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DAGUE Pop occitana EMI 1973 FRA
 

Il disegno in copertina, che ricorda vagamente la croce a 12 punte di Tolosa, simbolo dell'Occitania, ed il titolo stesso dell'opera ci indicano chiaramente il contenuto musicale di questo album che celebra i motivi popolari di un popolo senza stato, ma che ancora oggi trova la sua coesione linguistica e culturale. Né la crociata albigese né la schiacciante egemonia della lingua d'oil alla fine hanno cancellato cultura e tradizioni occitane e proprio da queste radici Françoise Dague ha tratto il suo grande interesse a riscoprire e diffondere gli aspetti artistici della propria terra. L'impegno di Francesa Daga (come si fa chiamare sulla copertina del disco) non si limita alla sua esperienza di cantante ma si è concretizzato attraverso numerosi progetti, fra cui la fondazione dei Ballets Occitans e del conservatorio occitano di Tolosa. Grazie anche ai suoi studi un gruppo di ricerca del conservatorio è riuscito a realizzare prototipi degli antichi strumenti popolari occitani, utilizzati anche per la musica di questo album, come il tamborin de cordas, vari tipi di flauto ed oboi popolari, la cabreta e la bodega (due tipi di cornamuse, di cui la seconda tipicamente linguadocana).

Il disco in questione si basa su rielaborazioni di motivi musicali popolari provenienti da varie aree occitane, Linguadoca, Limoges, Béarn, Guascogna e Roèrgue, e presenta tutto il fascino della tradizione dei trovatori, ma a questo impianto antico, recuperato con amore e passione, si affiancano le spinte moderne fornite dall'integrazione degli strumenti elettrici e da un approccio ricco e complesso che si allinea perfettamente allo spirito del Progressive Rock. Il pool di 9 musicisti che hanno dato vita a questo progetto comprende fra gli altri Pèire Corbefin, coreografo dei Ballets Occitans e direttore del conservatorio occitano dal 1984 al 2002, che in questa occasione suona la fisarmonica diatonica e la già menzionata bodega. Proprio questo connubio fra tradizione occitana ed approccio prog rende questo disco davvero unico ed in particolar modo interessante per quegli ascoltatori che apprezzano certe contaminazioni folk. "Lo renard e la lèbre", un motivo tradizionale del Limosino, è fra le tracce più belle dell'album e colpisce immediatamente l'ascoltatore per le sovrapposizioni fra rock, con una chitarra elettrica che cerca di farsi spazio nello squillante muro sonoro delle cornamuse, e festose melodie folk. Se immaginassimo di sostituire le chiassose cornamuse con possenti tastiere vintage avremmo ottenuto un pezzo sgargiante di prog sinfonico dagli accenni fusion, ma in questa maniera l'effetto è originale e sicuramente strabiliante ed è davvero impossibile non innamorarsi di questa canzone! Con la seconda traccia "La Trufaréla" conosciamo la voce di Francesa, stridula, prepotente ma di gran carattere. Quelle che canta sembrano quasi delle filastrocche, con versi ripetitivi e dal sapore popolare, la musica che la accompagna è movimentata, grazie soprattutto ad una sezione ritmica davvero vivace e la miscela di suoni che deriva dall'intreccio di strumenti antichi e moderni risulta quasi indecifrabile ma stranamente bella. "Hilhòta de delà l'aiga" presenta graziosi intrecci vocali, con la voce di Francesa in evidenza ed i controcanti di Pèire sullo sfondo, tagliati da un flauto invadente e sbarazzino. "A l'entorn de ma maison" è una canzone tipica della Guascogna che nella versione originale, affidata alla tradizione orale, possiamo immaginare come una specie di filastrocca cantilenata ma in questo contesto ha subito una trasformazione che la rende a tutti gli effetti un pezzo di prog folk. Sicuramente l'elemento più caratterizzante è la voce di Francesa, dalla quale è difficile estraniarsi e che guida letteralmente il pezzo. Chiude il lato A un brano cantato a due voci dal sapore pastorale e malinconico, "Las tres sòrres", che presenta dei connotati stranamente Genesisiani alla "Trespass". Apre il lato B una canzone natalizia della Linguadoca, "Cantem nadal", uno strumentale in cui tornano a farsi sentire le "cornamuse" che imprimono al pezzo un sapore vagamente scozzese. Sempre alla tradizione della Linguadoca appartiene il successivo "Nadal dels aucèls", in cui la voce di Francesa ad ogni ritornello richiama i versi di alcuni uccelli. "Jo'l pont de miràbel" è un pezzo malinconico che ricorda alcuni canti montani, dominato da voci che sembrano disperdesi nell'aria dalle alte vette dei Pirenei. "Lo mes d'Abril" ha il sapore di un canto di trovatori, con una base musicale acustica dominata da una chitarra pizzicata ed il violino in sottofondo. L'album è chiuso da un pezzo struggente del Béarn: "Triste èi lo cèu", simile quasi ad una lenta marcia funebre e con la voce di Francesa che sembra quasi partecipare al dolore evocato dalla musica.

Questo album bellissimo e particolare si trova ancora abbastanza bene anche se non proprio a prezzi bassi; si tratta dell'unica produzione a nome Dague ma non è l'unica prova discografica di Françoise, di cui ricordiamo gli album incisi con i Ballets Occitans de Toulouse. Questo rarissimo esempio di prog folk occitano vale certamente la pena di essere scoperto, per la sua unicità e anche per quel fascino particolare che gli è conferito dall'uso di un idioma bellissimo che si colloca al confine fra tre paesi: Francia, Italia e Catalogna.

Jessica Attene

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