Home

 
ENGLAND Garden shed Arista 1977 UK
 

Gli England sono uno dei tanti gruppi progressivi vissuti a malapena lo spaziosi un solo LP, soffocati poi da un contesto musicale che non ha permesso loro di fare ascoltare la propria voce una seconda volta. Indubbiamente la più grande sfortuna di questo gruppo è stata quella di dover fare i conti con un periodo che di prog non voleva quasi nemmeno sentir parlare, e mi riferisco ovviamente agli anni che hanno visto l'ascesa del punk e della disco music. Tanto più che gli England, come chiaramente dà ad intendere il nome, sono (o meglio erano) inglesi e quindi di un paese che la rivoluzione punk l'ha vissuta più fortemente di ogni altro. Certo fare uscire un disco di prog puro in Inghilterra nel 1977 non deve essere stata la più semplice delle imprese e difatti corre voce (ma non so quanto sia vero) che il gruppo abbia addirittura dovuto recarsi in Olanda per farlo stampare. In ogni caso non possiamo che rallegrarci di questa tenacia, dal momento che questo "Garden shed" è davvero un buon disco, uno di quelli che non sfigurerebbero in una collezione progressiva. Bastano pochi minuti per inquadrare gli England nell'ampio parco dei gruppi ispirati agli Yes, ma sarebbe sicuramente sbagliato pensare a degli sterili epigoni. La band riesce difatti a ritagliarsi in quest'ambito un proprio spazio, grazie soprattutto ad un sound abbastanza personale, basato su di un uso massiccio del mellotron e un lavoro intenso della sezione ritmica che conferisce talvolta al brano un andamento sincopato. Inoltre, pur essendo quella suddetta la maggiore delle influenze, non è senz'altro la sola, come risulterà dalla descrizione dei brani. Il disco indubbiamente vive soprattutto sulle due suite "Three pieces suite" e "Poisoned youth" chiamate a chiudere le due facciate. E' qui che gli England concentrano le loro migliori idee compositive, che il loro suono trova uno sviluppo davvero compiuto, ed è qui, ovviamente, che si raggiungono i livelli emotivi più intensi, pur rimanendo sempre ancorati ad un incedere piuttosto brillante. Gli altri quattro brani sembrano quasi fare da contorno, da introduzione a quelli appena citati, risultando quasi sempre di livello inferiore. "Midnight madness", dopo un intro promettente e nonostante alcuni passaggi tipicamente genesisiani, si perde in ritornelli piuttosto banali; il dialogo piano-voce di "All alone", sebbene piacevole, non fa molto testo; "Paraffinalea" si rifà palesemente agli Yes, con la voce del cantante molto simile a quella di Jon Anderson, mentre "Yellow", pur avvalendosi di una chitarra hackettiana, finisce con il richiamare più i lavori solisti di Anthony Phillips ("Wise after the event") che la band di Peter Gabriel. Ciò comunque non sminuisce il valore di un disco che fa della sincerità (e come potrebbe essere altrimenti, visto l'anno di pubblicazione…) la sua arma migliore. Certo spiace dover essere noi,a 15 anni di distanza, ad avere il compito di rivalutare qualcosa di cui all'epoca quasi nessuno si era accorto. Ad ogni modo, meglio tardi che mai…

Riccardo Maranghi

Italian
English