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FRANK SINUTRE Giovanni Carta
 

In questi ultimi anni abbiamo avuto l'occasione di conoscere i mantovani Frank Sinutre, duo composto da Michele Menghini e Isacco Pavanelli, con la loro artigianale e piacevole commistione di tendenze elettroniche/ambient, indie pop-rock italiano ed istanze un pochino più articolate e perchè no, progressive... Proprio in questi giorni hanno ultimato il loro Reactabox e abbiamo così colto l'occasione per organizzare questa piccola intervista:


Mi piacerebbe iniziare parlando per prima cosa del vostro Reactabox: avete iniziato questo progetto circa sette anni fa, come una evoluzione più economicamente abbordabile dell'esoterico Reactable, controller midi dall'interfaccia decisamente innovativa reso famoso da Björk... Il vostro Reactabox è arrivato alla terza versione, realizzato anche attraverso il crowdfunding, probabilmente quella definitiva. Raccontateci della genesi del Reactabox e delle varie vicissitudini che avete dovuto affrontare per dare vita alla realizzazione di questo progetto.

Era il 2017: stavamo completando le sessioni di registrazione del nostro terzo disco quando la piattaforma di crowfunding “Music Raiser” ci contattò per offrirci supporto nella realizzazione di un progetto musicale. Molti artisti che si appoggiano a Music Raiser cercano risorse per realizzare album in studio o per girare videoclip di buon livello… Ecco, noi non avevamo bisogno di realizzare album o video; ma il reactaBOX3 ce l’avevamo in mente da un po’, così abbiamo colto l’occasione: volevamo introdurre qualche miglioramento rispetto alle versioni precedenti: i reactaBOX1 e 2 infatti si suonano alla cieca… i cubetti vanno posizionati sul piano ma non si vede esattamente quello che succede: i controlli vanno manovrati “a orecchio” e spesso questo penalizza la precisione sul controllo dei suoni.
Il nuovo progetto ha risolto il problema introducendo effetti grafici integrati nello strumento: il piano dove si appoggiano i cubi diventa uno schermo su cui appaiono informazioni utili.
Fortunatamente la campagna su Music Raiser si è conclusa con successo. Da li in poi abbiamo passato un bel po’ di tempo a progettare CAD, selezionare e ordinare componenti; programmare e debuggare il software… a dir la verità si è rivelato un progetto più complicato del previsto. Ma ci tenevamo ad arrivare in fondo; lo dovevamo ai nostri raiser ovviamente. Così dopo una lunga sessione di taglia, lima, avvita e salda, e dopo snervanti test che finivano con la voglia di lanciarlo dalla finestra, siamo riusciti a completarlo.
Il 31 marzo scorso, dopo aver raggiunto il setup definitivo solo poco prima con una modifica last-minute l’abbiamo lanciato, non dalla finestra, ma sul palco dell’Arci Chinaski di Sermide.
Da adesso in poi il RB3 entra titolare sul palco con noi. Potete venire a provarlo dopo i nostri concerti (senza drink in mano).

Ho colto l'occasione per riascoltare il vostro ultimo cd "The Boy Who Believed He Could Fly", uscito nel 2017, mi sembra che le sonorità dei Frank Sinutre si siano fatte più glaciali, disincantate e cinicamente urbane, qualche ombra si è addensata e le atmosfere non sono più così relativamente spensierate o serene come nel precedente "Musique Pour Les Poissons", ovviamente non senza quel filo d'ironia che vi contraddistingue; la forma canzone è più consolidata ma anche il desiderio di esplorare territori più astratti, penso al lungo pezzo strumentale di 16 minuti di eteree improvvisazioni glitch... Mi sembra dunque l'occasione buona per dare uno sguardo generale alla vostra attività musicale dal primo cd "La Colpa Della Leonessa" e sul vostro metodo di produzione e composizione.

Come per gli altri dischi abbiamo deciso di registrare tutto in casa, cioè nella casa di campagna dove proviamo, sinceramente si hanno molte più possibilità di ritornare sui pezzi e aggiustarli anche a distanza di tempo. Anno dopo anno, disco dopo disco, abbiamo inoltre cercato di perfezionare costantemente il nostro processo produttivo dalla composizione, alla creazione di una base, alle prese degli strumenti, al processing dei suoni, e infine nel mixaggio, passando intere serate a fare esperimenti e a fare esperienza. Ed errori... Ovviamente.
Entrando nello specifico dei tre dischi pubblicati, rispetto al nostro secondo disco “Musique pour les Poissons” in cui ogni traccia nasceva da una piccola jam di partenza che spesso già suonavamo nei live, in questo terzo disco si è deciso di elaborare canzoni partendo da zero, senza averle suonate prima in studio o in qualche live. La sostanziale differenza è che “Musique” lo suonavamo già dal vivo molto prima che uscisse il release digitale e diciamo che i pezzi si sono costruiti strada facendo a forza di live set, mentre per “The Boy Who Believed He Could Fly” tutto il processo compositivo e produttivo è stato strutturato interamente in studio, cioè in casa (tornando al discorso di prima).
Il nostro primo disco invece "La Colpa della Leonessa" ci ha dato una grande opportunità: quella di incontrarci per realizzarlo. Dal momento che consisteva in una colonna sonora (per lo spettacolo teatrale “La Colpa della Leonessa” inserito nel Festival de Teatro Social di Valencia in Spagna nel 2012, regia di Anna Volpi e soggetto di Alessia Colognesi) dovevamo sostanzialmente scrivere su commissione: seguendo un canovaccio articolato in 10 atti dovevamo realizzare 10 tracce come commento musicale. E' stata un'esperienza molto divertente, in cui abbiamo registrato tantissime parti: dal suono di legni che si rompevano registrati e inseriti in un sequencer, al spunti di banjo, kazoo, molte tracce di percussioni, e addirittura uno strumento a corda che assomigliava a un sitar ma era fatto in casa in compensato, e poi un'infinità di suoni d'ambiente (dalla stazione di Ferrara affollata, a suoni di docce, moke del caffè, accendini...). A ripensarci bene fu davvero un'esperienza stupenda. Tutti gli strumenti li suonammo noi. In realtà anche ora (a parte in qualche featuring), ma per quel disco suonammo e producemmo davvero tante parti, provando, riprovando, sbagliando e via così...

Tenendo conto che Arlequins si occupa prevalentemente di progressive rock, ci piacerebbe sapere come si pongono i Frank Sinutre, come formazione prevalentemente di elettronica borderline, verso un certo tipo di musica... Direi che i Frank Sinutre possono avere tutte le potenzialità per orientarsi ulteriormente verso forme di musica imprevedibili e non facili da etichettare..

Siamo abbastanza convinti che per certi versi la musica assomigli un po' ad una gelateria, dove a più riprese, per non sbagliare, conviene assaggiare tutti i gusti. E assaggiando si impara a distinguere, a trovare similitudini, a mescolare, cercando di non precludersi mai nulla né di nuovo né di vecchio. In un certo senso per noi è sempre valida la frase “Odio tutti i vecchi che snobbano la musica dei giovani e odio tutti i giovani che snobbano la musica dei vecchi”; è un po' la nostra regola. Abbiamo molti artisti di riferimento vecchi e nuovi. Forse però non ha molto senso parlare di vecchio e nuovo per una cosa così bella e senza età come la musica. La musica è un po' come un tapis roulant in fondo, dove tutto torna e scompare sempre.

Infine mi piacerebbe che ci descriveste un po’ le vostri esibizioni dal vivo, in tal senso i Frank Sinutre sono piuttosto attivi e vista anche la peculiarità del Reactabox l'approccio live in concerto dev'essere abbastanza diverso dal solito... Guardando la vostra pagina Youtube inoltre ho apprezzato i due video promozionali realizzati largamente in stop-motion per il vostro ultimo cd... Come sono stati realizzati? Prevedete di approfondire ulteriormente anche gli aspetti più multimediali della vostra musica?

Quello che ci interessa di più è che le persone che ci ascoltano siano incanalate verso un’atmosfera che li faccia star bene: teniamo poche luci (luci di wood) in modo che il campo visivo si svuoti e lasci spazio solo a pochi dettagli: i soli rossi delle nostre T-shirt, gli adesivi fluo sulle chitarre, e il reactaBOX. Pare che ogni oggetto che sta nel nostro campo visivo occupi, per così dire, una porzione di “RAM” del nostro cervello. L’ambiente illuminato in modo selettivo ed essenziale serve a liberare un po’ di RAM per concentrarsi sul paesaggio sonoro e le sue trasformazioni. Come hai già sottolineato, la forma “canzone” per noi è abbastanza consolidata anche nei live; tuttavia l’utilizzo del reactaBOX, così come l’impiego di svariati effetti su chitarre e voci, rende tutto più liquido e adattabile alle varie situazioni. A volte si improvvisa, si jamma o, semplicemente con un cenno, si decide di allungare la coda di un pezzo.
I video invece sono tutti realizzati da Giovanni Tutti, amico, videomaker eccellente. Possiamo considerarlo il terzo componente della band.
In una sua versione più multimediale, il live stesso viene integrato dalla performance visiva di Giovanni che, armeggiando con il suo controller video, lancia, mescola e manipola sequenze video in tempo reale.
Si è affezionato alla tecnica dello stop-motion quando abbiamo fatto il video per Someone’s Dub: uno stop-motion misto tra Lego e plastilina. Sosteneva di poter fare “tutto in una notte”. Ci vollero 6 mesi in realtà!! Tra le sue varie doti artistiche, la pazienza e la cura del dettaglio sono probabilmente le principali. Se non ce le hai, lo stop-motion non fa per te: si tratta di passare ore e ore a scattare una foto dopo l’altra. E dopo queste “ore e ore” hai girato solo pochi secondi di video. Dopo Someone’s dub, sono arrivati i video di “Driving Thru a City by Night”, con due pupazzi di pezza come protagonisti in giro per diverse città per incontrarsi e a seguire sempre in stop motion “Sunset with Sunrise”, realizzato interamente con pongo colorato. Sunset è probabilmente il lavoro più grande mai realizzato da Giovanni Tutti; è un video leggermente “hard” che parla di amore, di accoppiamento e di riproduzione (dalla meiosi, alla formazione dello zigote, alla gestazione) e infine la nascita. Di come la vita si propaga da una generazione all’altra.



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