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HAMMILL, PETER Francesco Fabbri
 

Il mitico nome di Peter HAMMILL evoca un meraviglioso fantasma: quello dei VAN DER GRAAF GENERATOR, band dal prog assolutamente unico, con i suoi tratti criptici ed ossianici posti su di un'intelaiatura tipicamente romantica. La luce del Generatore si è ormai spenta da 15 anni; Peter HAMMILL ha proseguito la carriera solistica fino ai giorni nostri con estrema dignità. L'occasione di rivederlo in concerto al Teatro Puccini di Firenze ha in effetti rappresentato un evento memorabile: di fronte a 500 persone Peter, completamente solo ed accompagnandosi con tastiere o chitarra elettrica, ha offerto ben due ore di emozioni incredibili. Attingendo prevalentemente dal repertorio più recente, ha avvinto un'entusiastica audience con la magia della sua voce, inalterata nel tempo e sempre caratterizzata dall'alternanza di urla lancinanti e bisbigli sommessi.
Prima del concerto, ho parlato per mezz'ora con questo gentleman inglese, molto disponibile ed acuto.


Peter, per quale motivo ritieni che gruppi come VAN DER GRAAF o anche GENESIS abbiano avuto inizialmente più successo in Italia che non in Inghilterra?
Penso che dipenda dalla vostra tradizione lirica ed operistica che è sicuramente più importante di quella inglese. Paesi come l'Italia o anche la Spagna sono istintivamente più portati verso sonorità solenni o romantiche e sono molto attenti a tutto ciò che provoca una risposta emozionale.
La tua voce, così singolare e teatrale, non ha eguali nella storia del rock. Come sei arrivato ad una impostazione del genere?
All'inizio ero solo scrittore di canzoni e cantautore. Entrato nei VAN DER GRAAF, mi resi subito conto che il suono dei vari strumenti era in effetti particolare, il modo in cui venivano usati sperimentava, ricercava cose nuove. Subito pensai che dovevo ricreare un'atmosfera simile anche con il cantato, ma i primi tempi sono stati duri: dopo cinque concerti di fila era rimasto senza voce! Andando avanti, ho però capito come potevo fare: cantare forte era necessario per farmi sentire anche in presenza di strumenti molto loud come l'organo o il sax elettrico; a ciò dovevo però alternare momenti più pacati, sussurrati. Indubbiamente il vantaggio di fare concerti da solo è che la voce è l'aspetto più importante e sono svincolato da problemi di qualsiasi tipo.
Quando componi un pezzo, privilegi la musica o i testi?
Non si possono scindere i due aspetti. La magia di una canzone risiede proprio nella compenetrazione, nella perfetta relazione che si riesce ad instaurare fra lato melodico e lirico.
Da dove è partita l'idea di realizzare una rock opera dedicata a "The Fall of the House of Usher" di Edgar Allan POE?
L'idea embrionale risale addirittura a venti anni fa, quando Chris Judge SMITH mi disse che aveva scritto un libretto per quest'opera. Però, nel corso della mia carriera, non avevo mai trovato un arco di tempo sufficientemente lungo per dare finalmente compimento a questo lavoro. A un certo punto mi sono reso conto che non potevo più aspettare, dovevo decidermi a concluderlo. Anche se il mio entusiasmo giovanile verso POE, il genere gotico o anche la science fiction è in parte tramontato, trovo che quel racconto si presti particolarmente bene ad essere trasposto in musica.
Cosa ne pensi dei videoclips?
La distorsione che provocano è che mentre la musica non offre direttamente immagini ma permette di vederne molte, i videoclips racchiudono una sola idea visiva annullando tutte le altre. Con questo non voglio dire che non esistano, in assoluto, dei video interessanti, io stesso ne ho realizzati. Certo è che se l'alternativa è fare un videoclip o un nuovo disco, scelgo senza esitare il nuovo disco.
Come giudichi la tecnologia moderna applicata alla musica?
La trovo interessante perché ritengo indispensabile imparare qualcosa di nuovo ogni volta che mi trovo a dover incidere. L'album "Skin" ('86) ha rappresentato per me la prima occasione di utilizzare sequencers, samplers eccetera. E' una maniera differente di fare musica, molto utile in sala di registrazione: però non mi sentirei di usare mai questi sistemi in una performance live, credo che dal vivo sia preferibile cambiare qualcosa ad ogni esibizione e non offrire sempre quella stessa nota in quello stesso punto.
Apprezzi qualcosa del panorama musicale attuale?
A casa ascolto molta musica classica e blues, ma non il rock di oggi. Ho tre figlie che stanno cominciando a seguire gli artisti di ora e quindi dovrò finire con l'interessarmene anch'io (sorride); ma, per uno come me che è fuori del business attuale è molto difficile riuscire ad apprezzare qualcosa. E' strana la mia situazione di "artista senza compromessi": io non li ho mai voluti ma nessuno me li ha neanche proposti! (Ride)
Tornando ai VAN DER GRAAF, l'interno della copertina di "Pawn hearts" (il gruppo in camicia nera e saluto fascista) ha fatto nascere molte discussioni sulla vostra collocazione politica...
Stavamo semplicemente facendo un gioco, durante quella session fotografica. Dopo due o tre ore, ci venne in mente di assumere quella posizione. Esaminando poi le stampe, pensammo subito che quell'immagine dava l'idea di una forza incredibile. Logicamente sorse una discussione per il timore di essere fraintesi, ma scegliemmo quella foto perché ci sembrava molto VAN DER GRAAF, potente, con la consapevolezza che tanto tutti sapevano che non eravamo fascisti. E' stato solo un gioco visuale.
Cosa ne pensa un personaggio pubblico come te di quest'ondata di razzismo che sta attraversando l'Europa?
E' un problema molto duro e difficile, di proporzioni impensabili anche solo due o tre anni fa. Una questione che ci riguarda tutti e che va affrontata molto seriamente.
Potremo mai vedere il magico nome VAN DER GRAAF su un nuovo disco?
Assolutamente no. Per me avere un gruppo è qualcosa legato all'età giovanile; andando avanti, è importante realizzare se stessi al di fuori di una band. Magari torneremo a suonare insieme due, tre o quattro alla volta, ma io intendo preservare il nome dei VAN DER GRAAF. A me dispiace veramente vedere che i gruppi di oggi si riformano, fanno un nuovo disco e poi vanno in tournée suonando due pezzi nuovi e per il resto materiale vecchio. Questo è ridicolo, significa negare che la vita sia un'evoluzione continua: non si può essere gli stessi di quando si aveva vent'anni.
Sei approdato dunque, come artista, ad una dimensione più intimista. Ti senti oggi realizzato, come uomo?
La piena realizzazione forse non arriva mai; posso dire che oggi mi sento un uomo maturo, ma dentro di me batte sempre il cuore di un teenager.
Perché il progressive rock non riesce più ad essere un fenomeno di massa?
Piaccia o no, ogni movimento è fatalmente destinato ad avere un inizio ed un termine. In parte anche la tecnologia ha determinato la fine di un certo modo un po' sterile di fare prog, legato a virtuosismi fini a se stessi, che peraltro i VAN DER GRAAF hanno sempre cercato di evitare. Per ascoltare i veri virtuosismi è meglio rivolgersi a RUBINSTEIN e alla musica classica in generale.
Il miglior disco dei VAN DER GRAAF...?
(Esita) Non so... è difficile dirlo... forse, per il primo periodo, "Pawn hearts" è il più rappresentativo, insieme con "The least we can do...".
E di Peter HAMMILL?
Qui è proprio impossibile rispondere; i dischi sono davvero tanti e tutti diversi uno dall'altro... Emotivamente è naturale sentirsi più legati alle ultime composizioni; poi magari, trascorso del tempo, si diventa maggiormente critici verso quegli stessi pezzi.
Cosa ci dobbiamo aspettare, ora, da Peter HAMMILL?
Il nuovo disco uscirà in questo periodo e sarà molto diverso dall'ultimo "Fireships". Mentre quello era infatti molto calmo e classicheggiante, basato sul colore dei vari strumenti, il prossimo sarà suonato con chitarra elettrica, basso e batteria e quindi più d'impatto. Conservo assolutamente un notevolissimo entusiasmo per la musica, devo andare avanti a tutti i costi!

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