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BARCLAY JAMES HARVEST Berlin: A concert for the people Polydor 1982 UK
 

Compito precipuo delle cosiddette Relics dovrebbe essere, a ben vedere, la valorizzazione di quei gruppi, più o meno sconosciuti, appartenenti al fitto sottobosco progressivo europeo e mondiale; questo non è certo il caso degli inglesi (originari della cittadina di Oldham) BARCLAY JAMES HARVEST, una band di indubbia caratura mondiale, che però in Italia non ha mai goduto di un seguito numericamente molto consistente né da parte del pubblico progressive né da parte della critica specializzata (in tutta la mia carriera di collezionista ed appassionato non ho mai avuto il piacere di conoscere un loro fan dichiarato). A chiunque voglia colmare la propria eventuale lacuna riguardo ai BJH consiglio l'ottimo live "A concert for the people", un rilevante episodio della loro ricchissima discografia - 1968 l'anno del debutto su vinile - registrato in quel di Berlino Ovest nell'agosto del 1980, il quale ben testimonia lo storico concerto tenuto nell'allora divisa ex capitale tedesca dalla band del chitarrista John Lees e del bassista Les Holroyd, un evento questo che travalicò il semplice aspetto musicale, rivestendo anche una precisa connotazione "politica" (la polizia berlinese, temendo forse complicazioni diplomatiche, ostacolò l'intenzione dei BJH di direzionare parte dei propri amplificatori al di là del famigerato Muro che all'epoca divideva il settore occidentale da quello orientale e comunista).
Venendo all'aspetto più squisitamente musicale il disco in questione contiene alcune perle di rock sinfonico e romantico di pura matrice "inglese", vale a dire l'iniziale "Berlin", "Mockingbird", "In memory of the Martyrs" e "Child of the Universe", con particolare menzione per la prima, una struggente dichiarazione d'amore per la città tedesca, le cui sublimi e soffuse note di pianoforte rimarranno per sempre indelebilmente impresse nella mia memoria. I BJH sono autentici specialisti delle melodie (anche vocali) ad effetto, peraltro mai banali o scontate, come nel caso della succitata "Mockingbird", la cui intro, liricissima, con voce e piano a duettare in piacevole armonia, sfocia in un granitico riff di chitarra elettrica, come a ricordarci che il Progressive è pur sempre una branca del Rock. Anche in "Loving is easy" le chitarre si fanno più graffianti e sporche, senza mai beninteso sconfinare nell'hard-rock, mentre in chiusura di facciata troviamo "Sip of Wine", un momento di concessione al più facile ascolto, ma con il marchio di fabbrica della BJH a garanzia di qualità ed a tutela dei timpani dell'ascoltatore più esigente. In apertura di side B il levigato rock romantico di "Nova Lepidoptera" (la farfalla, o lepidottero, è da sempre il simbolo dei BJH) funge da ideale ponte di collegamento con quello che a mio avviso resta il brano più entusiasmante dell'album, quella "In memory of the Martyrs", episodio della tarda parabola artistica dei BJH, che, a due passi dal Muro di Berlino, si ammanta di una straordinaria carica emotiva ed evocativa, un sentito omaggio a chi, nel nome della libertà, vi perse la vita nel tentativo di superarlo. L'anelito cosmico (peraltro presente, anche se in misura minore, in altre composizioni del gruppo) di "Child of the Universe" è il degno suggello di un disco da non sottovalutare assolutamente; la bella chitarra elettrica di John Lees è quivi impegnata a suggerire all'ascoltatore le immense profondità dello spazio siderale, e l'operazione, supportata da un limpido cantato, riesce egregiamente, tanto da far dimenticare quel soprannome ("i Moody Blues dei poveri") con cui la band fu all'epoca ingiustamente bollata da parte di qualche critico evidentemente poco amico. Se dunque vi ritenete dei seri appassionati di rock inglese anni Settanta non potete prescindere dalla conoscenza di questo gruppo, non certo fondamentale, beninteso, ma nondimeno onesto e sincero.

Massimo Costa

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