lo ha fatto amare totalmente.

Agostino Macor: Debutto difficile ma riuscito. Visto in prospettiva ha tratti un po’ ingenui che non costituiscono però cadute di stile. Il sottoscritto, poco più che ventenne, e il demiurgo Fabio eravamo reduci da una fase di impasse coi Finisterre successiva al tour messicano, in cui la band esplorava territori nuovi con la precisa volontà di affrancarsi dal prog canonico. Paradossalmente oltreoceano percepimmo un certo amore per il dark-prog di matrice italiana, e un po’ per scommessa, un po’ per reazione al periodo difficile della band madre, ci buttammo con passione in questo progetto. I pezzi del disco vennero imbastiti e arrangiati in trio (Macor-Zuffanti-Cavani, con Fabio alla voce!), e registrati poi in studio con il resto della band. Il disco ha un’architettura e un linguaggio abbastanza derivativi, ma un’attitudine e un’energia che ne dichiaravano già il marchio di fabbrica, originale e controcorrente. L’idea di Fabio di guardare al prog “minore” per reinventarlo fece scuola, al tempo fiorivano band dalle sonorità nordiche pulite, sognanti e ipertecniche.

Andrea Monetti: Il primo figlio è sempre speciale.

Fabio Zuffanti: Forse l'album al quale sono più legato tra tutti quelli che ho contribuito a realizzare. Questo disco nasce in un momento particolarmente difficile della mia vita ed è un viaggio catartico agli inferi e ritorno. La canzone “La maschera di cera” è stata la mia prima composizione in assoluto, risale al 1990 e fu spesso eseguita nei concerti dai Calce & Compasso (i pre-Finisterre). Accantonato il pezzo lo tirai nuovamente fuori in occasione del concepimento della band omonima. Siccome tale canzone all'epoca del suo concepimento già aveva contrassegnato un altro momento particolare nella mia vita quale migliore occasione per ri-arrangiarla, ampliarla e aggiungere altri tre pezzi che completassero il concept? Il risultato mi commuove ancora particolarmente quando lo ascolto e credo che MDC abbia da subito messo le carte in tavola riguardo alla propria “ruspanza” nel suonare e nel riportare a galla un certo suono dark e malato proveniente dai primi anni settanta.


IL GRANDE LABIRINTO (2003)


Alessandro Corvaglia: Viene ritenuto da molti il nostro capolavoro. La stretta vicinanza temporale al disco di esordio lo fa considerare come un fratello gemello. In realtà lo ritengo l’evoluzione in direzione dark/psichedelica. Non certo di facile ascolto. Sicuramente disegna una Maschera a mio parere ancora più “introspettiva”, dedita più di prima all’improvvisazione e ai chiaroscuri. Condivido il parere sul fatto che meritasse una maggiore potenza ritmica.

Mau Di Tollo: Rispetto al precedente, ritengo che si sia compiuto un evidente passo avanti. Le composizioni hanno una gamma dinamica più varia, colori diversi. Il tema di oboe nel finale del “Viaggio Nell’Oceano Capovolto parte 2” e il successivo crescendo sul tema ostinato sono, a mio parere, di struggente bellezza. In occasione dell’uscita di quest’album e del tour promozionale, la storia della Maschera di Cera inizia a intrecciarsi con la mia. Non solo quella musicale.

Agostino Macor: Disco vicino al precedente in termini cronologici ma molto lontano come approccio e sonorità. Le atmosfere si fanno ancora più malate e psichedeliche, ai suoni “canonici” si aggiungono esperimenti con attrezzi ed effetti: lo studio divenne un laboratorio, saccheggiammo il parco strumenti residente e anche il cantiere adiacente (trapani e flessibile!). Dal punto di vista compositivo/arrangiativo sono molto soddisfatto di alcune trovate frutto di guizzi improvvisi avuti in studio, come ad esempio “il canto dell’inverno”. E’ il mio disco MDC preferito a tutt’oggi, nel suo complesso. I testi di Fabio si fanno ancora più interessanti del disco d’esordio.

Andrea Monetti: Stupendo e ambizioso.

Fabio Zuffanti: Con il precedente forma un dittico continuando in qualche modo le vicende del tormentato protagonista. Credo sia un album molto denso, particolarmente oscuro e (com'è giusto che sia) labirintico. Mi piace molto per queste caratteristiche e credo abbia contribuito a definire il MDC-universo più di altri. Se dovesse esserci un album quintessenziale per definire il suono MDC direi che è questo. L'unico appunto riguarda la presenza di una ritmica tendenzialmente “jazzy” in un contesto che richiedeva maggior potenza, incisività e grinta, cosa che abbiamo poi raggiunto con il felice ingresso, nel disco successivo, di Maurizio Di Tollo.


LUXADE (2006)


Alessandro Corvaglia: Era il mio preferito fino al 15 gennaio scorso… per la prima volta MDC ha sperimentato una coralità creativa e di arrangiamento e una guida artistica non trascurabile come quella di Franz Di Cioccio. Ha visto peraltro il mio ritorno alla composizione dopo anni e anni di silenzio, ci ha visti per la prima volta impegnati in un video promozionale, contiene uno dei momenti più alti della nostra storia chiamato “Enciclica 1168”. Ci ha portati negli States. Ha avuto una gestazione ed una nascita allegri, entusiastici, estremamente divertenti; non saprei elencare tutta la “gratitudine” che gli devo… a dispetto della sua copertina nera mi ha regalato dei momenti luminosissimi.

Mau Di Tollo: Un disco realizzato con estrema velocità, non a causa di tempi ridotti bensì grazie al fatto che la band era più che mai rodata e unita. La Maschera Di Cera cessava ufficialmente di essere “uno dei progetti di Fabio Zuffanti” (sebbene questa teoria rimanga stabilmente incarnita da parte di chi scrive di prog) per assumere lo status di vera e propria band dove ogni componente è parte fondamentale dello sviluppo della matrice stilistica e compositiva del progetto. Sappiate che la giacca indossata da Alessandro Corvaglia nel video di “Orpheus” era la mia e che, da allora, non l’ho più indossata, trasformandola da capo d’abbigliamento in una vera e propria reliquia. :)

Agostino Macor: Disco più diretto e verace, figlio di un periodo d’oro dovuto all’ingresso nel gruppo di Mau, il batterista giusto, che restituisce una band in stato di grazia. Ai pezzi più immediati, talvolta registrati in presa diretta, si affiancano viaggi inquietanti come la suite o intimismi come la mia Nuova Luce, primo pezzo di cui firmo anche il testo e a cui sono molto legato. La composizione si fa corale con contributi di tutta la band. Un senso all’impossibile, con il suo incedere hard-rock della seconda parte, è uno dei miei pezzi preferiti e rispecchia appieno lo spirito “ruspante” del disco.

Andrea Monetti: Forse il mio preferito.

Fabio Zuffanti: Il contrasto luce-buio ha sempre caratterizzato la nostra musica ma mai come in questo caso si è fatto evidente. “Luxade” è album molto compatto e definito, con una gran potenza e finalmente l'ingresso di Mau che era la pedina che mancava per definire al meglio il nostro suono. E' stato inoltre un disco facile da registrare, molto felice (nonostante i temi tutt'altro che frivoli delle canzoni, vedi “Enciclica 1168”) e ha sancito la trasformazione di MDC da mio progetto a gruppo vero e proprio.


PETALI DI FUOCO (2010)


Alessandro Corvaglia: Nonostante abbia diversi elementi che sicuramente denotano voglia di cambiare e di mettersi sempre in gioco (un certo passaggio alla forma-canzone, la presenza di un chitarrista stabile, testi più aderenti al quotidiano, arrangiamenti più asciutti, etc.), ho con questo disco lo stesso rapporto che ho con la mia attuale auto… non siamo facilmente in sintonia, né l’una conquisterà mai in modo definitivo e inequivocabile l’altro, come altre volte è successo... E’ nato sotto tutt’altri auspici del precedente e il notevole lasso di tempo intercorso fra i due ne ha pregiudicato secondo me la potenziale profondità espressiva, facendone uscire un disco che ritengo abbastanza discontinuo quanto a spirito e contenuto. Credo che ci abbia alienato più simpatie di quante ne abbia attirate ex novo, ma solo il modo in cui verrà accolto il disco seguente ce lo dimostrerà, almeno in parte…

Mau Di Tollo: Il tentativo era quello di aggiungere qualcosa di diverso e di non realizzare “il classico disco prog” ma di sdoganare questo marchio a una fetta di pubblico differente. Renderci “contemporanei” e non più una specie di scheggia impazzita proveniente dagli anni settanta e giunta nel 2010 grazie a un improbabile salto nel tempo. Testi più personali, profondi e meno aulici. C’è chi lo ama e chi lo odia, certificando quanto sia complicato, nel nostro mondo progressivo, aggiungere ingredienti diversi alla propria ricetta e uscirne indenni.

Agostino Macor: Disco maturo e coraggioso: si allontana da lidi conosciuti per approdare nelle vicinanze della forma-canzone, con testi più immediati e atmosfere nuove per la MDC. Decisivo l’inserimento della chitarra, avvenuto in fase di arrangiamento con i pezzi già definiti, e notevole a mio parere la ricerca quasi “pop” dell’essenzialità’. Il fatto di essere molto eterogeneo ed in apparenza distante dalle sonorità “classiche” della band non piacque a tutti, io lo considero comunque una scommessa riuscita nonostante la difficile gestazione e la tiepida accoglienza riservatagli.

Andrea Monetti: Non è stato capito.

Fabio Zuffanti: Probabilmente l'album più controverso della nostra discografia. Con, per la prima volta, pezzi più brevi, mancanza di suites e un occhio più attento alla forma-canzone e all'aspetto letterario. Per questi fattori forse è stato poco compreso dal pubblico progressivo, nonostante contenga a mio avviso alcuni pezzi straordinari.


LE PORTE DEL DOMANI (2013)


Alessandro Corvaglia: Se anche avessi potuto scegliere la forma di un “disco del decennale” e che comunque seguisse la situazione creata da “Petali”, credo non sarei mai arrivato ad immaginare una vetta simile. Al di là dell’idea concettuale, affascinante sin dalla prima scintilla che la fece ideare, il materiale musicale si è rivelato da subito esplosivo! Un susseguirsi di frasi e momenti collegati ad una cultura ed uno spirito quasi “fantasy”, una dinamica uditiva (non alludo a quella acustica..) talmente bilanciata e scorrevole da non far mai avvertire pesantezza o stanchezza alla fine di ogni ascolto completo (e no ho fatti TANTI durante le fasi di registrazione e post-produzione), un altalenarsi di atmosfere coinvolgenti raccolte in un minutaggio da classico LP. E per la prima volta un cimentarsi anche con la lingua inglese sin dall’origine. Non ultimo, una copertina che mai avrei pensato di vedere su un disco della Maschera di Cera e una collaborazione sinergica fra artisti, studio di registrazione e casa discografica come mai sperimentata prima. Se il Domani si percorre partendo da queste Porte, allora non può essere che luminoso...

Mau Di Tollo: Credo che il vero valore di questo album verrà fuori tra un po’ di tempo. E’ ancora troppo presto per me e non riesco ancora a dargli un giudizio senza essere di parte. Certamente è un disco “multitasking”: ci trovi dentro una marea di roba. E’ un omaggio, una sfida, un sequel, una provocazione, un reato di lesa maestà, una trovata, una genialata, una celebrazione. Tutto questo e altro ancora. Per me, è senza dubbio il disco della maturità di un gruppo di musicisti appassionati, che amano quello che fanno e amano farlo insieme, la cui originalità risiede nell’essere se stessi, anche in un contesto del genere. Perché, e spero che ci venga riconosciuto dopo dieci anni, la Maschera Di Cera suona come la Maschera Di Cera, che piaccia o no.

Agostino Macor: Un’idea folle, un omaggio sincero ma difficile. Non a caso allo scadere del decennale del gruppo, questo disco e’ anche un ponte ideale con il nostro esordio, oltre che con il disco omaggiato. Atmosfere molto vicine ma con sonorità diverse, vintage ma con i piedi piantati nel presente: Mellotron ma anche arpeggiatori digitali, acustiche 12 corde ma anche elettriche rampanti con un piglio molto poco settantiano. In compagnia di ospiti di spessore mi sembra che la band si sia reinventata pur mantenendo intatte le cifre stilistiche che sono la nostra forza. Ai posteri l’ardua sentenza…

Andrea Monetti: Il nostro capolavoro prima del prossimo.

Fabio Zuffanti: Il presente è caratterizzato da un album che è anche un ritorno al passato e un omaggio a uno dei dischi che più mi ha ispirato come ascoltatore, che ha veicolato il mio amore per il prog italiano e che, in definitiva, mi ha spronato a fare musica con MDC. Secondo me è un lavoro nel quale tutte le componenti sonore dei precedenti quattro trovano il giusto posto. Il sinfonismo, la canzone, il folk, il rock, certa sperimentazione, (ancora una volta) il buio e poi la luce. Una luce molto intensa in questo momento che spero possa illuminare un gran numero di ascoltatori.


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