Home

 
SPETTRI Michele Merenda
 

Il Tempo sembra non conoscere confini e per alcuni si mostra davvero quel “galantuomo” che ogni tanto dice di essere. In questo caso, i fortunati sono gli Spettri, gruppo toscano che nei primissimi anni ’70 aveva composto un album formato da un’unica suite (tra hard rock e prog dalle tinte decisamente dark), che però non avrebbe visto la luce se non quarant’anni dopo grazie alla Black Widow. E a quel punto – scusando l’evidente ossimoro – gli Spettri sono tornati a nuova vita. Un’autentica “resurrezione”, peraltro insperata, che ha talmente riempito d’entusiasmo i diretti interessati da far sfornare loro il seguito di quei nastri inediti. Ma la storia non finisce qua…Il tastierista Stefano Melani spiega lo svolgere dei fatti, balzando tra passato, presente e futuro come se non vi fossero limiti dimensionali. Un‘intervista che inquadra l’aspetto musicale nell’ottica socio-politica di quegli anni e che porta a formulare più di una riflessione. Con un finale a sorpresa.


Stefano, cominciamo col dire che quando sei arrivato tu gli Spettri erano già… vivi e vegeti! Facci una panoramica complessiva della vostra storia.

Io sono entrato nel 1971. Il gruppo Spettri nasce invece nel 1964, durante il periodo beat. Formazione a quattro tipica. Poi, il tastierista che c’era in quegli anni smette di suonare ed entro io, che all’epoca avevo circa quindici anni. Nello stesso periodo entra il bassista, Vincenzo, mio grande amico e coetaneo, il fratello più piccolo del cantante Ugo e del chitarrista Raffaele Ponticiello. Noi due eravamo fanatici di quello che oggi si chiama prog, ma che all’epoca veniva chiamato pop. Forse è stato lì il giro di chiave: il connubio tra la cultura beat, il rock ’n’ roll dei più grandi, e la nostra, che era più orientata ai Deep Purple, ai King Crimson, Black Sabbath, ecc…

Quindi non solo il prog, ma anche l’hard rock del periodo…

Sì, hard rock. Parecchio hard rock… Però anche i primi Emerson, Lake & Palmer… i Nice, addirittura! Dai Nice passando per i Genesis… Ne è venuta poi fuori una cosa un po’ più hard che prog inteso nel senso odierno del termine. Ma sai, a quell’epoca non è che ci si ponesse problemi di genere e di stile; c’erano delle cose da dire, erano gli anni ’70... Non è che le situazioni siano cambiate molto, nel senso che c’è sempre qualcosa di cui ci si deve preoccupare anche oggi; però a quei tempi c’era la guerra nel Vietnam, c’era la rivolta giovanile, eravamo tutti schierati, militanti. Il modo di porsi rispetto alla musica non era legato ad un genere, ma dovevi dire delle cose e le dicevi. Chiaramente a noi veniva in una forma più rock rispetto ad altri gruppi dell’epoca.
Lì è cominciato tutto. Abbiamo scritto questa suite che era la storia di un ragazzo dell’epoca che voleva cambiare il mondo. La cosa strana però è che, invece di raccontare una storia di lotte sociali o di rapporti interpersonali, lui rifiuta il mondo in sé e chiede una spiegazione all’Aldilà in questa seduta spiritica. Alla fine però riceve una risposta ben precisa: altro non è che l’immagine di se stesso. Quindi realizza che i problemi del mondo sono anche i problemi dell’uomo e quindi di sé. Alla fine di questa storia impazzisce.

Facendo un’analisi dell’opera e del periodo in cui è stata ideata, come mai non è stata pubblicata subito dopo l’incisione ma solo dopo molti anni?

La suite è divisa in quattro tempi e l’abbiamo portata in giro fine alla fine degli anni ’70. Abbiamo suonato con i gruppi dell’epoca: i Jumbo, i New Trolls, Le Orme… C’erano i Flora, Fauna e Cemento, Il Rovescio della Medaglia… Facemmo, per esempio, questo primo contest sponsorizzato addirittura da TV Sorrisi e Canzoni – che si chiamava “Estate insieme” – all’ “Altromondo” di Rimini, in cui vincemmo la selezione, il primo Telegatto della storia di quella rivista e che poi ci portò a registrare la suite in uno studio bellissimo, professionale, a Milano. Si chiamava “Fonorama” (dove venne registrato, tra gli altri, anche “Storia di un minuto” della Premiata Forneria Marconi – N.d.A.) ed era del maestro Carlo Alberto Rossi, un grande musicista dell’epoca. Scriveva le canzoni per Mina, tanto per dire. Lì c’era un otto tracce, registrammo e ne venne fuori un album professionale. Lui cercò di venderlo, ma non ci riuscì mai perché la storia della seduta spiritica non andava bene, in quanto c’era molta censura. Questa faccenda della seduta spiritica andava contro il sentimento cattolico dell’epoca. Il disco non è mai uscito per questo motivo.

Eppure c’erano in giro gruppi come gli Jacula…

Eh, a noi invece ha detto così… Il nastro è rimasto quindi inedito. Poi è successo che non riuscendo a campare di questa musica, abbiamo smesso di portarla in giro verso la fine del ’78 e quindi l’abbiamo abbandonata. Però c’era rimasto un nastro registrato live su un due tracce, rimasto nella nostra cantina per circa quarant’anni. Questo nastro lo ha sentito un nostro amico e collaboratore, Paolo Strina, che ci segue sempre. Ci ha detto che avrebbe messo il nastro su cd, altrimenti si sarebbe rovinato del tutto. Una volta passato su cd lo ha fatto ascoltare ad un dj specializzato in questo tipo di musica, Daniele Nuti, il quale lo ha reputato interessantissimo e quindi inviato alla Black Widow di Genova, che ha deciso di stamparlo. Nel 2011 è perciò uscito un disco con la registrazione del 1972, avendo un riscontro molto positivo! Abbiamo avuto buone recensioni dal Brasile al Giappone, passando per gli Stati Uniti, l’Inghilterra, ecc… Però è chiaramente una registrazione effettuata con due microfoni, quindi con tutti i limiti che ci potevano essere.

A quel punto…?

A quel punto ci siamo ritrovati in questo mondo a quarant’anni di distanza, per cui ci siamo ributtati dentro anima e corpo (siamo contentissimi!) e abbiamo deciso di fare il secondo disco. Lo abbiamo chiamato “2973” perché sarebbe stato il disco che avremmo scritto l’anno dopo l’uscita di quello del 1972. I mille anni li abbiamo messi perché tanto in “ambito spettrale” fa lo stesso (ci ride su), però “2973” vuole rappresentare questa contemporaneità sincrona col 1972.

Ma la storia dei mille anni l’avevate pensata già allora oppure è una trovata recente?

No, lo abbiamo deciso adesso, quando pensavamo ad un titolo da dare alla continuazione della storia. Abbiamo detto: «Riprendiamo la storia da dove era finita nel 1972 e portiamola avanti come avremmo fatto nel 1973. Nel frattempo sono passati quarant’anni, noi non siamo più quelli dell’epoca… Quindi diamogli una scansione temporale e chiamiamolo “2973”».

C’è un motivo ben preciso per cui si è pensato proprio ad un determinato lasso di tempo?

No, è venuto un po’ così. Il titolo è questo perché – come detto – rappresenta sia la continuazione di quanto scritto nel 1972 ma anche un futuro di tutta la situazione. Abbiamo fatto fare la copertina al figlio di ventinove-trent’anni anni del batterista, che è un ottimo disegnatore. Volevamo dare un aspetto più futuribile, senza farne solamente una celebrazione del passato.

Il concept, all’epoca, era basato su questa persona delusa dalla superficialità che gli stava attorno…

Esatto! Dal materialismo, dalla guerra… Se vai sull’ultimo brano, per esempio, lui dice: «Bruciamo i biglietti di banca; cerchiamo di essere, non di apparire”. Quindi, già all’epoca, lui trovava una soluzione nella lotta contro il Sistema, però anche all’interno di se stesso come evoluzione dall’apparenza.

…però oggi non sembra cambiato molto. Ci si imbatte sempre in temi come la superficialità, la frenesia, la mancanza di determinati ideali, ed ogni volta si guarda invece al passato come ad un periodo pregno di valori. Ma alla fine… è tutto oro quel che luccica?!

Questa è una riflessione interessante, a cui stavo pensando anche l’altro giorno nell’ambito di un convegno a cui ho partecipato qui a Firenze. La risposta è sì, è tutto oro quel che luccica, perché negli anni ’70 c’era una speranza di cambiamento. Quindi, tutto ciò che veniva fuori dal movimento giovanile dell’epoca, era finalizzato ad un cambiamento che doveva portare a sua volta al miglioramento della condizione umana. Gli stimoli e le ragioni essenziali che erano validi allora, per portare al cambiamento, penso che siano validi ed attuali anche oggi. Come tu ben dici, non è che le cose siano cambiate di molto… Però ciò che è cambiato è che in quegli anni c’era veramente un’energia finalizzata – anche trainata – da determinati ideali (potevano essere giusti o non giusti, a seconda delle visioni). E quindi c’era una speranza insita di cambiamento; oggi questa speranza si è affievolita. Per cui, il ritrovare delle motivazioni, e quindi anche questa energia, penso che sia una cosa giusta. Quindi quei concetti e valori che erano validi in quell’epoca lì, tradotti nel futuro, penso che siano ancora spendibili. Se guardi al di là del movimento politico di quegli anni, c’è stata anche una sperimentazione a trecentosessanta gradi – sia nella musica che nella letteratura, nell’arte, nei comportamenti sociali – che era ed è tutt’oggi valida. Tipo la ricerca che si è sviluppata con le prime scuole che guardavano all’Oriente, delle volte contornate anche da psichedelia… Perciò, non necessariamente c’era solo una rivolta sociale intesa come per dire: «Andiamo a fare una rivoluzione comunista!»; c’era pure un grosso stimolo di cambiamento anche interiore, che è nato in quel periodo. Per cui sono tutti messaggi che oggi possono essere riattualizzati e rimanere sempre validi.

Oggi vedi la possibilità che si ricrei quella situazione di “fermento”?

Beh, ci sono alcune cose… Chiaramente l’insoddisfazione giovanile c’è sempre, oggi come allora; una grande porzione del pubblico giovane che è scontenta, che cerca di cambiare le cose come allora e lo esprime in varie situazioni. Si va dal volontariato fino alle rivolte di classe, i movimenti ecologisti e tutto il resto. Per cui queste cose ci sono sempre. La differenza è che oggi tutto passa attraverso uno strapotere dei mass-media. In quegli anni lì, invece, la situazione era un tantino più umana. Negli anni ’70, per esempio, nascono le radio libere, le etichette indipendenti… Non a caso. Oggi le etichette indipendenti valgono molto meno. Anche il Sistema che faceva il disco, anche la major in quell’epoca – tipo la RCA – aveva interesse e voglia. Ed era portata avanti da persone abbastanza illuminate che a loro volta portavano avanti tranquillamente delle musiche anche alternative. Facevano stampare dei dischi a gente che non necessariamente doveva vendere delle copie. Quindi la Cultura era più alternativa rispetto al Sistema. Oggi il Sistema è molto più potente di allora e quindi c’è più difficoltà. D’altra parte, ci sono stati anche quaranta-cinquant’anni di strapotere mass-mediologico che hanno portato ad un certo “rincoglionimento” sociale…

A livello giovanile oggi sarebbe possibile un altro biennio ’77-’78?

Mah, non è che non sia possibile… Secondo me c’è, viene fuori in determinate situazioni, ma non a livello appariscente e localizzato come in quegli anni. Quando qui in Italia succedeva qualcosa era molto importante per la vita degli italiani; oggi la globalizzazione ha dei confini talmente dilatati che le cose hanno una risonanza più “ovattata”. E poi, come dicevo prima, viene tutto controllato dai mass-media. A quei tempi, per esempio, esisteva la stampa alternativa; il modo di comunicare le cose era il volantinaggio a mano. Erano media più “caldi”. Oggi c’è internet. Devi andare sui social, devi cercare di capire… Sono metodi anche più complicati, quindi diversi… C’è stata anche una evoluzione in positivo, chiaramente. Noi abbiamo sbagliato tanto, non che tutto quanto fatto sia stato giusto… I principi erano giusti, ma poi non siamo riusciti a fare quasi nulla. Perché abbiamo sbagliato parecchie cose.

Per esempio?

Beh, sbagliato secondo me è stato l’uso della violenza, no? Tutto ciò che poi è diventato lotta armata contro il Sistema, l’accettare e pensare che una rivoluzione possa inevitabilmente portare qualcosa di positivo… Tant’è vero che nel disco “2973” il nostro protagonista, dopo essere uscito pazzo dal primo, si ritrova su una spiaggia di notte a dubitare e viene indirizzato su questa nave immaginaria che lo porta in viaggio all’interno di se stessa. E quindi va a sconfiggere i mostri interiori che si porta dietro per cercare di svelarli.

Mi pare che finisca bene, poi.

Finisce con una nuova consapevolezza ed un nuovo equilibrio. Quindi nell’ultimo brano, “L’approdo”, lui trova un suo equilibrio che è diverso da quello precedente. Ma non è ancora il “nirvana”, non è che ancora abbia realizzato il tutto… Però diciamo che è in una fase diversa, ha avuto una sua evoluzione, tant’è vero che già stiamo pensando al terzo album.

Ci sono già notizie al riguardo?

Stiamo incominciando a pensare adesso alla storia. Vedi, il modo in cui abbiamo fatto il secondo disco è stato esattamente come il primo: ci siamo messi d’accordo su uno storyboard e poi abbiamo composto in base alla sceneggiatura (stile film, stile colonna sonora). Quindi adesso stiamo pensando allo storyboard del terzo, che molto probabilmente – ti anticipo – si svolgerà su questa isola dove lui è approdato alla fine del secondo album.

In fase di recensione si era scritto che sembravano esserci chiari riferimenti alla psicanalisi, soprattutto dal punto di vista del terapeuta che, se non risolve i propri problemi, questi verranno fuori quando entrerà a contatto col paziente…

Certo, su questo siamo completamente d’accordo. Infatti è una storia introspettiva quella che abbiamo scritto, no? Lo diciamo chiaramente: bisogna passare per un’autoanalisi e a una risoluzione dei problemi interiori per arrivare ad un cambiamento. La tua riflessione è giusta, ci sta.

Altra cosa scritta sempre nella stessa recensione è che questa stiva della nave somiglia tanto al luogo/non luogo che è la Montagna della mistica persiana dove si ritrova se stessi.

Certo!

Una coincidenza oppure è stato un richiamo voluto?

Guarda, la stiva ci è venuta naturale. Siccome il mezzo del viaggio è questa nave con il mare che le fa da contorno – alla base di tutto c’è un trip, c’è un viaggio, anche metaforico, all’interno di se stessi –, la stiva è il cuore della nave e quindi rappresenta il punto più profondo; nella stiva è nascosta la chiave del cambiamento. Chiaramente ognuno può trovare dei propri riferimenti, ma noi non vogliamo far capo ad un riferimento preciso. È certamente bello che tu ci abbia letto questo; altri, per esempio, ci hanno chiesto se avevamo visto “La montagna sacra” di Jodorowsky – sì, certo, è un film dell’epoca che ci ha senz’altro influenzati –. Altri ancora ci hanno chiesto se avevamo fatto riferimento alle filosofie orientali… Quindi mi è piaciuto molto che tu ci abbia visto tutto ciò, perché evidentemente stiamo parlando di cose che toccano determinate corde.

Primo vinile in “AAA” dopo tanti anni, avete avuto modo di dichiarare.

Sì. Come sai, oggi sono di nuovo di moda i vinili. Beh, questo è l’unico vinile che da quarant’anni a questa parte non sia una presa in giro, perché è registrato in analogico, mixato in analogico e masterizzato in analogico (da qui la sigla tecnica “AAA” – N.d.A.). Per cui, quando uno compra l’Lp “2973” degli Spettri ha un prodotto completamente analogico. Non hai un mixaggio digitale buttato su vinile, per poi farlo girare su giradischi.

La collaborazione con Elisa Montaldo come è venuta fuori?

Noi conoscevamo il Tempio delle Clessidre, perché sono della stessa scuderia, la Black Wodiw, e quindi già li avevamo incontrati in concerto nel 2011 a Firenze. Avevamo scritto un brano, “Il delfino bianco”, che reputavamo sarebbe stato cantato da una voce femminile. Quando hanno fatto il loro ultimo disco, l’ho ascoltato ed il bassista mi ha detto: «Senti come canta Elisa!». Secondo me lei è una super cantante; oltre ad essere una bravissima tastierista, è veramente una cantante eccezionale. Quindi l’ho chiamata e le ho chiesto se voleva registrare questo pezzo insieme a noi. E lei è venuta subito, entusiasta. Lo ha imparato in tre minuti! Abbiamo registrato in un’ora, durante il pomeriggio qui a Firenze. È venuto veramente molto bene, sono contento.

C’è comunque un altro ospite da citare…

Sì. Per quanto riguarda “L ‘ approdo”, l’ultimo brano, volevo assolutamente ricreare un sapore “celtico”, perché immaginavo questa isola tipo una Avalon persa nelle nebbie. Uno dei nostri più grandi amici è Stefano Corsi dei Whisky Trail, artista celtico; per cui, quando gliel’ho detto, anche a lui è piaciuto moltissimo e quindi è venuto subito a registrare. Tant’è vero che i Whisky Trail oggi fanno “L ‘ approdo” come brano finale dei loro concerti.

Per chi ha qualche anno in meno e quindi non ha vissuto direttamente quel periodo, c’è la sensazione che molti dei gruppi della scena prog italiana di un tempo fossero collegati tra loro, come se ci fosse stato un circuito di qualche tipo…

Più che un circuito, c’erano secondo me delle situazioni di tipo politico, dove all’interno di certi festival e di certe manifestazioni ci si trovava sempre con gli stessi giri di gruppi, che erano quelli che ruotavano attorno alla fazione più alternativa, più extraparlamentare di Sinistra. Mentre invece c’erano poi i gruppi che avevano fatto successo anche a livello commerciale – tipo PFM, New Trolls, gente di questo genere… – che appartenevano ad altri circuiti. Quindi diciamo che c’erano forse tre circuiti distinti: uno era quello dei gruppi pop, che però non disdegnavano di fare pure delle canzoni orecchiabili per cercare di tirare più soldi in barca possibili e quindi andarsene anche a Sanremo; poi c’era una fascia media, di gruppi bravi, bravissimi, che tiravano anche loro a quanto detto prima ma che ancora non c’erano arrivati; e poi invece c’era una fascia di gruppi stile AREA, che facevano proprio avanguardia e sperimentazione alla faccia del circuito commerciale. E che però, magari, poi rischiavano di rimanere prigionieri del movimento politico stesso.

E oggi come la vedi?


Beh, oggi è dura da definire… Per quanto riguarda il panorama che conosciamo noi, in un circuito che non sia quello dei gruppi dell’epoca oggi riformati, ci sono dei gruppi interessanti di ragazzi che stanno venendo fuori, che cercano di portare avanti questo genere di musica, però con grossissima difficoltà. Già adesso la musica live in generale è in crisi… È difficilissimo trovare degli spazi validi dove suonare, e poi trovare anche i soldi, per lo meno per questi ragazzi giovani. Mentre invece c’è una grossa rinascita di gruppi dell’epoca. Per esempio, si sono riformati i Goblin… Ora ci sono i Goblin ed i Goblin Rebirth… Formazioni con alcuni membri dell’epoca e con altri ragazzi nuovi… Ci sono gli Cherry Five, i Delirium che continuano, il nostro amico Alvaro Fella dei Jumbo con i Consorzio Acqua Potabile… Nel nostro piccolo ci siamo anche noi (ride)… Bene o male siamo sempre gli stessi; qualche sopravvissuto di tutte le formazioni c’è ancora (per ironia della sorte, mentre veniva trascritta questa intervista moriva Rodolfo Maltese… - N.d.A.). Per cui, i ragazzi che si avvicinano a questo genere hanno veramente difficoltà. Già questo è un genere di nicchia, dove hai un pubblico molto stretto…Noi, essendo un tantino più hard, un tantino più duri, siamo apprezzati anche dal pubblico del metal. Forse siamo un po’ più fortunati.

Cogliamo quindi la palla al balzo: molti vecchi amanti del prog non perdono occasione per disprezzare il metal. Come mai? Sembra quasi che sia l’origine di tutti i mali…

(Ci ride su) No, non è l’origine di tutti i mali, ma c’è stata anche tanta deviazione nel metal. Cose un po’ pesanti, un po’ trite… Quindi si può capire. A me il metal piace, non ci sono problemi. Ma tu avevi detto benissimo prima: noi veniamo più da quell’epoca in cui c’era l’hard rock, non vi era un metal vero e proprio.

Per concludere: progetti per il futuro?

Abbiamo i concerti (11 ottobre al “Tattoo Festival”, con un pubblico decisamente metal; 6 novembre al “Circus” sempre a Firenze – poi annullato N.d.A.) ed è stata confermata la data di marzo a Genova con i Latte e Miele. Quello è un bel contrasto, no? Quindi il progetto numero uno è suonare il più possibile in giro. Poi, portare avanti questo disco che sta andando veramente bene (sperando di fare anche qualche tournée all’estero nel 2016). E dopo, da gennaio in poi, cominciamo a scaraventarci sul terzo disco. E magari ti veniamo a trovare a Salina, per prendere ispirazione sulla tua bella isola!

Alla luce di ciò, l’isola più verde delle Eolie rimane in timorosa attesa di una repentina apparizione… degli Spettri!



Bookmark and Share

Italian
English