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CHALIBAUDE Chalibaude Cezame 1976 FRA
 

Se vi piace il prog folk non potrete fare a meno di innamorarvi di questo album in cui i motivi ed i suoni della tradizione vengono rielaborati con l’aggiunta di strumenti elettrici ed un approccio sinfonico progressivo. Chalibaude, espressione presa dal dialetto della regione del Poitou che significa “fuoco di gioia”, è un gruppo di cinque musicisti che si sono riuniti per creare una musica originale a partire da canzoni e da arie tradizionali delle provincie francesi dell’ovest (Poitou, Angoumois, Aunis-Saintonge). Michel (chitarra acustica, basso, ghironda, dulcimer, flauto di Pan, voce) e Christian (chitarra acustica ed elettrica, basso, crumhorn, bottleneck, chalumeau, banjo, voce) vengono da Châtellerault, Jojo (violino, organo) e Popoff (batteria, percussioni e flauto) da Nantes ed infine Francis (ricerca dei documenti e crumhorn) proviene proprio da Poitiers che è la capitale della regione del Poitou.
Da questa musica traspira tutto l’amore dei musicisti per la tradizione della loro terra che rivive attraverso sonorità variopinte e gioiose impreziosite da arrangiamenti complessi e dinamici ma allo stesso tempo piacevolmente fruibili. A prevalere sono gli strumenti acustici e tradizionali mentre quelli elettrici intervengono a sostegno del sound in maniera misurata, senza ingrassare la musica. Proprio questo gioco di equilibri fra tradizione e innovazione dona all’opera una luce particolare: mentre ci si perde fra i ritmati intrecci folk all’improvviso spuntano qua e là a rinfocolare l’interesse delle belle aperture sinfoniche. E’ questo il caso della meravigliosa title-track, una canzone nuziale del Poitou, che si apre con l’allegro ronzio della ghironda e che esplode nelle battute successive grazie all’inserimento di un basso jazz-prog e di una batteria leggera al cui ritmo danza uno spigliato violino. I testi delle canzoni, selezionate attraverso un attento lavoro di ricerca, sono divertenti e ci riportano all’ingenuità e alla semplicità del mondo contadino. Ben tre sono i brani dedicati alle nozze e comprendono, a parte quello appena citato, “L’alouette et le marlot”, che apre il lato B, e la bellissima e particolare “La cuiller et la marmite”, collocata invece in posizione centrale sul lato A. Quest’ultimo è un pezzo del Poitou (uno raro esempio di canzone con versi di 9 ed 11 sillabe, cosa che contribuisce a darle un bel movimento ritmico) che rappresenta un dialogo fra una madre e il suo futuro genero che avviene attraverso graziose simbologie basate sugli attrezzi da cucina. Due sono i brani scritti nel dialetto del Poitou: il primo è “La messe à Poitiers”, una canzone satirica che parla di un contadino il quale, rimasto sbalordito da una funzione religiosa a Poitiers, che interpreta a modo suo, racconta ai suoi amici tutto quello che ha visto... a partire dalla statua che domina la piazza che egli scambia per il sovrano in persona e che ovviamente non può contraccambiare il suo saluto destando il suo disappunto. L’apertura è affidata alle solenni note dell’organo che viene presto soppiantato da una bella chitarra arpeggiata che prosegue il suo percorso di accompagnamento per tutto il brano, fornendo l’ordito per un tessuto musicale che si arricchisce via via di particolari. L’altro è “Jarni Perrot”, anche questo basato sul racconto di un contadino che descrive ai suoi compaesani quello che ha visto in un viaggio a Bordeaux e si trova a rispondere alle domande più assurde. L’impianto di questo pezzo appare abbastanza rockeggiante, con parti vocali dal sapore cantautoriale e begli intrecci fra un violino rustico e la chitarra suonata con il bottleneck. Vi è poi un ultimo brano cantato, “La fille du Rochelais”, che parla della disperazione di una innamorata che non vuole veder partire il suo fidanzato per la guerra e cerca di comprare il suo congedo. Questi, deciso comunque ad andarsene, una volta in mare, vedendo una nave inglese arrivare alla carica, crede invece che si tratti della sua amata che viene a prenderlo.
I pezzi strumentali sono ben 5 su un totale di 11 e comprendono “Arantelle”, l’unico brano di questo album scritto dagli Chalibaude, che prende la forma di un cupo e sofisticato prog sinfonico un po’ alla Kansas, in cui si inseriscono intermezzi più marcatamente folk. Molto particolare è anche il successivo e delicato “La maîtresse du voltigeur”, una melodia del basso Poitou interpretata con il flauto di Pan, strumento che, contrariamente a quanto comunemente si crede, è diffuso da secoli nell’Europa dell’ovest ed in particolare in Francia, come specificano gli Chalibaude nelle note di copertina. “Le retour dau guaret”, brano di chiusura del lato A, è ancora una melodia tradizionale del basso Poitou, interpretata questa volta da una chiassosa ed allegra ghironda. Lo strumentale di apertura, “Là-bas dans ces Prairies”, una canzone d’amore tradizionale di cui viene qui ripresa solo la melodia, è utilizzata sia come intro che come outro all’intero album. La troviamo quindi replicata anche alla conclusione del lato B a chiudere come in un cerchio questa bella raccolta di racconti sonori.
Una piccola curiosità riguarda infine lo studio di registrazione che è lo Studio de Milan di Parigi, lo stesso utilizzato dai Magma per la realizzazione di “Üdü Wüdü”. Inutile aggiungere che l’acquisto di questo album, non proprio facile da trovare a dire il vero, è vivamente consigliato.

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Jessica Attene

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