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ASGARD L'hirondelle WEA 1976 FRA
 

Chi alla sola idea che un gruppo canti in francese prova un’immediata sensazione di orticaria sottovaluta la poeticità di questa lingua, difficile da manipolare ma che presenta, se si ha la capacità di saperne utilizzare tutte le potenzialità, una musicalità particolare ed una comunicatività davvero fuori dall’ordinario. L’esempio più calzante è fornito sicuramente dalla discografia degli Ange ma la tradizione musicale progressiva francese presenta un grande campionario di gemme di valore. Un interesse particolare lo meritano, a mio giudizio, tutte quelle opere che presentano delle contaminazioni col folk, più o meno evidenti. E’ proprio in questo ambito che la lingua francese diventa qualcosa di prezioso addirittura, rievocando tutto il fascino dei bardi e dei racconti popolari, col suo grande potere narrativo. Questo disco, il primo dei due pubblicati dagli Asgard, presenta delle profonde radici folk. Patrick Grandpierron (voce, chitarra, salterio, percussioni, flauto, violino, basso e dulcimer), forte delle sue origini normanno-irlandesi, pesca a piene mani dal repertorio popolare della sua terra, coniugando i motivi tradizionali ad un rock a tinte sinfoniche delicato ed ammaliante. Il giovane editore Georges Bernage che si offrì di produrre il primo album della band (composta, oltre che da Patrick, anche da William Ladway e da Bernard Darsh), mise a disposizione dei musicisti i suoi archivi sulla musica popolare della Normandia e sulla mitologia nordica. L'album fu registrato nel 1976 presso gli studi Champs Elysées con la direzione artistica di Guy Primtemps e si guadagnò la stampa su etichetta Warner. Grazie alla spinta della radio France Inter l'album si collocò fra le uscite di folk prog più popolari del paese, arrivando fino all'ottavo posto della hit parade degli album più venduti nel Settembre del 1976, piazzandosi fra "Hotel California" degli Eagles ed "Animals" dei Pink Floyd".
L’album si compone di 12 brevi tracce in cui prevalgono le tonalità acustiche, con il cantato evocativo in primo piano. Buona parte dei pezzi si basa su rielaborazioni di brani tradizionali, come ad esempio la traccia di apertura “Sur l’i sur l’o”, ritmata e vivace, con i suoi scioglilingua ed i suoi intrecci vocali che si susseguono in una spirale vertiginosa. La successiva “Automne” è malinconica e sognante e presenta linee melodiche morbide ed evocative, con begli inserti di flauto e violino, dal sapore un po’ rustico, ma che rendono l’arrangiamento del brano ricco ed interessante. “Au chant de l’alouette” è ancora una traccia romantica, dal sapore cantautoriale che presenta delle graziose accelerazioni con i soliti intrecci fra voci, strumenti a corde e percussioni. Anche la successiva “La payse” si basa su melodie tradizionali che ci conducono lentamente in uno spirito di serena malinconia verso lo strumentale “La branle village”, scherzoso e movimentato, che si muove al ritmo danzante delle corde della chitarra e del banjo. Il pezzo di chiusura “La dame des landes”, che viene ripetuto anche alla fine del lato B in versione strumentale, è quello che presenta dei connotati maggiormente sinfonici con parti tastieristiche più accentuate e ci ricorda come l’aspetto sinfonico in questo album è poco più che una cornice impalpabile.
Il lato B si apre con la title-track che ci fa immergere dolcemente in un clima sognante: la morbidezza degli arpeggi, il violino timido e la voce pacata di Patrick sembrano cullare letteralmente l’ascoltatore, mentre il pezzo successivo, “La fille du coupeur de paille”, ci porta in un’ambientazione festosa e danzereccia che crea un delizioso diversivo. “Rossignolet” torna su territori poetici, con le sue filastrocche cantilenate, le preziose trame acustiche ed uno stile che potrebbe ricordare quello del nostrano Branduardi. Molto delicate sono le morbide trame percussive tradizionali sullo sfondo ed i cori che fanno eco alla voce solista. In lontananza aleggia persino qualche tastiera a creare un’atmosfera avvolgente e fiabesca. La parte più bella è rappresentata però dal finale strumentale, giocoso e movimentato. “La lurette” presenta uno spirito affine alla traccia appena trascorsa e si tratta di un altro motivo folkloristico che si chiude con uno strumentale dal sapore medievale e dai ritmi vivaci e rappresenta uno dei momenti più belli dell’album. Molto delicata è anche la successiva “Les gars de Senneville”, con i suoi intrecci di violino, chitarre e voci, che ci porta verso la chiusura del disco con la già citata “La dame des landes”.
Il secondo album, "Tradition & Renouveau", pubblicato nel 1978, segue una scia più progressiva, pur non perdendo le sue forti connotazioni folk. Quest'ultimo rimarrà anche l'ultimo disco della band che si scioglierà nel 1980 ed è anche l'unico che al momento in cui scrivo è stato ristampato. Il vinile originale del debutto si può reperire con un po' di pazienza e a prezzi non esorbitanti.

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Jessica Attene

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