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ABUS DANGEREUX Happy French band Metro Records 1983 FRA
 

La mia curiosità verso questa band nasce inizialmente dal titolo di questo album, il terzo degli Abus Dangereux, che è identico a quello scelto dai connazionali Mahjun per la loro quarta produzione discografica, uscita nel 1977. In realtà il legame con i Mahjun è piuttosto labile, anche se questo album degli Abus Dangereux, proprio come quello dei Mahjun, offre una interessante miscela di jazz rock, con contaminazioni progressive, che si avvale di un linguaggio musicale allegro e spigliato. Il nome di questa band non è nuovo a certi appassionati di rock progressivo: il leader del gruppo, il chitarrista e compositore Pierre Jean Gaucher, aveva scelto infatti, per i primi due album (“Le quatrième mouvement” del 1979 e “Bis” del 1982) della sua creatura, uno stile molto debitore verso i Magma, mentre in questo nuovo lavoro inizia ad esplorare nuove direzioni, molto più vicine al jazz ma condite comunque di elementi esotici e stravaganti che rendono la musica fantasiosa, movimentata e piacevolmente fresca.
La storia della band inizia nel 1977, quando l’allora diciottenne Pierre Jean, amante appassionato del classico progressive rock di Yes Genesis e King Crimson, ma anche di gruppi come Magma, Gong e Mahavishnu Orchestra, scelse il nome Abus Dangereux, dopo aver letto l’avviso sui possibili danni alla salute riportato sul pacchetto di sigarette del bassista che era un forte fumatore. Scorrendo la biografia del gruppo scopriamo che sullo stile dei primi due album pesavano le decisioni di tutti i musicisti, dal momento che ognuno era libero di apportare il proprio contributo, ed in particolare la forte vena Magmatica era soprattutto dovuta all’azione dell’allora tastierista Eric Bono. Pierre Jean Gaucher iniziò successivamente ad avere un approccio più diretto col jazz, grazie ai suoi studi al Berklee College of Music di Boston.
Rispetto agli album precedenti, questa terza produzione presenta una line-up completamente trasformata, in cui l’unico elemento costante rimane appunto il nostro Pierre Jean, che diventa il solo ed unico compositore. Il risultato è un album estremamente equilibrato e raffinato che si muove lungo i corridoi del jazz ma che non rinuncia ad una sottile vena sinfonica di fondo. Fatto questo dimostrato anche dalla presenza di una lunga suite in 5 movimenti che ricopre l’intero lato B del vinile, intitolata “Voyage sans étiquettes” e che presenta bei riferimenti alla Mahavishnu Orchestra. Si tratta in realtà di un’unica grossa composizione in cui si percepiscono a malapena i passaggi da un movimento all’altro e che presenta continui cambiamenti di ritmi e fragranze, che avvengono in maniera consequenziale e modulata, dando l’idea di qualcosa che è sempre in movimento ma senza scossoni o repentini ripensamenti di percorso. Il lavoro di Pierre Jean alla chitarra è pulito, preciso e sofisticato ma si inserisce armoniosamente e in maniera discreta nel ricco pannello sonoro scelto per questa composizione, senza mai prendere il sopravvento sugli altri strumenti. Anzi, il ruolo preponderante appare quello affidato a Bobby Rangell, con il sax alto ed il flauto, che agisce sia da solista che da abile ricamatore delle linee melodiche principali del pezzo. Poi c’è l’aspetto percussivo, morbido e serpeggiante, arricchito dai tocchi del vibrafono e della marimba, ad opera di Arnaud Devos.
Il discorso è un po’ diverso per il lato A che si compone invece di tre distinti pezzi, ognuno dotato di un proprio carattere. “Happy Band”, che vede Frédéric Martin come ospite alla tromba, ha un approccio scintillante che trae ispirazione, come confessato dallo stesso Pierre Jean nelle note introduttive dell’album, da Mc Coy Tyner, celebre pianista jazz dallo stile molto vivace e percussivo che in un certo senso viene qui ripercorso ed omaggiato attraverso la marimba che, con le sue timbriche legnose, domina letteralmente questa composizione. Per il secondo pezzo, “Abus’ Blues”, sono stati scelte sonorità più metalliche e squillanti, come quelle del vibrafono e del sax alto, mentre la conclusiva “Aye schingao” è un omaggio dichiarato al grande Hermeto Pascoal.
Sicuramente è questo un album più jazz-rock che prog, decisamente più rifinito rispetto ai due predecessori, che però mostravano forse uno stile più accattivante per gli appassionati del nostro genere di riferimento. Nonostante questo vi invito comunque a scoprire questo disco, versatile, elegante e piacevolmente caldo e complesso, jazz rock ma estremamente prog nell’animo. Il vinile originale si trova abbastanza bene e a prezzi decisamente accessibili, motivo in più per accaparrarselo. Tornando alla storia della band, segnaliamo che nel 1985 è stato pubblicato un album live, ancora di buon livello, mentre con la successiva contrazione del nome in “Abus”, giunge anche il declino artistico della creatura di Gaucher, il quale proseguirà poi con la sua carriera solistica, costellata dalla pubblicazione di diversi dischi.

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Jessica Attene

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