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HIGH TIDE Precious cargo Cobra Records 1989 UK
 

Autori di due album da culto per la Liberty nel 1969 e nel 1970, gli High Tide mettono su nastro per la medesima casa discografica dei nuovi brani che sarebbero dovuti finire su un nuovo lavoro. Ma a causa degli scarsi riscontri commerciali, come si usa dire in questi casi, non se ne fece niente. Nel 1989, finalmente, la Cobra Records riesumò il “reperto”, pubblicandolo con immagini di booklet esoteriche ed inquietanti, interpretando bene il nuovo corso che il gruppo stava per intraprendere. Se in questi casi è lecito parlare di bonus tracks, la ristampa non ne contiene.
Su questo benedetto terzo lavoro della band di Tony Hill e Simon House c’è sempre stata parecchia confusione. Rimasto inedito in qualche cassetto per parecchi anni, la dicitura “Live Album” apposta al momento della pubblicizzazione sui vari cataloghi e siti web ha portato a dare le più svariate interpretazioni: concerto di brani inediti ripulito dai rumori del pubblico, composizioni frutto di estemporanee jam sessions, pezzi suonati in studio in presa diretta che sarebbero dovuti finire sul terzo album mai pubblicato…
A dirla tutta, la terza ipotesi è senza dubbio la più verosimile. Si sente chiaramente che le canzoni sono ben strutturate e che non possono assolutamente essere delle improvvisazioni. La verità è che come su accennato “Precious Cargo” sarebbe dovuto essere davvero il terzo album dell’Alta Marea, proseguendo quell’evoluzione musicale che stava portando Hill e soci verso territori sempre più psichedelici e malinconici.
Che la psichedelia fosse comunque al centro dello storico primo album “Sea Shanties” è fuori discussione, ma in quel lavoro datato 1969 gli High Tide adottavano un sound parecchio hardeggiante, spesso caotico e (diciamolo pure) delirante.
Con il secondo omonimo si passò ad un approccio decisamente più “ipnotico”, nonostante non mancassero le sfuriate. Nello stesso anno vengono incisi i nuovi brani ed il violino elettrico di Simon House intreccia arabeschi che sembrano sempre più appartenere a qualche civiltà sprofondata in mezzo al mare. La chitarra di Tony Hill è meno caotica e più delineata, nonostante gli intrecci strumentali continuino ad essere il marchio di fabbrica della band.
Da questo punto di vista l’iniziale “Blood Lagoon” è emblematica, con quella voce profonda che dà l’impressione di essere stata ubriacata da chissà quale sostanza (guarda un po’ che casualità…!). Bellissime le seguenti “Quest” e “Inflight”; la prima che si apre con il solito arpeggio dal sound “antico” e che sembra condurre in qualche battuta di caccia nelle Ande, la seconda che dà davvero la sensazione di spiccare il volo da qualche cima di montagna per poi vagare in un cielo lisergico tra evoluzioni ed impennate.
La misteriosissima ed ancestrale “Ice Age” è uno di quei pezzi che i ‘Tide pubblicheranno nelle loro uscite postume fino alla nausea. Qui, probabilmente, la loro versione migliore, con il cantato profondo di Hill che narra, grazie ad un tappeto strumentale solenne, di epoche appartenenti alla Notte dei Tempi. Di grandissimo effetto l’uso del pianoforte.
Energica e dilatata “Movie Madness”, in cui Hill cesella note su note ed il violino fa da controcanto lontano, mentre sembra decisamente più vicina al secondo album la lunga “Exploration”, che è appunto un’esplorazione di qualche angolo della mente acceso da chissà che additivo (a tratti sembra una versione “stoned” del Frank Zappa di “Hot Rats”).
Si chiude con “Rock Me On Your Wave”, altro brano lungo, che inizia col caos e poi si va assestando su un pacato delirio dal retrogusto vagamente blueseggiante. Da pelle d’oca il violino di House.
Il gruppo, causa problemi economici, non pubblicherà quello che, per chi scrive, è il loro migliore album di sempre. Band e relativi componenti avranno modo di ricomparire sul mercato nei decenni successivi, in altre modalità ed altre forme. Ma questa è un’altra storia. Anzi, sono tante altre storie.

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Michele Merenda

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