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RAMSES La leyla Sky Record 1975 GER
 

Ramses, un nome che evoca imponenti testimonianze di una civiltà, quella egizia, cosi sottilmente ricca di fascino e di mistero da esercitare ancora oggi il suo possente magnetismo nei confronti delle presenti generazioni. Accade così che RAMSES sia anche il nome di una semi-dimenticata band progressiva tedesca degli anni '70 (nulla a che vedere con un'omonima pessima band belga di hard rock commerciale di cui circola un recente CD intitolato "Faith in rebirth"), la quale, in un arco di tempo compreso tra il '75 e l'81, licenziò tre LP per l'etichetta germanica Sky, una label il cui ricco catalogo è ben conosciuto dagli appassionati più attenti grazie anche e soprattutto alle realizzazioni di gruppi della statura di Octopus, Streetmark, Faithful Breath e Straightshooter (quest'ultimo sottovalutatissimo quanto valido combo di hard-prog dalla vena tipicamente teutonica). Il quintetto dei RAMSES, guidato dai membri fondatori Hans Dieter Klinkhammer (tast) e Herbert Natho (v), esordisce su vinile nel 1975, esattamente a tre anni di distanza dalla sua formazione, ed il risultato - pur non potendo farci gridare al capolavoro - è più che buono, trovandoci di fronte ad un vero e proprio classico minore del rock progressivo tedesco, sicuramente lontano, in termini di qualità assoluta, dalle ben conosciute vette espressive dei vari Eloy, Epidaurus, Triumvirat e Novalis, ma altrettanto equidistante dall'irritante mediocrità e semplicità di formazioni quali Kreuzweg o - ebbene sì! - gli adoni Anyone's Daughter. Il sound contenuto nei solchi del loro primo LP "La leyla" incontra invece quasi pienamente il gusto filo-germanico del sottoscritto, trattandosi di una pressoché riuscita operazione di osmosi ed amalgama tra tipici barocchismi romantico-sinfonici da una parte ed elucubrazioni cosmiche di più o meno stretta derivazione teutonica dall'altra (l'ago della bilancia pende però sempre e nettamente dalla parte dei primi, beninteso), risultando il Ramses-sound come una sorta di riproposizione personalizzata - vedasi l'uso spesso hardeggiante della chitarra elettrica - di quelle atmosfere così care, tanto per fare un esempio molto vicino a noi, alle Orme del classico "Felona e Sorona". Il risultato sono dunque 6 brani di durata medio-lunga in bilico tra space-rock, rock sinfonico e hard-prog, e l'unico appunto che mi sento di poter muovere ai RAMSES - ferma restando una padronanza strumentale di tutto rispetto - è la voce poco incisiva di Natho, quivi impegnato in una interpretazione che talvolta poco giova, a mio parere alla compattezza e robustezza del prodotto finito."Noise" è la bella opener del disco dai pregevoli contenuti ambientalisti, dove fanno subito bella mostra di sé le onnipresenti tastiere di Klinkhammer, in particolare l'organo, spesso e volentieri doppiato dalla chitarra di storta di Norbert Langhorst. "Someone like you", la cui intro riecheggia i primi Eloy, è un bel brano rockeggiante il cui repentino break di basso funge da introduzione agli insistiti assoli di chitarra e tastiere, mentre in "American dream" l'influenza dei maestri di "Dawn" ed "Ocean" si fonde con quella degli ancor più fondamentali Pink Floyd (si noti la chitarra alla Gilmour). Sul lato B tengono invece banco i virtuosismi tastieristici di "Devil inside" e l'impressionante solennità della title-track, sicuramente il miglior brano dell'album, una sorta di summa stilistica della filosofia musicale dei RAMSES, con ancora le tastiere di Klinkhammer a dettare le atmosfere. Che dire dunque in conclusione di questo lavoro? Sostanzialmente un ibrido, esso paga forse e paradossalmente lo scotto del suo coraggioso ed antisettario non-allineamento; ai lettori più illuminati il doveroso compito di estrapolare dunque ciò che di buono (ed è molto, credetemi) è in esso contenuto.

Massimo Costa

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