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MUSEO ROSENBACH Luca Rodella
 

Benvenuti innanzitutto sulle pagine di Arlequins, togliamoci subito un peso: da dove deriva il vostro nome?

Deriva dalla moda di quegli anni di chiamare i gruppi con nomi tipo PREMIATA FORNERIA MARCONI, BANCO DEL MUTUO SOCCORSO e simili. Noi avevamo pensato a qualcosa tipo INAUGURAZIONE MUSEO poi abbiamo visto che la parola INAUGURAZIONE suonava male, è rimasto MUSEO e da un libro ho preso ROSENBACH che deve essere un filologo, un editore tedesco... senza particolari motivi, se non il fatto, abbastanza suggestivo, che in tedesco questo significhi ruscello di rose.

Zarathustra è uno dei principali termini di riferimento utilizzati per definire il prog sound italiano anni 70 e questo è di per se garanzia dell'Indiscutibile originalità e forte personalità del lavoro; avevate comunque qualche musa ispiratrice oltremanica?

GENESIS e GENTLE GIANT. Eravamo all'epoca afìcionados dell'etichetta VERTIGO, quindi c'erano tutti quei gruppi come URIAH HEEP, CRESSIDA, che fra l'altro credo sia un gruppo di studio visto che non ha mai fatto concerti... Molto mediocri! Però sai... Per quanto riguarda poi l'Italia, senza dubbio il BANCO.

Il MUSEO ROSENBACH viene al giorno d'oggi considerato uno dei migliori gruppi di prog italiano... come venne accolto all'epoca?

In maniera molto contraddittoria, perché abbiamo avuto un lancio buono da parte della Ricordi, tante che siamo andati al Festival delle Nuove Tendenze a Napoli proprio in coincidenza dell'uscita del lavoro, dove abbiamo appunto notato l'appoggio della casa discografica, mentre abbiamo avuto un freno dalla RAI... nota che siamo nel 1973, quindi un'epoca piuttosto controversa anche politicamente. La RAI ha visto la copertina nera, ha visto il riferimento a Nietzsche, ha visto quel busto di Mussolini che è stato fra parentesi aggiunto in una seconda versione della copertina dal fotografo della Ricordi senza che noi, pivellini, dicessimo nulla... fatto sta che tutti questi piccoli segni hanno fatto sì che venisse attribuita al MUSEO un'etichetta politica di destra. E' stata fatta proprio una censura; posso ad esempio dirti che a parte Massarini, che ci chiamò a Per voi giovani, e Caterina Caselli, che aveva una trasmissione musicale sempre alla radio, nessuno ci diede la possibilità di fare ascoltare il disco.

In effetti la scelta di riferirsi a Zarathustra può essere facilmente travisata anche se nel libro Così parlò Zarathustra ci si può veramente trovare di tutto... dipende dalla chiave di lettura, dallo spirito critico con cui lo si affronta.

Esatto, ci si può trovare di tutto! Il linguaggio di Nietzsche è sicuramente un linguaggio di destra ma vedi... io, che sono il responsabile di questa scelta contenutistica, a quel tempo facevo delle ricerche su Nietzsche. Leggevo un'edizione critica di due che si chiamano Colli e Montinari che stavano correggendo un po' le strutture date dai nazisti al testo di Nietzsche... perché è stato proprio manipolato! Hanno preso gli appunti che aveva la sorella ed hanno cambiato delle parole. Adesso, quando tu hai sotto mano il testo critico, il linguaggio di destra appare molto ammorbidito... Il Nietzsche che è diventato padrino del nazismo non esiste filosoficamente, assolutamente! Aveva, e questo è certo, una concezione d'élite, ma da li ad andare a finire alla politica... no di certo.

Il fatto che il testo del vostro disco sia stato cambiato nell'imminenza di registrare è dovuto a considerazioni di questo tipo? Avete cioè voluto ammorbidire le posizioni o avete anzi voluto accentuarle per colpire, per scuotere ed uscire dall'anonimato?

No, era proprio una questione lessicale; le parole che avevamo scelto non andavano bene per la resa sonora in sé ed allora abbiamo mantenuto la sostanza del discorso ma abbiamo modificato i termini. Il busto di Mussolini e tutto il resto, come ti ho detto, ce lo siamo trovati. Se vedessi ad esempio il bozzetto che avevamo preparato noi per la faccia di Zarathustra che sta in copertina noteresti che è un collage composto da ritagli di vecchi templi, piramidi, rovine... cose del genere che dovevano richiamare il MUSEO. A Cesare Monti, il fotografo Ricordi di cui ti parlavo prima, piacque l'idea ma pensando che il messaggio non fosse abbastanza forte rifece il collage mettendoci tutta quella tiritera si ringraziano il dentifricio, le lapidi di coloro che morirono drogati ecc con il quale noi non c'entriamo nulla, così come non abbiamo alcun ruolo con le braccia sul retro copertina.

Gira voce che un pezzo del vostro disco non sia Made in Museo ma vi sia stato regalato da un gruppo al momento del suo scioglimento, IL SISTEMA; è vero?

E' vero. E' l'ultimo quarto della prima facciata, in pratica tutto lo strumentale. Il nostro chitarrista, Merogno, era il chitarrista del SISTEMA, gruppo guidato da Luciano Cavanna, il bassista Assieme Ciro Penino alla batteria avevano abbozzato la suite in questione per poi prendere un flautista, tale Leo Lagorio, e mettere definitivamente in piedi il pezzo. Quando poi Cavanna è diventato Testimone di Geova ed ha mollato, il gruppo si è spappolato e Leo ed Enzo sono venuti da noi portandosi dietro questo pezzo che è stato completamente adattato all'ottica MUSEO, ma è vero che l'idea originaria è del SISTEMA.

Veniamo ai giorni nostri: i ripescaggi che hanno presentato vostre pseudo-rarità e live performance; cosa pensate di quella che, a nostro avviso, fu una vera e propria disavventura per il nome Museo Rosenbach?

Che è una disavventura micidiale! Anche perché la decisione di dare il via a queste registrazioni è avvenuta in maniera un po' equivoca. Mi spiego: io avevo dei nastri risalenti all'epoca, che erano dei nastri fatti con un registratore Geloso, quello con i tasti rosso, bianco e verde... Erano fatti in cantina proprio per provare come venivano i pezzi registrati; c'era poi un live fatto sempre con un registratore a nastro ma di quelli... Puoi immaginare, parlo del 72, 73. Mi sono stati richiesti per fare un disco, un disco. Mi sono stati pagati ed è stato fatto questo primo album mettendo il live... che a me non dispiace perché da una dimensione un po' diversa, ma erano le cose che facevamo immediatamente prima del disco, quindi mi andava anche bene. Poi però, con gli avanzi ed altre registrazioni provenienti dall'organista, delle quali io non conoscevo neppure l'esistenza, ne è stato fatto un secondo... quando ho saputo dell'intenzione ho avvertito che la roba era troppo scarsa, ci sono proprio degli errori, sono prove! Fu un'ingenuità, allora avevamo in testa altre cose e non seguimmo molto la vicenda.

...All'epoca avevate altre cose in testa. Ed ora?!

In prospettiva futura c'è la possibilità che possa uscire un altro disco del MUSEO ROSENBACH. E' ancora prematuro parlarne ma vorremmo una cosa fosse chiara: la prossima uscita non dovrà essere interpretata come un revival. La cosa che ci terrorizza è che le esperienze creative di adesso possano essere considerate come un tentativo di mantenere un sound che era di venti anni fa. Sono passati 25 anni e noi, in questi anni, ci siamo evoluti musicalmente: Giancarlo ha fatto della musica commerciale, io ho aiutato lui nel lavoro con i MATIA BAZAR, Enzo trafficava con altro genere di musica. Adesso che ci siamo rimessi assieme è chiaro che non possiamo essere come venti anni fa; abbiamo le stesse idee sul taglio dei pezzi, sul genere di messaggio in senso musicale, però ci sono delle evoluzioni che sono incontestabili e quindi non mi piace pensare a cose tipo torna il MUSEO ROSENBACH. No, questa è una riproposta musicale che vuole essere moderna: è sempre l'identità MUSEO ROSENBACH, c'è sempre il modo un po' manieristico di fare musica, il mimare certi atteggiamenti sinfonici per poi andare sul rock, fare dei salti violenti di situazioni... questo resta sempre il segno distintivo è però chiaro che i suoni e ad esempio la scelta di certe soluzioni melodiche per il canto risentono di vent'anni di cose tipo Peter Gabriel nella versione etnica e via dicendo.

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