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BRICCOLA, LUCA (MOGADOR, TREWA, CELTIC HARP ORCHESTRA) Valentino Butti
 

Abbiamo incontrato Luca Briccola polistrumentista comasco con all’attivo varie pubblicazioni discografiche con i Mogador, la Celtic Harp Orchestra e Trewa. Ne è venuta fuori una piacevole conversazione con un musicista dai molti interessi, per il quale il progressive è solo una parte del suo modo di intendere la musica. E forse neanche la più importante.

Ciao Luca e benvenuto. Vuoi presentarti brevemente ai nostri lettori?

Non c’è molto da dire, sono un edonista della musica , dell’arte e del buon bere che si diletta nella composizione e produzione discografica… ma in realtà sarei un grafico (!).

Nel 2012 hai pubblicato due lavori. Uno a nome Mogador “Absinthe tales of romantic visions” e l’altro come Trewa “Many meetings on a blithe journey”. Il primo più vicino ad un certo progressive tradizionale, il secondo dalla spiccata impronta folk-rock. Due delle tue numerose anime… a cui si aggiunge il metal in un altro vecchio progetto se non sbaglio…

Sì e ce ne sarebbero anche altre, non riesco a stare fermo su di un genere per troppo tempo. Ho tanta musica in testa, di tutti i generi, che mi piacerebbe pubblicare prima o poi. Di metal ne ho fatto tanto ed un po’ di tutti i tipi: dal prog metal al death tecnico dal grindcore al power, ma sfortunatamente, a parte qualche demo, non sono ancora riuscito a pubblicare nulla di ufficiale anche se rimane un po’ il mio genere di base. Ad ogni modo il mio sogno sin da bambino è quello di riuscire a pubblicare prima o poi una o più sinfonie classiche.

In “Absinthe tales…” il filo conduttore era il “potere” dell’assenzio. Tanto da figurare nei ringraziamenti dell’album…

Già, sono un amante dell’assenzio e ho anche una mia piccola produzione casalinga, molto apprezzata fra i miei amici. In realtà il tema dell’assenzio come “concept” dell’album mi è venuta per caso una notte, perché di per sé il disco tratta dell’arte romantica del XIX secolo sia come poesie che come quadri. L’assenzio divenne famoso proprio in quel secolo e mi è sembrato il giusto rappresentante dell’aspetto decadentistico del periodo da contrapporsi all’aspetto puramente romantico, proprio come recita il titolo.

I testi (in inglese ed in francese) riprendevano scritti di autori del passato, pensiamo a Lord Byron, a William Blake, ad Edgar Allan Poe. Tutti artisti che davano del “tu” a questa bevanda…

Sì, come detto prima era la bevanda degli artisti dell’epoca, forse più diffusa in Francia ed Inghilterra che negli Stati Uniti, difatti ignoro il rapporto di Poe con l’assenzio, ma da Wilde a Baudelaire il suo consumo è certificato dai numerosi scritti che hanno lasciato a riguardo. Ma l’idea iniziale di questo CD mi venne durante le registrazioni del secondo disco. Difatti sin dai nostri inizi trovammo un punto d’incontro comune sulle poesie del periodo romantico (nel primo disco feci una canzone partendo da una poesia di Bronte), quindi proposi che per il terzo album avremmo potuto musicare delle poesie e dei quadri di quel epoca e l’idea piacque subito. Nel titolo poi ho cercato di inserire i quattro aspetti dell’album, come detto in precedenza, “Absinthe” rappresenta il lato decadentistico e il lato B del disco, che suona un po’ più cupo, dissonante ed a tratti malinconico. “Tales” sono le poesie che abbiamo utilizzato per le canzoni, “Romantic” si riferisce al periodo ed anche al lato A che ha tratti bucolico-folkloristici, mentre “Visions” sono i due quadri che abbiamo cercato di descrivere in musica, io scelsi “Two men contempling the moon” di Friedrich per la canzone “Whispers To The Moon” mentre Richard scelse “The Shipwreck” di Vernet per la canzone “Hardships”.

Sempre nell’album si avverte una certa capacità di sfiorare vari generi. Pezzi acustici si alternano a brani più tirati. Suggestioni folk ed altre quasi hard rock. Una costante dei tuoi lavori…

Temo di sì. Avendo suonato un po’ tutti i generi con tutti gli strumenti, tendo a comporre senza una direzione precisa, difatti in alcune recensioni criticano proprio quest’aspetto dell’album. E’ anche vero però che i temi delle canzoni in questione sono talmente vari che potrebbero giustificare questo grande frullato di generi, inoltre quando compongo per i Mogador, mantengo comunque delle costanti che sono diverse dai Trewa o da altri miei progetti. In fine cos’è il prog se non la libertà compositiva, senza vincoli di struttura, con la piena libertà di sperimentare e con la possibilità di inserire contaminazioni da altri generi?

In un brano c’è un breve (troppo breve… aggiungo io) cameo di Jon Davison dei Glass Hammer (nonché nuovo cantante degli Yes). Come è nata questa importante collaborazione e pensi di coinvolgerlo anche in futuro?

Trovai quelle due quartine nelle Visioni di Blake e la musica mi venne molto spontaneamente, nello stesso periodo ricevemmo molte recensioni del secondo album dove ci paragonavano spesso agli Yes o ai Glass Hammer, quindi un po’ per sfida proposi a Richard di provare a contattare Jon. Sorprendentemente lui si mostrò molto disponibile ed entusiasta del brano, all’epoca non era ancora stato contattato dagli Yes. In realtà gli inviammo quel brano perché era il nostro primo esperimento di collaborazione a distanza, e salvo imprevisti decidemmo di andare sul sicuro con un pezzo molto breve, comunque non escludo qualche nuovo brano con lui.

Parlaci brevemente invece dei primi due lavori dei Mogador: l’omonimo del 2009 e “All I am is of my own making” (del 2010) un concept nella migliore tradizione progressive. Più vicini a certo new prog inglese senza dimenticare i mostri sacri del passato.

Il primo disco è nato per caso da una serie di jam session del 2007-2008, completato poi in registrazione con un paio di brani miei ed un brano di Paolo, che entrò a far parte del gruppo poco prima di iniziare a registrare. Anch’esso è una sorta di concept sulla natura ed è il primo lavoro “serio” che provai a registrare in casa con una scarsissima strumentazione, infatti la qualità è piuttosto discutibile. Il secondo invece nacque con la precisa idea di fare un concept vecchio stile. Richard lesse su un giornale la storia di questo uomo d’affari rimasto chiuso in un ascensore per un intero weekend e ci sembrò un buon tema da esplorare musicalmente. Ne uscì un disco scritto a tavolino senza aver mai provato le canzoni. Dividemmo il lavoro equamente in tre parti, lasciando a Richard la stesura dei testi mentre io scrissi le musiche del lato A e Paolo quelle del lato B. Musicalmente sono degli esperimenti compositivi, non ci eravamo imposti nessun tipo di vincolo perché volevamo vedere che tipo di musica sarebbe venuta fuori dalla nostra collaborazione, ma ovviamente si possono sentire dei riferimenti involontari ad alcuni gruppi classici.

Torniamo ai Trewa. Sempre l’anno scorso è stato pubblicato il secondo lavoro, “Many meetings on a blithe journey”, come dicevamo. Recuperi alcuni “traditional” come le celeberrime “John Barleycorn” (resa famosa dai Traffic) e “Matty groves” (dai Fairport Convention). Come nasce l’amore per questi brani della tradizione?

Sono cresciuto fra boschi e rovine medievali, queste atmosfere bucoliche mi sono sempre piaciute ed ho scritto e suonato molte musiche su questi temi. Nel caso di questo disco il discorso è leggermente diverso. Un paio d’anni fa feci un disco regalo (per Natale) di musiche da “camino”, come le chiamo io, acustiche con belle atmosfere invernali, e lo feci con tre miei compagni della Celtic Harp Orchestra. Ne uscì “At The Firelight”, un disco acustico e non molto elaborato, nel quale comparivano John Barleycorn, Matty Groves ed altre ancora, che venne scaricato quasi 4000 volte nei primi mesi, quindi a fronte di questo modico ma se non altro inaspettato successo, decidemmo di dedicarci seriamente al progetto. Scrissi nuovi brani originali e riarrangiai parte di quelli del primo disco per una formazione ampliata con anche la batteria e così nacque “Many Meetings…”.

E’ presente anche un brano in dialetto comasco, “Hom selvadic”. L’onda lunga di Davide Van de Sfroos che si è fatta sentire?

In realtà no, il nostro progetto prevede di esplorare la musica folkloristica in tutti i suoi aspetti ed essendo quasi tutti comaschi, un brano in dialetto era d’obbligo. Per motivi commerciali l’inglese rimane la lingua più indicata ma ci piacerebbe utilizzare molte altre lingue. Inoltre volevamo evitare un’etichettatura di gruppo puramente celtico che, per quanto ci possa piacere la musica, non essendo irlandesi, non ci appartiene, quindi stiamo cercando di mischiare al meglio la cultura celtica, la cultura longobarda e le nostre tradizioni alpine. Nel prossimo disco, che sarà un concept molto prog legato al territorio comasco, probabilmente ci saranno oltre ad un altro brano in dialetto, uno in latino ed uno in gotico.

Non possiamo dimenticare la tua partecipazione in un paio di album della Celtic Harp Orchestra. In particolare ho apprezzato “Tale of the fourth” con il tentativo, in parte riuscito, di coniugare il suono dell’arpa con l’ensemble rock…

Mi sarebbe piaciuto che si fosse coniugato ancora meglio l’aspetto orchestrale col gruppo rock, magari non come il concerto per orchestra dei Deep Purple ma quasi, ahimè ero solo uno dei musicisti e le scelte stilistiche erano in mano al direttore che era di tutt’altra prospettiva. Sono state comunque un ottima esperienza ed in quel contesto ho instaurato rapporti che si sono rivelati molto utili per i miei lavori a seguire.

Tocchiamo ora un tasto dolente per le giovani band. L’attività live. La mancanza di locali adatti, il disinteresse dei gestori che preferiscono magari cover band. Qual è la tua esperienza in proposito?

Eh eh. La mia esperienza è di troppi concerti per i quali non sono mai stato pagato. In Italia abbiamo la piaga delle cover band, forse più che in altri paesi, il ché è piuttosto paradossale visto che produciamo buona musica anche noi. A dispetto di altri paesi, da noi manca l’interesse e la curiosità verso le novità, basti vedere la differenza fra il pubblico italico e quello svizzero, senza andare troppo lontano. In Svizzera le persone vanno volentieri a sentire gruppi nuovi e sconosciuti perché forse ne vale la pena, in Italia si preferisce andare sul sicuro con ciò che già si conosce oppure con ciò che ha avuto una conferma di successo da qualche altra parte o in qualche altro paese, consequenzialmente i locali si adattano alla clientela.

L’autoproduzione una costante dei tuoi lavori. Una necessità, una scelta o l’unica soluzione possibile?

Un po’ tutto. E’ sicuramente una necessità economica che mi consente di avere sotto controllo tutto il lavoro dall’inizio fino alla fine, inoltre ci ha permesso di ottenere un discreto margine di guadagno per rendere i progetti finanziariamente autosufficienti, che era il nostro obiettivo primario. In più l’aspetto della produzione mi ha sempre affascinato ed è un lavoro che mi piacerebbe continuare a fare anche se avessi la possibilità economica di delegare la produzione a qualcun altro.

Conosci e segui la scena prog italiana ed estera di oggi?

Ad essere sincero non seguo molto il prog negli ultimi tempi, sono rimasto un po’ indietro sulle novità ed appena il tempo me lo permetterà, mi farò una bella scorpacciata di dischi. Vado molto a periodi, ho passato l’ultimo anno ascoltando molta musica medievale ed ora sto ascoltando molto brutal death metal, dagli Spawn Of Possession ai Dying Fetus, ma ho comprato non molto tempo un paio di CD di Hiromi Uehara che mischia jazz e progressive stile Mahavisnu Orchestra che mi piace molto.

Programmi per l’anno in corso? So di un nuovo progetto con l’ex Mogador Paolo Pigni a nome Sarastro Blake… Vi rifate a Mozart? :-)

Sì, spero a breve di finire di mixare il disco di Paolo e quindi di pubblicarlo presto. Non abbiamo rifatto nulla di Mozart, ma la spiegazione del nome forse è meglio che ve la dirà direttamente Paolo. Due anni fa, durante la stesura di “Absinthe tales…”, ci fu un diverbio che portò alla sua uscita dai Mogador, poi le acque si calmarono e decidemmo di produrre i brani che aveva scritto per “Absinthe tales…” come un nuovo progetto. In effetti la musica è piuttosto differente, Paolo è molto melodico e spesso si avvicina ad un pop colto, difatti lui era il romantico ed io il decadente del gruppo, però abbiamo cercato di fare arrangiamenti interessanti coinvolgendo anche personaggi del mondo del prog come Rick Wakeman, Dave Lawson, Richard Sinclair, Nick Magnus, Amanda Lehman, Billy Sherwood e David Paton. Con i Mogador invece abbiamo appena completato la formazione a cinque elementi e stiamo preparando uno show da portare live, parallelamente stiamo proseguendo nella registrazione del quarto e del quinto disco, il primo dei quali è una sorta di “Absinthe II”, comprendente brani che per motivi di tempo non abbiamo potuto inserire nel terzo e versioni alternative, mentre il quinto sarà un concept che aprirà un nuovo capitolo nella storia della band. Anche coi Trewa spero a breve di iniziare le registrazioni del nuovo disco, inoltre spero quest’anno di pubblicare il concept degli Enshrine Cry, il mio gruppo storico prog metal, che è in cantiere da quasi dieci anni ormai.

E per chiudere. Il titolo di qualche album dell’anno appena trascorso che ti sentiresti di consigliare ai nostri lettori.

Personalmente mi è piaciuto abbastanza “Orkan” di Vintersong e mi sento di consigliare in particolare “Weightless” degli Animals As Leaders che però è uscito nel 2011.

Grazie Luca per la disponibilità e a presto con un nuovo album quindi…

Grazie a voi!


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