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MAXOPHONE Valentino Butti
 

Dopo una pausa di oltre 40 anni i Maxophone danno finalmente un “fratello” allo storico esordio del 1975 anche se negli ultimi anni erano comunque stati pubblicati un cofanetto di inediti/demo e video ed inoltre, più recentemente, un album live registrato in Giappone. Abbiamo incontrato uno dei membri fondatori del gruppo, Sergio Lattuada, che ci parla dei Maxophone delle origini e di quelli di oggi e… domani…


Ciao Sergio e benvenuto sulle pagine di Arlequins…
E’ da pochissimo uscito il vostro nuovo lavoro “La fabbrica delle nuvole”, ma non è proprio possibile parlare di questo album, senza fare un balzo all’indietro negli anni 70. Avete pubblicato un solo LP nel 1975 (uscito poi anche in versione inglese) eppure quel lavoro è considerato tra i capolavori del pop/progressive italiano…


Sì, gli anni '70 sono stati anni particolarmente creativi per noi musicisti e la risposta del pubblico di allora e anche di quello di oggi che ascolta quella musica per la prima volta, ne è la conferma. Eravamo cresciuti con la "British Invasion", poi con il Rock degli Who e dopo con le varie diramazioni Progressive dei Procol Harum, dei King Crimson, dei Genesis e degli Yes; insomma non si può dire che mancassero fonti di ispirazione. Alcuni di noi già suonavano insieme dal '71 e una certa idea di progetto musicale portò poi a cercare gli elementi idonei a realizzarlo...così nacque la formazione che diede origine al primo album. Come hai detto tu, uscì anche una versione inglese con testi, a parer nostro, non entusiasmanti, ma raccolse comunque buoni responsi sia dalla critica che dal pubblico.

Tra le caratteristiche della formazione “storica” il grande uso degli strumenti a fiato (dal flauto al sax, dal clarinetto al corno) oltre al vibrafono che conferivano un suono unico alla band…

Nella nostra musica c'era e c'è ancora molto del mondo classico e contemporaneo ma la sonorità è solo una piccolissima parte di tutto questo. Basti pensare che, per fare un esempio, grandi nomi come Beethoven, Wagner, Schubert ecc. hanno tutti utilizzato lo stesso tipo di orchestra sinfonica, ma la differenza tra le loro musiche resta abissale. Per tanto, ciò che veramente caratterizza un compositore, un orchestratore o una band non va cercato solo negli strumenti, ma nel linguaggio, nel modo di sviluppare la melodia e la ritmica… e in questo, noi siamo e siamo stati abbastanza personali e riconoscibili.

Purtroppo però l’album uscì quando il fenomeno progressive in Italia ed all’estero iniziava ad essere meno seguito dal pubblico…

In realtà, tutti i nostri brani erano già pronti ai primi del ’74 solo che, per varie questioni fuori dal nostro controllo, potemmo entrare in studio solo un anno dopo e ci volle quasi altrettanto tempo per l’uscita dell’album. I vari ritardi giocarono a nostro sfavore ma ci fu, come hai detto bene prima tu, anche un cambio radicale sia nei gusti del pubblico che nella programmazione delle case discografiche e dei mezzi di diffusione. Nel '77 uscì "Saturday Night Fever" e di lì a poco le radio furono invase dalla Disco Music: trovare finanziamenti per il Progressive sarebbe stata un’impresa titanica.

Dopo la pubblicazione della versione inglese vi scioglieste, anche se qualche soddisfazione riusciste comunque a togliervela: concerti con gli Area, presenze televisive…

Dopo la chiusura della nostra casa discografica e il divorzio artistico dal nostro produttore, lo scioglimento della band fu abbastanza inevitabile. Riuscimmo comunque, nel corso dell'unico anno di attività "pubblica", a partecipare a vari eventi importanti di cui ancora oggi è vivo il ricordo. In particolare alcune trasmissioni televisive, il tour con Area e Finardi, la partecipazione al Montreux International Festival in mezzo tra i Weather Report e Billy Cobham (giusto per passare inosservati).

Poi, con lo scioglimento della band, a cosa vi dedicaste? Qualcuno di voi rimase nell’ambito musicale o affrontaste altre esperienze?

Ciascuno prese strade diverse ma sempre nell'ambito musicale, chi con l'insegnamento, chi all'interno di un'orchestra o come autore e c'è chi si è trasferito oltre oceano a suonare R&B nei locali di New York. Oggi credo che S. Lorenzetti abbia una scuola di batteria, M. Bianchini sia con l'Orchestra Sinfonica di Torino, mentre R. Giuliani e L. Schiavone si siano dedicati ad altro.

Nel 2005/2006 il nome Maxophone tornò alla ribalta grazie allo splendido cofanetto “From cocoon to butterfly”, contenente brani inediti o allo stato embrionale oltre alla completa performance live in Rai. Inoltre con la formazione originale (e con l’aggiunta del bassista Marco Carbone) presentate una versione strumentale di “Mercanti di pazzia”. Come è nata l’idea del cofanetto e, se ci è consentito, come mai già allora non avete” provato” a dare un seguito alla vostra collaborazione?

Credevo nella possibilità di realizzare un progetto che riguardasse il passato dei Maxophone perché avevo conservato le registrazioni di quasi tutti i brani composti all'epoca, materiale fotografico e alcuni video che ero riuscito a reperire. Ho ricontattato tutti i componenti e finalmente nel 2005 ci siamo incontrati per la realizzazione del progetto “From cocoon to butterfly”.
In seguito per motivazioni diverse, non si è potuto proseguire il percorso tutti insieme, così dopo una pausa di riflessione, io e Alberto abbiamo deciso di ricostituire una nuova formazione.

Trascorrono ancora degli anni, qualche concerto importante (il festival prog di Veruno) ed addirittura date in Giappone e conseguente album live con una formazione nuova in cui i soli Ravasini e Lattuada portano avanti il prestigioso nome assieme a Marco Croci, Carlo Monti e Marco Tomasini…

Sicuramente, l'arrivo di M. Croci, C. Monti e M. Tomasini, oltre a completare la band, ha portato una sferzata di novità sia nel suono complessivo che nel linguaggio del gruppo. La grossa differenza tra quelli dell'inizio e questa formazione è che allora si cercarono gli interpreti adatti a suonare una certa musica mentre ora si è partiti considerando innanzitutto l'aspetto umano: prima i musicisti con le loro caratteristiche e individualità e dopo una musica che ne metta in luce l'espressività e sotto questo aspetto credo che ci abbiamo guadagnato molto. Il concerto di Tokyo e il relativo CD Live sono stati i segni inequivocabili della possibilità di lavorare su un nuovo album e del fatto che i Maxophone avrebbero avuto ancora cose nuove da dire e da dare.

Finalmente nel febbraio di questo 2017, il più volte annunciato album “La fabbrica delle nuvole” vede la luce…

Come sapete… noi non siamo solo quelli dai tempi dispari ma anche quelli dai tempi lunghi. Scherzi a parte, ciascuno di noi ha un’altra attività oltre alla musica, perciò la pre-produzione e le riprese si sono fatte in un arco di tempo di più di un anno. Finiti i mix nel nostro studio digitale, per il mastering ci siamo affidati a Nicolò Fragile (nostro grande amico ma, come tutti quelli bravi, anche molto occupato) e ci sono voluti circa 5 mesi per ottenere il prodotto definitivo. Con l'entrata in gioco della AMS abbiamo finalmente portato a termine questa “Fabbrica delle nuvole” sotto forma di CD, vinile e download digitale.

Come è nata la collaborazione con il poeta Roberto Roversi (scomparso qualche anno fa)?

Alberto aveva collaborato con Roberto Roversi fin dai primi anni novanta firmando insieme dei brani per Mina e Alex Baroni. Nel 2011 lo ricontattammo per proporgli il nuovo progetto Maxophone lasciandogli dei demo da ascoltare. A settembre dell'anno successivo purtroppo arrivò la notizia della sua scomparsa. A pre-produzione quasi ultimata, quando ancora eravamo in alto mare con la ricerca di un paroliere, ci chiamò suo nipote Antonio Bagnoli (presidente delle edizioni Pendragon nonché curatore delle opere letterarie di Roversi) e ci comunicò che nel riordinare il vastissimo archivio di Roberto aveva trovato una scatola con su scritto "Ravasini - Maxophone". Il giorno dopo neanche a dirlo eravamo a Bologna a ritirare quel tesoro inaspettato.

Ascoltando “La fabbrica delle nuvole” notiamo come l’approccio sia più “diretto” e (talvolta) anche più rock e poco o nulla debitore della grande stagione dei ’70…

Con l'avvento di M. Croci e in particolar modo con quello di M. Tomasini si è rafforzata l'anima Rock dei Maxophone che nel primo album era rimasta un po' sopita. In generale però gli ingredienti classici e contemporanei si sono evoluti in questo album dove sicuramente un po' più di anni, un po' meno di capelli e un po' più di cultura e consapevolezza hanno contribuito ad arricchirne il nostro linguaggio grazie anche alla presenza di C. Monti, batterista polistrumentista che con molta naturalezza passa dalle bacchette all'archetto di violino.

…ed in qualche brano, “Il passo delle ore” o “Estate 41” ad esempio si sfiora, con gusto, un “pop” d’autore…

Il Prog è un grande contenitore dove a un Pop/Rock di base, si aggiungono ingredienti diversi che possono derivare dalla musica Classica o da quella Elettronica, dal Jazz o dal Fusion, dalla musica Folk o da quella Etnica. In tutto questo, la canzone intesa come strofa, ponte e ritornello ci sta perché fa parte della base evolutiva di questo genere. Pensiamo solo che prima ancora di ”In the Court of the Crimson King” in Europa uscì una certa “Salty Dog” che cambio le orecchie a tanti musicisti dell’epoca e che era in tutto e per tutto una canzone. E’ vero, si respira un’aria più cantautoriale specialmente in questi 2 brani e forse anche nell’ultimo “Le parole che non vi ho detto”, ma è la grande novità di tutto quest’album: l’aver potuto, grazie alla penna magica di Roversi, abbinare la vera poesia alla musica Progressive! Poesia che è stata storicamente appannaggio di una ristretta cerchia di grandi cantautori come Tenco, De André e De Gregori e che raramente ha preso vita in altri generi.

“La luna e la lepre” è la versione definitiva di un brano, “Guardian angel” (dal bellissimo testo) che è apparso sul live in Giappone e che mi era parecchio piaciuto…

Qui Roversi con questo testo ha centrato in pieno l’atmosfera fiabesca, mitologica e vagamente celtica del brano, atmosfera che la prima versione inglese, se pur interessante, non aveva ugualmente rispettato. A noi piace molto e spero che ottenga la stessa risposta positiva che abbiamo avuto a Tokyo durante il concerto.

Due brani che amo molto, la title track strumentale e “Il matto e l’aquilone” ci riportano alle atmosfere dei Gentle Giant… Un omaggio ad un gruppo che vi ha sempre ispirato od un semplice caso?

Lo strumentale è un omaggio a “Fase” del primo album che a sua volta fu molto influenzato da "Return to Forever" di Chick Corea. Per quanto riguarda "Il matto e l'aquilone", se ci si forma su delle basi classiche studiando a fondo il contrappunto rinascimentale, l'arte della fuga, il canone e via dicendo, succede spesso che si viene associati a chi ha fatto lo stesso percorso. Noi stimiamo molto i Gentle Giant come d’altronde anche altre band dell’epoca, ma i nostri riferimenti sono sicuramente più antichi. In ogni modo, questo progetto è come un libro che si legge dall’inizio alla fine senza pensare troppo ai vari capitoli e va preso come tale nella sua interezza.

L’album dura “solo” 45 minuti. Una scelta voluta o avevate altro materiale che per una ragione o per l’altra è rimasto fuori dalla lista definitiva e che magari vedrà presto la luce? Credete magari di pubblicare anche la versione in inglese de “La fabbrica delle nuvole” o credete nella “bontà” dei testi in italiano… come me ad esempio…

Una scelta voluta quella di inserire nell’album solo i brani con i testi di Roversi e di posticipare l’uscita del brano “L’isola” registrato sempre in studio con il testo di Adelio Cogliati che uscirà prossimamente su vinile con lato B lo strumentale “La fabbrica delle nuvole”.
Non credo si farà mai una versione inglese de “La fabbrica delle nuvole”, anche perché o ci bussa alla porta l’anima reincarnata di Thomas Eliot oppure quei testi resteranno firmati solo da un grande poeta italiano.

Avete in programma qualche data live per proporre “La fabbrica delle nuvole”? E quali brani del primo lavoro troveranno spazio nei set live?

Stiamo programmando le uscite live e sicuramente nei concerti di presentazione del nuovo disco penso che lo spazio per i pezzi del vecchio album sarà abbastanza limitato.

Oltre 40 anni sono passati tra il primo ed il secondo album. Nel mezzo un cofanetto “antologico” ed un live. La chiusura di un cerchio? O l’inizio di una nuova avventura?

Ci piace pensare che sia l’inizio di una nuova avventura, il futuro non lo possiamo prevedere, ma sicuramente fino a quando avremo le forze e le idee continueremo a fare la musica che ci piace.

Grazie per la disponibilità e a presto.



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