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WERNEER, RENÉ L’habit de plumes Philips 1977 FRA
 

René Werneer, violinista di origini fiamminghe di estrazione classica, è sicuramente un personaggio centrale nella storia del folk francese, genere che spesso propone in chiave elettrificata e con arrangiamenti decisamente progressivi. L’incontro con il folk avviene grazie all’amico Gabriel Yacoub, fondatore dei celebri Malicorne, col quale, nel 1971, agli inizi della sua carriera, suona in duo offrendo un repertorio di pezzi della tradizione inglese ed irlandese. E’ l’epoca in cui sorgono i primi folk-clubs, alla nascita dei quali i due contribuiscono attivamente, e vi è un grosso fermento culturale in Francia che catalizza l’attenzione del pubblico. René affina le sue qualità di violinista folk in Inghilterra che visita nel corso di numerosi viaggi assieme a Gabriel. Sempre insieme i due divengono compagni d’avventura di Alan Stivell unendosi al carrozzone della musica bretone. Con il grande arpista Werneer registra ben quattro album in quattro anni, in due dei quali (“A l'Olympia” del 1971 e “Chemins de terre” del 1972) appare anche il diciottenne Yacoub che suona il banjo, il dulcimer, il salterio e la chitarra. Le qualità di violinista folk di René, che finirà presto con l’essere considerato dalla stampa specializzata come uno dei migliori al mondo, sono ormai apprezzate anche oltre i confini esagonali ed in particolare in Inghilterra e in Irlanda, dove il musicista si trova a suonare con lo storico gruppo dei Planxty. Nel 1972 e nel 1973 partecipa due volte al celebre festival di Kertalg (Moëlan sur Mer) dal quale viene estratto un LP che contiene anche pezzi del violinista da solo e in compagnia di Yacoub. Come accennato, René suona nel 1974 e nel 1975 negli album di Stivell “E Lagonned” e “In Dublin” ma alla fine dell’anno il musicista bretone si orienta verso altri progetti sciogliendo la propria band e tenendo con sé solo il chitarrista Dan Ar Braz. A questo punto il nostro violinista fonda il gruppo YS con il quale stampa, nel 1976, lo splendido album “Madame la Frontière” che ebbe peraltro un certo successo. Nonostante questo il gruppo si scioglie alla fine dello stesso anno e tre dei suoi membri realizzano un altro disco come Keris mentre René entra nei Malicorne per rimpiazzare provvisoriamente Laurent Varcambre. Ma René ha altre aspirazioni ed il suo cammino artistico lo porta nel 1977 a realizzare il suo primo album solista, “L’habit de plumes”. Per l’occasione, oltre al fidato violino, René suona dulcimer, harmonium, organo positivo (un piccolo organo a canne) e portativo (un organo di dimensioni minori che può essere adagiato sulle ginocchia) e canta, con uno stile fra l’altro molto piacevole che ricorda in parte quello dell’amico Gabriel nei Malicorne. Lo accompagna in questa avventura una folta schiera di musicisti con Claude Alvarez-Pereyre (chitarre, violino, organo portativo e harmonium), Jean-Luc Chevalier, futuro chitarrista dei Magma e dei Tri Yann (chitarre e basso), Claude Le Péron (basso), Jean Chevalier (batteria e tamburo) e Brian Gulland, proveniente dagli inglesi Gryphon (fagotto, crumhorn, flauto a becco), ai quali si aggiungono gli archi di Timothy Kraemer (violoncello) e Gustav Klarkson (viola) a completare un quartetto con i due violini di René e Claude.
Il disco, registrato in Inghilterra con l’ausilio dell’ingegnere del suono degli Steeleye Span, Jerry Boys, comprende otto tracce, quattro per lato, di ispirazione tradizionale, con arie provenienti da diverse regioni della Francia e del Québec, riarrangiate con maestria ed originalità da René e da Claude Alvarez che cura in particolare gli interventi del quartetto d’archi. Il sound è, come accennato, in parte elettrificato ma è al tempo stesso impreziosito da intarsi dal sapore rinascimentale, elementi sinfonici e da atmosfere psichedeliche decisamente penetranti. E’ il caso ad esempio della title track che apre l’album in maniera monumentale e che deriva da una canzone popolare ricavata da due diverse tradizioni orali, la prima raccolta nel 1918 da un contadino del Québec e la seconda nel 1900 da un abitante di Morvan, in Borgogna. L’abito di piume del titolo è quello di un uccello che sembra aver scelto la sua livrea colorata appositamente per passare la propria vita a cantare. L’incipit è dominato da tinte oscure, con gli arpeggi della chitarra elettrica che rendono l’atmosfera plumbea e allo stesso tempo misteriosa, ricordando per certi versi i Led Zeppelin di “No Quarter”. La porzione centrale è dominata dagli intrecci solenni dell’organo positivo e di quello portativo mentre il finale si arricchisce del contributo elegante degli archi. “La fille aux dragons”, qui proposta in una variante della regione del Gévaudan in Occitania, spicca in questa versione per le sue cadenze rock-fusion scandite dalla chitarra elettrica di Jean-Luc che contrasta con i barocchismi del quartetto d’archi ed i suoni antichi del Crumhorn e del rustico flauto a becco, apparendo al tempo stesso solenne e in un certo qual modo grottesca. “Belle, je me suis levé” proviene ancora dalla tradizione del Québec ed è innervata da belle linee di chitarra elettrica con un intrigante gioco ritmico della batteria in un insieme abbastanza asciutto che oscilla fra tradizione e innovazione e che ricorda molto i Malicorne. “Reel de Saint Irénée” è un brevissimo strumentale per solo violino posto a chiusura del lato A come a fare da graziosa cornice.
Apre il lato B “L’ordre du Roi”, un pezzo della regione del Poitou con un testo in dialetto potevino. Gli arrangiamenti sono in questo caso particolarmente brillanti con una bella alternanza di momenti acustici, in cui prevale il cantato, posto in primo piano, e momenti elettrici eleganti e movimentati che potrebbero per certi versi ricordare i Gentle Giant. A seguire viene collocato il secondo ed ultimo pezzo strumentale dell’album, “Basse danse d’allevans”, con i particolari accostamenti cromatici dati da fagotto, flauto a becco e harmonium, assieme ai delicati arpeggi del dulcimer e della chitarra acustica. “La Saint Madeleine”, scandita dal ritmo del tamburo e del tamburino, regala suggestioni antiche con arrangiamenti delicati ed un cantato sommesso ed ipnotizzante. A chiudere il lato B, e l’album intero, viene collocato il brano più lungo, “Les métamorphoses”, che comunque non raggiunge i dieci minuti di durata. Il testo proviene da tre diverse varianti raccolte nella regione di Poitou-Charentes, in quella dei bassi Pirenei e nello Champagne fra la fine del 1800 e gli inizi del ‘900. La dolce ripetitività dei versi e la monotonia del cantato sono gli elementi che più da vicino ci riportano alla tradizione, gli arrangiamenti invece sono moderni e sofisticati con elementi cameristici e rock accuratamente intrecciati. Molto belle come al solito le colorazioni cupe dell’organo portativo e del fagotto mentre la chitarra elettrica di Jean-Luc rende i suoni più accesi. Le atmosfere progressive hanno sul finale qualcosa di Genesisiano aggiungendo così ulteriori particolari a un’opera di per sé davvero singolare.
Nel 1978 René pubblica un secondo album solista, "Ecoutez tous pauvres et riches", che segue lo spirito del predecessore. Nel 1980 registra con Catherine Ribeiro il disco "La Déboussole" e l’anno successivo è la volta dell’album "Musiques traditionnelles et savantes pour les violons", un’opera acustica suonata in duo con Claude Alvarez-Pereyre. Più tardi René lascerà la sua carriera di musicista per dedicarsi all’insegnamento anche se va ricordata la sua storica e recente esibizione assieme ad Alan Stivell all’Olympia di Parigi il 16 Febbraio 2012 per celebrare il quarantesimo anniversario dello storico album.
Per finire bisogna precisare che il disco oggetto di questo articolo non è proprio facile da trovare, almeno a buon mercato, anche se il suo ascolto è sicuramente un passo fondamentale per gli appassionati di prog folk, soprattutto per la bellezza e per l’originalità degli arrangiamenti ma anche per il valore indiscusso dei musicisti che vi prendono parte.

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Jessica Attene

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