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WARD ET FEDRIZZI Ward & Fedrizzi Unidisc 1978 FRA
 

Strano che questo duo sfugga alle cronache del Progressive Rock, se non altro perchè Ward è quell’Alan Ward che nel 1981 è divenuto il violinista degli Univers Zero, non certo un gruppo di secondo piano. In questo caso il duo, formatosi nel 1974, composto da Alan Ward (violino, metallofono, pianola, tuba sintetica, percussioni) e Michel Fedrizzi (voce, chitarra, armonica e arpa giudaica), inglese il primo e francese il secondo (più precisamente di Nancy), non ha nulla a che vedere con l’avanguardia ma si dedica ad un genere musicale che loro stessi definiscono “Folk contemporaneo”, come riportato sulla splendida e variopinta copertina del loro primo disco. L’album non è un’opera folk a tutti gli effetti ma un’opera moderna nell’approccio, pervasa dal folk. Il cantato, spesso a due voci, e le liriche poetiche donano a questo disco un sapore cantautoriale e confidenziale e la musica, languida, elegante e acustica è intrisa di vaghi ed affascinanti umori psichedelici. Un ruolo importante è ovviamente sostenuto dal violino di Ward e dalla chitarra acustica di Fedrizzi che si intrecciano in maniera più o meno complessa a seconda del pezzo. Non si tratta di un disco perfettamente omogeneo e troviamo quindi momenti strumentali ritmati e gioiosi, molto influenzati dal folk celtico come “Procession”, la seconda traccia, una allegra e festosa giga, “Messe”, che specularmente viene collocata in seconda posizione, ma sul lato B, dalle atmosfere medievaleggianti, ed infine “Théodore”, l’ultimo strumentale dell’album, che è anche il pezzo di chiusura del disco, una sorta di danza irlandese guidata dal violino. Ancora delle forti atmosfere celtiche le troviamo in “Once Upon a Time”, l’unico brano cantato in lingua inglese, delizioso ed evocativo. “Le chercheur d’or”, il terzo pezzo della prima facciata, ha delle atmosfere country blues un po’ scanzonate con liriche che possono ricordare un po’ lo stile di Boris Vian. Decisamente cantautoriale e un po’ distante dal mood complessivo dell’album si presenta la solare e quasi infantile “Je me deveinululle”, con i suoi ritornelli cantabili e un ritmo allegro scandito dalla chitarra e da un metallofono, con il suo tintinnio che lo fa somigliare più che altro ad un giocattolo per bambini. Volutamente ho lasciato in fondo le tracce più interessanti come “Histoire”, un pezzo firmato da Fedrizzi (il primo del lato B), che si apre con un cantato piuttosto gutturale e volutamente goffo che poi si evolve inaspettatamente verso soluzioni psichedeliche molto d’effetto, o come “Coeur et musique”, che campeggia ancora sul lato B, malinconica, oscura e solenne, dai suoni potenti costruiti su fitte pennate di chitarra che agilmente riempiono ogni spazio sonoro. Ma i brani più belli in assoluto sono “La Princesse”, posto in apertura, con i suoi gentili impasti sinfonici ma soprattutto la superba “Le chat noir” che da sola vale l’acquisto dell’album, con le sue belle tinteggiature psichedeliche, gli intrecci di chitarra e violino e le superbe atmosfere Genesisiane à la “Trespass”. L’album, uscito per l’etichetta parigina Unidisc, specializzata in folk, musica etnica e cristiana, si guadagnò all’epoca 5 stellette nel celebre settimanale francese Télérama e ancora oggi conserva tutto il suo fascino, discostandosi un po’ dalle classiche uscite prog-folk francesi grazie al suo eclettismo e alla sua non affiliazione a nessuna corrente tradizionale ben identificata. Si tratta in effetti di un disco che non ha particolari coordinate geografiche in assoluto ma che sicuramente si inserisce bene nel contesto di quello che noi in generale identifichiamo come Progressive Rock. Mi sento di consigliare vivamente il suo acquisto, anche se, come abbiamo detto, non tutti i pezzi sono sugli stessi ottimi livelli, pur non perdendo mai quella piacevolezza che è comune a tutte le tracce dell’opera, indipendentemente dallo stile che prevale in una o nell’altra.
Poco dopo il duo si trasforma in trio (Fedrizzi Ward & Poc), con l’aggiunta di Gilbert Poclin (canto e tastiere), e realizza un album omonimo che è anche l’ultimo che vede la collaborazione fra Ward e Fedrizzi. Questo secondo lavoro è decisamente più cantautoriale e anche meno interessante del suo predecessore, ma comunque da non disprezzare assolutamente.
Dopo cinque anni di festival, concerti e passaggi radiofonici e televisivi le strade dei due musicisti alla fine si dividono. Fedrizzi rimane in Francia mentre Ward se ne va in Belgio e, fra le altre cose, contribuisce alla fondazione dell’etichetta Carbon-7. Nel 1998 Fedrizzi ottiene il premio speciale della giuria al festival franco tedesco delle arti contemporanee di Saarbrücken e ancora oggi si dimostra molto attivo. Fra i suoi impegni c’è quello di insegnante di chitarra alla MJC Pichon di Nancy e di canto alla scuola di musica Crescendo nella stessa città. Nel 2008 si segnala una reunion con Alan Ward che ha portato a qualche saltuario concerto ma niente di più.

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Jessica Attene

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