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SAGA Marco Del Corno
 

La storia dei SAGA comincia tra l'inizio del declino del vecchio progressive (YES, GENESIS fra tutti) e la nuova ondata che vede MARILLION, PALLAS e IQ come alfieri. Questo forse giustifica quell'interesse mai incredibile che hanno riscosso, interesse che invece avrebbe dovuto nascere, soprattutto tra chi cercava qualcosa di veramente nuovo e particolare (ma quello era il momento dei SEX PISTOLS e...). Dalle ceneri di uno sconosciuto gruppo canadese (i FLUDD), Michael Sadler e Ian Crichton decidono di portare avanti un nuovo progetto chiamato SAGA. Quello che i due musicisti intendevano promuovere, era un discorso decisamente diverso, pur se legato a stilemi già propri di un certo progressive che non disdegna il rock più prettamente vicino ad atmosfere hard. Così in una stretta cantina del Canada, a Toronto, il gruppo nasce e inizia a suonare qualcosa che prenderà totalmente corpo solamente nel primo vinile della band, l'omonima opera, prodotta da Paul Cross. La Polydor punta molti soldi su questo lavoro e spera di riuscire a vendere molto, soprattutto negli Usa, dove questo genere trova parecchio pubblico. Sadler e Crichton sono coadiuvati da Peter Rochon alle tastiere, Steve Negus alla batteria e Jim Crichton (fratello di Ian) al basso. Michael si destreggia tra il cantato e le tastiere, mentre Ian suona tutte le chitarre, in questo disco che inizia con un brano che presto diverrà un simbolo del gruppo: How long?", anche se le vere perle dell'album sono sparse un po' ovunque, lungo tutta la sua lunghezza. Ricordo la stupenda "Humble stance", l'affascinante "Perfectionist" (puro esempio del SAGA-sound) e "Tired World (Chapter IV)". Quest'ultima è il sesto capitolo di una serie di pezzi collegati tra loro da un filo a me sinceramente sconosciuto, così come lo saranno le inquietanti copertine, rappresentanti strani e pericolosi insetti venuti dallo spazio.
Il successo non è così incredibile come ci si aspettava, tuttavia nel 1979 i SAGA sfornano "Images at twilight". Peter Rochon viene sostituito da Greg Chadd, ma il suono rimane lo stesso: tastiere potenti, con inserti chitarristici bellissimi e preziosi, sono oramai il marchio di fabbrica del gruppo. Ancora una volta è progressive di quello più pomposo e potente, eclettico e scattante. La voce di Sadler non si è addomesticata, ma continua a colpire per particolarità ed originalità. Del disco sono brani che io amo come "It's time! (chapter III)", "You're not alone", "Mouse in a maze". Quest'ultima inizia con un coro strano e affascinante per poi divenire un autentico affresco, con immagini violente, ma allo stesso tempo inquietanti e trascinanti. Tutto questo per dire che la musica dei SAGA è facilmente paragonabile proprio ad affreschi, molto, per cosi dire, omogenei, senza forti tonalità o colori accecanti. Tuttavia qua e là appare il flash, il colpo tremendo, il genio: la chitarra di Crichton o le tastiere di Sadler innescano processi che rapiscono, accoltellano e svaniscono. E' musica quindi che entra in punta di piedi, quasi saltellando (questa è un'impressione molto forte al primo ascolto), poi parte in corse pazzesche che lasciano senza fiato e tagliano le gambe.
Tornando alla storia... Il gruppo inizia un tour in tutto il mondo, per promuovere il secondo album. Escono dagli Usa, e vedono la Germania e l'Olanda, dove l'entusiasmo per loro è alle stelle, come del resto (sempre!) in Giappone. Esce poi, nel 1980, "Silent knight", con ancora copertina a soggetto spaziale. E' l'apoteosi del SAGA-sound: "Don't be late (Chapter II)", "Compromise", "Careful where you step", alcune tra le gemme. Ed è proprio l'ultima delle tre menzionate che ancora chiude le ostilità, tirando un pugno allo stomaco (ricordate: entrano in punta di piedi, poi colpiscono). Ricordo ancora "Too much to lose (Chapter VII)" e "Someone should", ma è la prima che sicuramente prenderà e ruberà il vostro cuore, ne sono certo: infatti un inizio pacato e carico di tensione sfocia in un brano stupendo, epico e potente come pochi. Ed è proprio l'epicità dei SAGA che colpisce maggiormente e questo li porta sicuramente ad avere successo, in particolar modo, in Europa, con brani che strizzano in continuazione l'occhio al melodico, senza mai scendere nel banale.
Altro tour, altro disco e questo è a parer mio il capolavoro. I SAGA trovano la dimensione giusta e l'affiatamento che fino a "Silent knight" stentava a decollare. Proprio con "S.K." arriva alle tastiere Jim Gilmur che sostituisce Chadd e Rupert Hine (nel futuro produttore dei RUSH aiuta il gruppo a trovare la giusta dimensione. Nascono nel 1981 i pezzi che porteranno al successo "Worlds apart", e ora mi riesce proprio difficile dire quale brano è il più... brutto! Tutti brillano di luce propria, con grandissime tastiere, un lavoro della sezione ritmica sempre al limite del cardiopalma, la chitarra che saltella qua e là, velocissima e precisa. Così scorrono via stupende canzoni come "On the loose", "Time's up", "Wind him up" (grande inno del gruppo), "No regrets", "No stranger (Chapter VIII)", "Conversation"... li sto elencando tutti... "The interview", "Framed" e "Amnesia". Non un pezzo si salva, e per me riesce difficile scrivere qualcosa su ognuno di essi. Sicuramente "Wind him up" mi affascina per un qualcosa che non ha "No stranger", ma quest'ultima mi colpisce per quella grande chitarra acustica al termine che non c'è in...
I SAGA sono così alle soglie di un tour mondiale che li vede toccare terre lontane come l'Ungheria, la Francia, il Venezuela, la Scandinavia. E così siamo ad una svolta, come accade spesso in queste situazioni. Esce nel 1982 un live, "In transit", registrato completamente in digitale a Monaco e Copenaghen. Tutti i brani più belli sono racchiusi in questo vinile che trova l'unica pecca nell'essere un singolo. C'è "Careful where you step", "Wind him up", "How long?", "On the loose", "No regrets", uno show carico di dinamite che ben definisce quali sono le regole del sound SAGA.
Subito dopo, e il gruppo lo sa, bisogna sfruttare l'onda del successo, così negli studi inglesi dove era stato inciso "Worlds apart", e ancora una volta con Rupert Hine, i SAGA preparano un nuovo capolavoro che tuttavia accentua un discorso pop e da classifica intravisto alla lontana già prima. "Heads or tale" (1983) è una scommessa, come dice il titolo (tradotto suona pressappoco come Testa o croce). Ma tutto va a gonfie vele e questo disco porta successo e un po' di notorietà, anche se il suono del gruppo si estremizza a livelli esasperanti, mescolandosi ad una voce più morbida di Sadler, con brani volendo più commerciali. Ma occhio! Provate ad ascoltare "The pitchman" o "Social orphan" e poi ditemi... Nulla è ancora perso, sebbene il processo ora sia irreversibile, e i problemi che non escono allo scoperto subito alla lunga diventano insormontabili.
Passano due anni prima che il crollo avvenga definitivamente con l'uscita di "Behaviour", prodotto da Peter Walsh. Non che il gruppo perda quella sua peculiarità che lo aveva caratterizzato nei primi lavori, tuttavia la vena pop di "Heads or tale" prende il sopravvento e cancella tutto, distruggendo un disco scialbo che neppure fa successo. Questo perché se la buona musica ha sempre dei cultori, l'ibrido da loro creato (incrocio tra pop e buon rock venato di prog) non ha amanti e sostenitori... non è né carne né pesce.
Il gruppo capisce l'errore e torna indietro (in parte), ma non tutti hanno il coraggio di riprendere la strada dura di concerti in locali piccoli dove la gente sotto il palco è meno di quella sopra. Rimangono così in tre, i fratelli Crichton e Sadler, a cui si aggiunge Curt Cress (ha lavorato con Elio e le Storie Tese ultimamente) come session man. I pezzi di questo "Wildest dreams" (1987) fanno fatica ad eguagliare quelli dei bei tempi, dei primi tempi, anche se sicuramente riescono qua e là a togliersi di dosso la scomoda oramai etichetta di pop song. "The way of the world" ne è un esempio, insieme a "Dont look down".
In questo periodo i SAGA ritornano ad essere una cult band: chi li amava non li abbandona, ma anche i concerti divengono meno seguiti, Il gruppo non si arrende e dopo una pausa di due anni esce "The beginner's guide to throwing shapes". Ecco a voi i SAGA e quelli veri! Tolte le vesti di pop-star, tornano ad essere il gruppo di un tempo. Intendiamoci, alcuni brani sono ancora contaminati dallo stile di "Wildest dreams", ma seguono molto di più la via tracciata da quella "The way of the world" menzionata poco prima. Un ammodernamento del vecchio sound riporta i pezzi ad un livello qualitativo buono, se non ottimo in alcuni momenti. "How do I look", "Giant", "Nineties", "Starting all over" danno il tempo e il gruppo cresce e non si ferma davanti a nulla.
I SAGA riprendono un tour mondiale e per strada ritrovano i pezzi mancanti. Nel 1993 eccoli tra noi di nuovo con "The security of illusion" e sono insieme come nel lontano 1980: Sadler, i fratelli Crichton, Negus e Gilmur. Ma l'atmosfera non è cambiata di molto, infatti l'album è un bellissimo lavoro con brani come "Mind over matter", "No man's land", "Days like these" che uniscono l'esperienza di "Behaviour" con i fasti delle origini creando un miscuglio potente e aggressivo.
I SAGA non sono gli IQ o i MARILLION, nel senso che non riescono ad essere così profondamente attaccati all'idea romantica che tutti noi abbiamo del prog. Non nascono dai GENESIS o dagli YES, ma dai RUSH e dai KANSAS e hanno generato grandi bands come i MAGELLAN o gli SHADOW GALLERY... e non per questo vanno presi alla leggera, anzi hanno dimostrato che il loro sound non invecchia, ma cresce, sta al passo coi tempi. "The security" ne è un esempio, anche se nel profondo cuore spero di poterne avere degli altri.
Concludendo vorrei spingervi ad ascoltare i SAGA, partendo proprio dalle origini, scoprendoli lentamente ed entrando nel loro mondo con convinzione e senza pregiudizi. Ricordate però di non arrivare tardi... Dont' be late!

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