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ARTEMIEV, EDWARD (I parte) Jessica Attene
 

Edward Artemiev
I parte


Introduzione


Scrivere una retrospettiva su un personaggio come Edward Artemiev è un’impresa non affatto facile per svariate ragioni. Affrontare la sua vita artistica, dalle mille sfaccettature, mette sicuramente in soggezione. Non a torto Artemiev può essere considerato come il padre dell’elettronica russa, genere che ha studiato alla radice nella sua essenza più pura ma che è riuscito a plasmare nelle forme più disparate, conferendogli dignità e rilievo anche in ambito accademico. E poi c’è il mondo del cinema, settore nel quale si è rivelato come uno dei compositori più prolifici ed acclamati, grazie anche a collaborazioni eccellenti, fra cui va menzionata in primissima istanza quella col maestro Andrei Tarkovskij.
Ma non si tratta soltanto di deferenza verso un personaggio di così alto profilo: la difficoltà nella trattazione nasce anche e sopratutto dalla mole di composizioni realizzate in tanti anni di serrata attività, che oltretutto è difficile descrivere seguendo un filo logico temporale scandito dalla pubblicazione di album. Molte composizioni non sono state in effetti mai incise, altre sono state dapprima semplicemente eseguite in pubblico e poi raccolte, a ondate successive, in album piuttosto eterogenei, contenenti materiale appartenente a periodi diversi. Alcune hanno avuto una gestazione molto lunga e su altre Artemiev amava ritornare, nel corso negli anni, per rielaborarle e perfezionarle, realizzandone quindi più versioni. E’ difficile poi raggruppare produzioni che abbracciano i più disparati filoni artistici che vanno dal cinema, al teatro, alle opere rock, alla musica accademica, culminando con l’elettronica, sfera in cui Artemiev ha raggiunto, come abbiamo detto, vertici inarrivabili.

Per ragioni di comodità ho ritenuto opportuno separare la carriera cinematografica dalle altre produzioni musicali e ho seguito in generale un filo logico temporale, sperando di rendere l’analisi di questo personaggio e la lettura dell’articolo più agevoli.

Il giovane Artemiev


Edward Artemiev nasce il 30 Novembre del 1937 a Novosibirsk, in una grande famiglia moscovita. Il suo nome, dal suono straniero, fu fortemente voluto dalla madre, anche se, per volontà della nonna, ricevette in gran segreto (a causa delle persecuzioni religiose sovietiche), in una chiesa ortodossa di Riga, anche il battesimo cristiano col nome di Alexei, col quale ancor oggi familiari e amici più stretti sono soliti rivolgersi a lui. Dopo il trasferimento del padre in un’altra città, per motivi di lavoro, Edward rimase a Mosca con gli zii. Fu proprio lo zio, Nikolai Demyanov, che insegnava solfeggio, a notare il talento musicale del nipote ed il suo orecchio assoluto. Edward, così affascinato dalla musica, al punto che amava nascondere la manovella del grammofono sotto al suo cuscino perché nessuno, tranne lui, lo potesse azionare, dopo aver sostenuto un esame di ammissione, entrò in una scuola di canto. Fu però a dodici anni che ebbe la sua prima folgorazione musicale, ascoltando lo zio che suonava dei pezzi di Skriabin, dalla cui musica rimase totalmente stregato.
Dopo il diploma alla scuola di canto, nel 1955, Edward entrò nel conservatorio di Mosca per studiare composizione ma il suo carattere, piuttosto ostile verso le regole e sempre desideroso di esplorare nuove forme, lo rendeva inadeguato ad accettare le rigide norme del sistema accademico. La sua vita universitaria non fu pertanto facile: già all’esame di ammissione, nel compito di armonia, i professori avevano contestato la presenza di numerosi accordi “anomali” per i canoni della polifonia classica. Artemiev era profondamente affascinato dai nuovi stili compositivi del XX secolo ma la pressione ideologica del Partito Comunista limitava la libertà di espressione artistica ed il repertorio di alcuni grandi compositori, come Stravinsky, era addirittura proibito. Nonostante questo, con i dovuti modi, era possibile accedere agli spartiti vietati, come quelli della nuova scuola viennese, e la passione per la musica dodecafonica era, a dispetto di tutto ciò, dilagante. Lo stesso Artemiev ricorda che rimase assolutamente colpito da Varèse che qualcuno gli fece ascoltare al conservatorio e da “Le marteau sans maître” di Boulez. Se all’inizio le idee di Artemiev erano in qualche modo tollerate, col tempo si venne a creare un ambiente via via sempre più ostile verso soluzioni compositive che protendevano verso il nuovo, interessanti dal punto di vista armonico ma spesso sprezzanti della melodia. Grazie al sostegno del suo insegnante, Yuri Shaporin (possiamo vederlo ritratto nella foto in alto, assieme alla sua classe: Artemiev è il primo a sinistra), che difendeva i classici canoni della melodia ma allo stesso tempo rispettava e sosteneva le idee dell’allievo, Artemiev riuscì a completare il suo corso di studi presentando un programma di diverse composizioni che in un modo o nell’altro fecero molto discutere. Un membro della commissione esaminatrice, al conferimento del diploma, augurò esplicitamente ad Artemiev di trovare la strada corretta nel suo universo creativo, dopo il periodo dell’anarchia studentesca dettato dall’ardente ricerca di nuove tecniche.

L’incontro con la Musica Elettronica


Ma la strada del ventenne compositore neo-laureato era evidentemente segnata e andava in tutt’altra direzione. Fu così che Artemiev si ritrovò a leggere un avviso scritto a mano, attaccato vicino all'entrata del Conservatorio, che recitava più o meno così: “coloro che sono interessati ad un nuovo equipaggiamento elettronico e che hanno la possibilità di lavorare nel campo della sintesi sonora, chiamino il seguente numero:“. Il biglietto riportava la firma ed il numero di telefono di Yevgeny Murzin, il matematico ed ingegnere che inventò il primo sintetizzatore esistente in Russia, l'ANS.

La prima esecuzione in assoluto di musica elettronica, quella del “Poème Electronique” di Edgar Varèse all’esposizione universale di Bruxelles del 1958, rappresenta l’atto di nascita ufficiale del genere, anche se gli esperimenti che portano alla sua creazione iniziano molto tempo prima e vedono la Russia come leader in questo campo.
Nel 1920 Lev Termen (conosciuto col nome di Theremin negli Stati Uniti) inventò il primo strumento di musica elettronica, il Termenvox (o Thereminvox), che è tuttora utilizzato da diversi gruppi di Progressive Rock (e non solo), ma all’epoca vi erano anche altri ingegnosi prototipi come il Sonar di Ananiev, la violena di Gurov, l'Equodin, inventato da A. Volodin e K. Kovalsky, ed il Variophone di E. Sholpo. Nel dopoguerra troviamo una nuova ondata di strumenti elettronici fra cui l'Ameritone di A. Ivanov e Rimsky-Korsakov, il Kristadin di S. Kormunsky o il Noisephone di Igor Simonov. Alcuni strumenti rimasero solo dei prototipi sperimentali mentre altri trovarono applicazione più che altro in ambito cinematografico. Per esempio il Noisephone fu utilizzato per imitare l'ululato del vento nel film “The Forty First” di Grigory Chukhrai e grazie all'Equodin furono realizzate le atmosfere sonore desertiche in “The Last Inch” (T. Volfovich e Kurikhin, 1959). Tutti questi modelli avevano in comune l'intento di ampliare la gamma degli intervalli e dei timbri sonori esistenti, senza però entrare nel merito del processo compositivo, utilizzando le categorie musicali convenzionali di allora. L'unica eccezione era il Variaphone di E. Sholpo (1929) il cui funzionamento si basava sulla trasformazione di una immagine grafica in suono e che permetteva al musicista sia di comporre che di interpretare la propria musica. Purtroppo, dopo una serie di insuccessi, gli esperimenti di Sholpo furono interrotti ma le sue idee furono più tardi riprese e trasformate da Murzin per lo sviluppo di ANS, il sintetizzatore foto-elettronico, uno strumento che non ha eguali al mondo, la cui sigla non è altro che l’acronimo del grande compositore russo Alexander Nikolayevich Skriabin di cui l’inventore era un fervente ammiratore.

L'idea di creare un sintetizzatore venne a Murzin (nella foto) già da giovanissimo, all’età di appena di diciannove anni, nel 1923. Più tardi, da studente di Ingegneria dell'Università di Mosca, si lanciò nello sviluppo concreto dell'idea. Nel 1937 realizzò il primissimo modello. Nel 1940, grazie ai suggerimenti di Nikolai Garbuzov, capo del laboratorio di acustica del conservatorio di Mosca, Murzin si rivolse a Sholpo a Leningrado e ad Avramov e Yakonsky a Mosca. Yakonsky, che all'epoca studiava armonia e timbro, sembrava la sola persona realmente interessata al progetto ma non fu in grado di risolvere un problema di vitale importanza per Murzin: trovare qualcuno che si occupasse della manifattura dello strumento. Per questo il modello sperimentale del sintetizzatore fu costruito soltanto nel 1957 e ci vollero altri due anni per le rifiniture. Nel 1959 fu infine trasportato a Mosca e collocato nel museo A. Skriabin. A questo punto c'era però un altro gravoso problema: trovare un compositore che condividesse le idee e le visioni di Murzin. Non era semplice perché in quegli anni la spinta culturale era quella tesa alla conservazione della purezza del metodo del realismo socialista, in contrasto con le mode generate dal sistema capitalista. I sospetti del mondo politico si allungarono anche su certe forme d'arte che includevano la musica dodecafonica, il minimalismo e la musica elettronica. La situazione peggiorò notevolmente quando alle voci contrarie si aggiunse quella di Shostakovich con i suoi severi giudizi che portarono i membri del partito a percepire la musica elettronica come una forma aliena rispetto al rigore del realismo della musica classica. Va comunque sottolineato che la posizione ufficiale di Shostakovich era in realtà una forma di auto-difesa per garantirsi la propria libertà di espressione e di fatto, nel 1960, questi fu uno dei primi compositori a riconoscere i vantaggi di ANS. Fu proprio grazie alla sua richiesta, avanzata nei confronti dell'allora ministro della cultura dell'Unione Sovietica E. Furtseva, che fu possibile realizzare un modello industriale di ANS che, nel 1965, fu persino oggetto di una dimostrazione alla fiera industriale di Genova in occasione della quale ottenne anche un premio.

Trovare un compositore di talento che sviluppasse tutte le potenzialità di ANS era comunque un'impresa ardua perché, se da una parte questo poteva catturare l'interesse dei musicisti, dall'altra li spaventava per il rischio di incappare nelle critiche del partito che avrebbero potuto ostacolare la loro carriera. Torniamo quindi all’avviso attaccato all’ingresso del Conservatorio… L’intraprendente Edward Artemiev rispose ovviamente all’appello ed oltre a lui si fecero avanti anche altri giovani musicisti che assieme formeranno in seguito la struttura portante dello Studio Sperimentale di Mosca di Musica Elettronica. Fra questi c'erano Alexander Nemtin, diplomato al dipartimento di composizione del conservatorio di Mosca, Oleg Buloshkin, studente dell'istituto musicale pedagogico, e Stanislav Kreitchki, un ingegnere elettronico con un'educazione musicale (potete vederli ritratti nella foto ad inizio capitolo: Artemiev è il primo a sinistra in piedi, sotto di lui, seduto, Buloshkin; al centro della foto, in piedi, c’è Niemtin; in fondo a destra c’è Kreitchki).
Nonostante la sua fervente attività, lo studio ottenne uno status ufficiale soltanto diversi anni dopo, nel 1967, quando fu regolarmente registrato presso il Ministero della Cultura.
Murzin dovette organizzare in questo periodo un'attività lavorativa per il giovane Artemiev che altrimenti rischiava di partire per il servizio di leva: gli trovò quindi un’occupazione che aveva a che fare con le tecniche di intercettazione radar e che gli permetteva allo stesso tempo di lavorare in parallelo con il sintetizzatore ANS. Ufficialmente Artemiev era nello staff del laboratorio di ricerca sonora diretto da Murzin come ingegnere senior ma di fatto si ritrovava a studiare tecnologie con cui non aveva mai avuto a che fare prima. Il salto dalla musica tradizionale a quella elettronica non fu affatto semplice e Artemiev dovette tornare studente e dedicarsi ai principi di base dell'acustica, dell'elettronica e della programmazione al fine di apprendere tutte quelle nozioni senza le quali non avrebbe potuto neanche sognare un approccio superficiale con il sintetizzatore di Murzin. Prima che il giovane fosse in grado di utilizzare ANS passò quindi del tempo, si trattava infatti di elaborare delle nuove tecniche che nulla avevano a che fare con la musica temperata e ce ne possiamo rendere conto in parte dalla complessità e dalle peculiarità del macchinario.

Lo strumento (ne vediamo l’unico esemplare attualmente esistente nella foto) era composto da generatori ottici e meccanici capaci di sintetizzare 576 toni puri con un'estensione di otto ottave, trasformando gli impulsi luminosi in onde sonore. La serie delle armoniche maggiori è composta da ottave suddivise ognuna in una scala di 72 toni (è anche possibile dividere un'ottava in 144 toni puri per un totale di 720 microtoni, che corrisponde alla soglia per la capacità di risoluzione dell'orecchio umano). Senza la suddivisione tonale della tastiera, ANS permette di utilizzare qualsiasi tonalità, sia naturale che inesistente nella vita reale: il sintetizzatore è in grado così di riprodurre sia voci che suoni artificiali, non avendo alcun limite timbrico. La musica elettronica rende possibile in definitiva l’utilizzo di una grande varietà di intervalli elementari in toni e armonie.
Il compositore può registrare i suoni incidendo un vetro coperto da una vernice opaca che non si asciuga mai. Portando via la vernice dal vetro, che corrisponde in un certo senso allo spartito, e lasciando quindi che la luce passi attraverso le incisioni, viene generato il suono corrispondente. L'intuizione originale di Murzin viene dall'elaborazione dell'idea di Skriabin di espandere i confini del sistema europeo basato su 12 toni e lo ha portato ad elaborare un modello che si basa sull'ulteriore divisione di ogni semitono in 6 parti, chiamate cromi. Nel folklore, anche in quello slavo, si possono trovare molti esempi in cui i toni non corrispondono al temperamento tonale tipico delle tastiere. Nel lavoro di ricerca svolto da Artemiev assieme a Murzin è stato ad esempio decifrato, in una canzone della regione Pinega (“Akh Vetcher”), un temperamento basato su 16 toni, dove il settimo, l'undicesimo ed il tredicesimo risultano totalmente indipendenti dagli altri.
Queste ricerche trovano espressione nella colonna sonora del primo film multi-immagine “Kosmos“ (“Into Space”), proiettato in occasione della Soviet Industrial Fair a Londra nel 1962. In quest'opera, realizzata assieme a Stanislav Kreitchi, sono evidenti le differenze fra l’approccio di Artemiev alla musica elettronica e quello dei colleghi: questi ultimi tentavano infatti di aggiustare le nuove tecniche ai classici modelli accademici di composizione, evitando la strada della sintesi di timbri armonici artificiali. Per la prima volta la percezione dello spazio è stata trasformata in suono e per la prima volta è stata spezzata la barriera dei suoni convenzionali. Le inusuali armonie spaziali ed i timbri generati da strumenti non esistenti sono stati copiati e ripetuti successivamente in moltissimi film sul cosmo, sovietici e non. Sfortunatamente questa composizione passò inosservata negli anni Sessanta, trovando riscontro soltanto diciotto anni dopo la sua creazione.

Un primo approccio con cinema e teatro


Fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta Artemiev si dedica sia a composizioni tradizionali che alla musica elettronica, ritrovandosi in bilico fra diversi campi di interesse. Ad un anno dal diploma, durante i suoi studi di decifrazione delle composizioni classiche, tesi alla dimostrazione delle teorie di Murzin, compone l’oratorio in quattro movimenti “Canzone della libertà“ (Volniye Pesni) per coro femminile, archi, piano, due corni, un gruppo di legni e percussioni, con versi ripresi dalla tradizione popolare, come quelli delle canzoni dei cosacchi del Don.
Nell’arco di due anni scrive una seconda versione dell'oratorio “I was killed near Rzhev“, in origine composto negli anni del conservatorio, che fu eseguita nella All Union House of Compositors nel 1956. Nel 1961 compone una versione sinfonica di sette miniature che costituiscono nel loro insieme una suite intitolata “Lubki“, dal nome delle tavole pittoriche colorate di esecuzione non raffinata, ma molto popolari, che venivano utilizzate come decorazione nelle case dei contadini. Seppure composte sulla base della tradizione, queste opere non erano tuttavia eseguite in pubblico, questo perché il nome di Artemiev, incluso nella lista dei musicisti dissidenti, non godeva di una buona reputazione. Nonostante alcune segnalazioni positive su riviste eccellenti come “Sovestkaya Muzika” e “Izvestia”, l’artista veniva ostracizzato dall’Unione dei Compositori, istituzione che regolamentava la politica ufficiale dell’Unione Sovietica verso la musica e che stabiliva quale tipo di musica fosse ritenuto accettabile o meno.
Sarà comunque, come vedremo, la musica elettronica che gli permetterà di diventare un compositore originale con un proprio stile ed un pensiero musicale unico, facendogli infine ottenere prepotentemente il consenso ed i riconoscimenti meritati.

Il 1963 è segnato da due piccoli episodi significativi per la vita di Artemiev, avvenuti prima che entrasse a far parte dell'Unione dei Compositori: il primo fu l'offerta di Vano Muradeli di collaborare alla scrittura della musica di un film sci-fi diretto da Mikhail Ikaryukov e Otar Koberidze, “To Meet The Dream”. Artemiev si trova così a lavorare per la prima volta per il cinema, ambiente dal quale non si separerà mai più. Il secondo è rappresentato dal debutto radiofonico presso la radio All Union, dove eseguì “The Time Will Have Run Out By Dawn” che fece interessare al suo lavoro alcuni direttori di teatro, ambito anch’esso nel quale rimarrà molto attivo durante la sua vita artistica.
Nel 1964 Artemiev ottiene il ruolo di professore di musica presso l'Istituto della Cultura di Mosca dove lavora fino al 1975. Nel 1966, con la nascita del primogenito Artemiy (che diventerà a sua volta un musicista dedito alla musica elettronica), il compositore si ritrova a dover integrare il suo magro stipendio da professore attraverso altre umili attività. Accetta quindi il ruolo di pianista da ristorante nel film “Arena”, diretto da Samson Samsonov. Questo episodio, all’apparenza insignificante, si rivela però ancora una volta cruciale nell’indirizzare Artemiev verso campi di interesse che saranno fondamentali per la sua carriera e cioè il cinema ed il teatro. Accade infatti che il compositore Rodion Shchedrin, al quale il regista aveva chiesto di scrivere la musica per alcune scene del film, rifiutò l'offerta ma raccomandò per questo ruolo Artemiev. Il nome di Artemiev non diceva nulla al regista ma dal momento che i tempi erano stretti accettò, con la clausola che se il musicista avesse fallito, Shchedrin sarebbe giunto in suo soccorso. Non solo quest'ultima ipotesi non si verificò ma Artemiev svolse il suo compito egregiamente. Il suo impegno per dimostrare la sua professionalità fu grandissimo, tanto che alla fine ottenne il risultato di trovare una soluzione cinematografica che incontrasse in maniera efficace le esigenze artistiche del regista: la storia tragica di un circo internazionale organizzato dai nazisti con i prigionieri di un campo di concentramento, la loro resistenza eroica, le torture, le esecuzioni, acquistarono realismo e atmosfere drammatiche grazie alla musica, basata sul contrasto fra le classiche melodie da circo e le soluzioni trovate da Artemiev. L'idea di base non era originale ma la musica forniva una visione organica al film che ottenne i favori della critica e si mise in evidenza rispetto a molti altri dedicati alla “grande guerra patriottica”. La prima si tenne a Mosca il 30 Agosto del 1967.
Anche i lavori teatrali degli anni Sessanta portarono Artemiev al successo. Fra questi emerge la musica composta per il balletto pantomima “Il viaggio di Chichikov“, basato sulla celebre opera incompiuta di Gogol, eseguito nel 1966 e diretto dal regista e attore Alexander Orlov. Il balletto pantomima era un genere poco affrontato, questo perché unisce la coreografia di ballo all’azione teatrale drammaturgica della pantomima ed Artemiev scelse brillantemente di utilizzare dei leitmotiv da eseguire nell’arco dell’intera performance. La prima si tenne a Mosca e rappresentò il primo riconoscimento di Artemiev in ambito teatrale, attirando l’interesse di molti direttori di teatro. Artemiev avrebbe avuto l’occasione di diventare un grandissimo compositore teatrale ma una volta ancora gli si aprirono gli spazi sconfinati della musica elettronica.

Le prime pubblicazioni discografiche


Siamo ancora nel 1966 quando Yevgeny Murzin riuscì, con il supporto di Dmitry Shostakovich, ad avere l’autorizzazione per ottenere il riconoscimento ufficiale del suo studio dedicato alla musica sperimentale: lo Studio Sperimentale di Mosca di Musica Elettronica al quale abbiamo sopra accennato. Lo studio di Murzin, allestito nell’ambito dello All Union Recording Studio Melodiya era una entità indipendente che si autofinanziava. Murzin firmò inoltre un contratto con il direttore della Melodiya, la casa discografica di stato, che avrebbe assicurato la produzione di una serie di dischi di musica elettronica.
Per mettere a punto l’accordo furono invitati rappresentati dello Studio Sperimentale di Mosca di Musica Elettronica che appartenevano alle frange più radicali fra le giovani generazioni degli anni Sessanta dell’avanguardia musicale, le cui opere generavano generalmente dissensi e ostruzionismo da parte delle autorità, catturando allo stesso tempo l’interesse del pubblico.
Mentre Sofia Gubaidulina, Alfred Schittke, Edison Denisov e Oleg Buloshkin, che avevano poca dimestichezza con questo ambito, approfondivano le loro tecniche creative verso una materia pressoché nuova, i veterani come Artemiev, Alexander Nemtin, Stanislav Kreitchi e Shandor Kallosh iniziarono a lavorare in maniera intensiva al primo album, un 10 pollici intitolato “ANS-Electronic Music“ (Melodiya - D 25631-2, 1969), il cui scopo era quello di dimostrare il potenziale artistico ed espressivo della nuova strumentazione, in grado di sintetizzare, con 16 generatori ottici meccanici, 576 toni puri su un range di otto ottave. Artemiev utilizzò per l’occasione il vecchio pezzo “Kosmos”.

Il lavoro andò avanti molto velocemente e con un tale entusiasmo che appena fu finito lo studio si preparò subito a realizzarne un altro: “The Musical Offerings“. Tutte le star dell’Electronic Music Studio furono impegnate nel progetto: Sofia Gubaidulina con “Vivente-non vivente”, Alfred Schnittke (“The Stream”), Oleg Buloshkin (“Enigma”), Edison Denisov (“The Singing of the Birds”). Il lavoro di Artemiev era rappresentato da “Mosaic“ e da un secondo brano, “Twelve glimpses at the sound of music: one timber variation“. Purtroppo però la stampa dell’album da parte della Melodiya fu ritardata, per motivi ideologici, ed avvenne soltanto nel 1990. Questi pezzi, così come gli altri di questo LP, compaiono anche nel CD "Electroshock Presents: Electroacoustic Music. Vol. IV. Archive Tapes. Synthesiser ANS 1964-971" pubblicato dalla Electroshock Records nel 1999.

Sia la composizione che la registrazione di “Mosaic“ da parte di Artemiev avvennero in condizioni di notevole stress dal momento che Murzin voleva fare una presentazione del sistema di sintesi sonora di sua invenzione nell’autunno del 1968, in occasione del primo simposio dei centri di musica elettronica a Firenze, che doveva concludersi con l’esecuzione di un’opera che avrebbe dovuto convincere l’uditorio circa le infinite possibilità di ANS nel costruire nuovi timbri sonori impossibili da creare con gli strumenti tradizionali.
Questa sfida era cruciale per Artemiev ma allo stesso tempo l’artista voleva andare oltre l’aspetto tecnico facendo rientrare quei timbri in un’opera musicale artisticamente valida e dalle forme insolite. La board del simposio riconobbe i meriti di quella composizione e la performance di “Mosaic” fu acclamata anche ai festival di musica contemporanea di Venezia, Orange, Bordeaux, Bourges e Colonia. Anche in Unione Sovietica non passò sotto silenzio e fu premiata con una piccola medaglia d’oro alla Exhibition of People Achievements (VDNKh). Comparata con le composizioni elettroniche più precoci come “Star Nocturne” del 1961 e “Etude for the Synthesizer” (1964), scritte soprattutto a scopo di ricerca, “Mosaic” ha raggiunto livelli di espressione artistica più elevati in termini di estetica e di comunicazione. L’idea era quella di combinare le tecniche elettroniche, l’analisi sonografica e la musica dodecafonica con le rappresentazioni musicali tradizionali. L’opera si divide strutturalmente in tre parti. Il primo movimento mostra in sequenza rapida i blocchi costruttivi della composizione. Essi includono la registrazione di due versioni del suono del pianoforte (keyed e string version), la voce cantata e sospiri generati dalla combinazione di suoni sibilanti e anche rumori. Tutti i suoni della serie vennero rappresentati all’inizio in maniera distorta, processati da ANS. Artemiev, processando il suono in quella maniera, voleva in un certo senso rigenerarlo, espandendo i limiti della percezione del timbro ma conservando però allo stesso tempo quelle elusive qualità che permettono all’ascoltatore di riconoscerlo inconsciamente: l’artista cercava di evocare nell’ascoltatore una impressione soggettiva del timbro che rimane sedimentata nella memoria e non una proprietà del timbro in sé. I timbri diventano degli elementi indipendenti ed autonomi che esprimono il movimento del suono nello spazio. Allo stesso tempo i cambiamenti caotici dei suoni seguono uno schema rigido con un movimento circolare divergente diretto dai registri centrali a quelli periferici in maniera simile ai cerchi concentrici che si formano in acqua. Tale effetto viene raggiunto attraverso intervalli micro-cromatici, fluttuazioni di volume che generano onde temporali e dinamiche, effetti eco e riverbero e riflessioni del suono. Tutto questo aumenta i confini dello spazio acustico attraverso prospettive diverse. Il flusso sonoro si esaurisce convergendo infine in un singolo punto che gioca un ruolo chiave nella parte conclusiva che si intitola “The timber ricapitulation” in cui è fondamentale l’esecuzione di un ritmo ostinato. La scoperta fatta da Artemiev attraverso questa composizione, suonare cioè la percezione dello spazio restringendo il suono in un punto microscopico o espanderlo viceversa all’infinito, verrà utilizzata nella colonna sonora del film capolavoro di Tarkovskij “Solaris”.

Il brano “Twelve glimpses at the sound of music: one timber variation“ (1969), contenuto sempre in “Musical Offerings”, risente della forte influenza di Yanis Xenakis e di Edgar Varèse e vuole dimostrare l’eccezionale potenzialità del temperamento microcromatico e le infinite possibilità che si aprono al compositore quando usa un equipaggiamento elettronico. Per fare questo Artemiev aveva bisogno di un background molto specifico e allo stesso tempo di un timbro molto complesso. Viene scelto il suono del temir-komuz, uno strumento tipico del Kirghizistan simile all’arpa giudaica che possiede 70 semitoni e un timbro molto vicino al suono degli strumenti elettronici. Il brano si apre con una dimostrazione del timbro del temir-komuz. Il compositore si focalizza all’inizio sul suono sol che poi fornirà la base per costruire dodici blocchi di variazioni, a loro volta suddivisibili in tre gruppi in base al tipo di trasformazione subita dal tema-timbro. Il primo gruppo comprende cinque parti, nel corso delle quali gradualmente lo spettro timbrico del suono inizia, pezzo dopo pezzo, a disintegrarsi. Tutto questo viene ottenuto tagliando via i semitoni dai frammenti attraverso varie tecniche di trasformazione: la separazione dei semitoni, il collage, la combinazione volontaria, lo shift del registro, il filtro, l’amputazione. Non a caso la quinta variazione è una specie di sintesi delle quattro precedenti in cui si sommano tutte le tecniche di trasformazione utilizzate. Nel successivo gruppo di quattro variazioni il processo di destrutturazione giunge al suo completamento: si lavora ormai su frammenti di timbro che vengono poi trasformati acusticamente settando il registratore a nastro su velocità diverse. Il culmine della destrutturazione avviene nell’VIII movimento, “Distorsion of overtones”, e a questo punto tutte le possibili manipolazioni timbriche sembrano essere giunte ad esaurimento: l’esemplificazione di questo concetto è data dal fatto che il suono che si sente al termine di questa sequenza corrisponde soltanto alla frequenza di fluttuazione prodotta dal corpo dell’amplificatore. La sequenza IX, “Symbolism”, va oltre riproducendo il rumore di un nastro vuoto dal quale tutto il materiale sonoro precedentemente elaborato è stato tirato via. A questo punto inizia il processo di ricostruzione del suono, semitono su semitono (Variazione X). Nel movimento XI “Mimicry” si ode un suono che ricorda da lontano quello del temir-komuz e sulla base di questo vengono incollati elementi eterogenei che nel loro insieme formano un unico suono monolitico e su questa coda, nel movimento conclusivo, vengono infine suonati liberamente tutti i semitoni.
Il compositore usa inoltre per la prima volta in questa occasione la tecnica del “fantasma acustico”. Il timbro e le sue diverse componenti sono prodotti con ANS disegnando su una lastra di vetro che ha la speciale qualità di conservare i suoni originali, attraverso i simboli grafici elaborati direttamente sulla vernice. Così facendo però vengono lasciati passare anche altri suoni extra, dati da punti e leggeri tratteggi appena visibili che si creano involontariamente e che entrano gioco forza a far parte della composizione. Tutte queste false note e suoni accidentali partecipano così alla creazione dell’immagine della performance.
L’esperienza maturata durante la realizzazione di questo pezzo sarà la base per i successivi esperimenti degli anni Settanta ed Ottanta e in particolare per la stesura della colonna sonora del film “Lo specchio” di Tarkovskij.

Nonostante gli evidenti progressi fatti nell’ambito della sperimentazione sonora e nello sviluppo di una scuola sovietica di musica elettronica negli anni Sessanta, l’atteggiamento dei circoli ufficiali fu sempre diffidente se non spesso apertamente ostile. Dopo la morte improvvisa di Murzin, nel 1970, i due album preparati grazie alla sua iniziativa rimasero sepolti negli archivi della Melodiya. L’esistenza dello Studio Sperimentale di Musica Elettronica a Mosca fu messa a tacere in tutti i modi possibili, sebbene le conquiste nell’ambito della musica elettronica venissero regolarmente ricordate dalla stampa. Questo silenzio creato attorno alla musica elettronica russa era dovuto alle idee conservatrici del partito e al timore di deviare dai dogmi del realismo socialista che nessuno osava mettere in discussione. Nonostante questo, il tenace Artemiev non ha mai manifestato la minima intenzione di abbandonare i suoi studi, pur dovendo sopportare le pesanti accuse di manipolare la strumentazione tecnica per traumatizzare e shockare il pubblico al fine di nascondere la sua mancanza di talento.

L’incontro con il Progressive Rock


Artemiev ricorda in una intervista che i suoi lavori avanguardistici degli anni Sessanta erano privi di emozione e per questo simili a puzzle sonori. Per tale motivo questi primi lavori sono destinati a persone selezionate e appaiono più che altro come un laboratorio di esperimenti chiuso ermeticamente. In questo periodo di preparazione Artemiev studia nuove tecniche di composizione e metodi per utilizzare le apparecchiature elettroniche, si dimostra costantemente alla ricerca di nuove strade che vadano oltre quelle tradizionali, ma allo stesso tempo inizia a capire che non può pensare a sé stesso come a un semplice architetto o ad un creatore di suoni. Deve sfruttare le sue scoperte e le sue potenzialità in senso artistico e sente l’esigenza di dover comunicare al pubblico attraverso opere che non siano fini a sé stesse.

Come spesso accade nella vita di certi personaggi straordinari le strade verso nuove possibilità si aprono fortuitamente e improvvisamente. Accadde così, per caso, che Artemiev entrasse in contatto con la musica pop, una sfera che prima di allora aveva sempre sottovalutato.
Era il 1969 quando si trovò ad ascoltare per puro caso l’album di debutto di un gruppo inglese, i King Crimson, e ne rimase assolutamente sorpreso: non dimenticherò mai quando fui invitato da alcuni ragazzi ad ascoltare per la prima volta musica pop. Ero molto scettico a riguardo ma decisi comunque di andare. E’ stato allora che ascoltai per la prima volta i King Crimson e ne rimasi shockato: era assolutamente opera di un genio. Credo che in quello stesso giorno fu determinato il mio destino.
Artemiev scoprì fondamentalmente che la nuova musica leggera non era affatto primitiva come poteva apparirgli a un primo sguardo e capì che, oltre ai gruppi che facevano musica solo per ballare, c’erano dei musicisti molto seri. Da quel momento in poi seguì attentamente le uscite successive del gruppo inglese: “In the wake of Poseidon”, “Lizard” e “Islands”. Nello stesso periodo conobbe anche le composizioni di Klaus Schulze e del gruppo tedesco Ash Ra Tempel. Fu impressionato poi da “Jesus Christ Superstar”, opera che gli fece comprendere l’estetica e le tecniche strumentali del rock. Catturarono inoltre il suo interesse i colori timbrici dei giovani musicisti della Germania Ovest, Tangerine Dream e Kraftwerk, fortemente influenzati dalla musica elettronica e dal rock. Più tardi fu la volta di Pink Floyd, EL&P e Vangelis.
Il compositore riuscì a trovare accidentalmente quello di cui andava in cerca: l’emotività e inoltre imparò l’interesse per la melodia. Artemiev non rimase a lungo un osservatore passivo e presto iniziò a far fruttare tutte le nuove esperienze di ascolto facendole convergere in un primo momento soprattutto in ambito cinematografico.

Lo stile compositivo di Artemiev subisce così col tempo cambiamenti vistosi ed incredibili e le continue trasformazioni aiutano la sua musica ad acquisire originalità e personalità. Il suo linguaggio espressivo diviene via via sempre più articolato ed aperto e l’estetica della musica rock amplifica le sue capacità comunicative. L’acquisto del synth inglese, Synthi-100, da parte della Melodiya per l’Electronic Music Studio nel 1972 fu fondamentale per mettere a frutto le sue idee.
In questo senso l’incontro con Yuri Bogdanov, uno dei migliori ingegneri del suono dell’etichetta Melodiya (possiamo vederlo nella foto in alto assieme ad Artemiev), il primo ad impadronirsi della tecnologia del Synthy-100, fu molto importante per il compositore. Fu proprio Bogdanov, nel 1972, ad avere l’idea di formare un gruppo di lavoro sperimentale nella sfera della musica elettronica, cosa che venne accolta con entusiasmo da Artemiev. Il nuovo gruppo iniziò la sua attività col nome Boomerang e includeva Vladimir Martynov (organo), Edward Artemiev (tastiere), Tatiana Gridenko (violino), Yuri Bogdanov (chitarra) e Sergey Bogdanov (percussioni). La loro prima esibizione pubblica avvenne nel 1974 presso la Moscow House of Compositors suscitando reazioni burrascose e controverse da parte dei colleghi compositori di Artemiev. Fu eseguita infatti in quell’occasione la quasi sinfonia “Seven Gates to Satori World“ composta in quell’anno e pensata per un ensemble di strumenti elettronici, chitarra, percussioni, violino e riproduzione fonografica. Questa composizione assume una posizione particolare fra le produzioni di Artemiev perché ricerca, con l’aiuto dell’equipaggiamento elettronico, una simbiosi fra le modalità espressive della musica autentica, dei nastri e della musica concreta. Allo stesso tempo vi ritroviamo riversati concetti filosofici appartenenti al buddismo Zen, passione che Artemiev coltivava dagli anni del conservatorio grazie ad un amico, e che ritroviamo in altri suoi lavori, come ad esempio la colonna sonora di “Stalker”. Il Satori è l’esperienza del risveglio spirituale, uno stato di illuminazione profonda che non si può esprimere a parole ma che dona pace ed ottimismo attraverso l’estensione oltre i confini del proprio egoismo e la consapevolezza di appartenere ad un altro mondo. In relazione a questa filosofia ogni opera d’arte deve riflettere le qualità della spontaneità e della naturalezza.

Nel 1974 Artemiev lavora ad una composizione elettronica, “Mirage“, che in un certo senso ricorda per ispirazione e realizzazione tecnica la colonna sonora del film “Solaris”. L’idea è quella dell’universo infinito, popolato da galassie in grado di generare fantasie cosmiche illusorie. Gli scenari sonori sono ampi e fluttuanti ed evocano l’impressione di uno spazio aperto ma non ostile, grazie a melodie molto diluite che si dilatano lentamente.
Più tardi il medesimo tema viene ripreso nella composizione “Noosphere“ del 1975, realizzata col Synthi-100, nata dalla teoria neo-platonica di Plotino della nascita dell’universo dall’Uno. La Noosfera, in base alla teoria di Vladimir Vernadsky, alla quale Artemiev fa più precisamente riferimento, è la sfera del pensiero umano, la quale rappresenta la terza fase dello sviluppo della Terra, in grado di modificare profondamente la vita biologica (biosfera) che a sua volta agisce sulla materia inanimata (geosfera). Per Artemiev l’essere umano si muove attraverso la comprensione delle leggi divine e la ragione guida lo sviluppo del pianeta. Nella composizione un autentico coro polifonico è stato trasformato elettronicamente in una massa colorata di suoni. L’atmosfera è ancora più rarefatta ma si condensa con lo scorrere dei minuti delineando un percorso attraverso lo spazio di queste voci evanescenti che potrebbero rappresentare l’umanità.

La composizione rock sinfonica elettronica “Pilgrims“ è ancora ricca di richiami spirituali e cosmici, rappresentando il pellegrinaggio dell’anima in altre sfere e luoghi, alla ricerca incessante della verità. L’opera, che nel 1975 non era ancora completa, rappresenta uno dei primi esempi di combinazione simbiotica di vari stili musicali. Strutturalmente la composizione si divide in due movimenti, un “Preludio” e un “Tema con variazioni acustiche”. Il preludio trae ispirazione dal cinquantesimo salmo di Davide che viene recitato in quattro diverse lingue da ospiti madrelingua. Le parti vocali sono state poi processate col vocoder e settate nel registro del baritono e trasformate poi in voci strumentali. Successivamente sono state tagliate ed elaborate secondo la tecnica elettroacustica di playback-inversione ed inversione-playback. All’incipit plumbeo e cantilenante, che rende quasi l’idea della ricerca della verità nel buio, procedendo a tentoni, si sostituisce una nuova atmosfera celestiale, una specie di stato di grazia che prende forma attraverso una voce col timbro del soprano costruita con un synth. Echi sinfonici si mescolano in una dimensione astrale con impulsi rock dati essenzialmente dalle percussioni. Il tema musicale assume una dimensione progressivamente ascendente e aumenta di intensità emotiva conquistando colorazioni vivaci.
La parte finale di questa sinfonia è stata successivamente trasformata in una composizione indipendente che porta lo stesso nome ed è stata riproposta dal vivo con successo. La possiamo ascoltare in questa forma contratta nella raccolta su CD “A Book of Impressions“, pubblicata dalla Electroshock nel 2000 e contenente anche le composizioni “Mirage” e “Noosphere”, oltre che altre opere appartenenti a diversi periodi, che vanno dal 1987 al 1993.

Nel 1977 i Boomerang si trasformarono in uno studio ensemble i cui membri cambiavano in continuazione, ad eccezione di Artemiev e dei fratelli Bogdanov.
Nel 1980 viene pubblicato per l’etichetta di stato Melodiya l’album “Metamorphoses - Electronic Interpretation of Classic and Modern Musical Works” (C10-13889-90) che Artemiev realizza con il Synthi-100 assieme a Vladimir Martynov e Yuri Bogdanov. Il disco contiene le interpretazioni in chiave elettronica, molto personali, di opere della tradizione accademica come “Sarcasmes” di Prokofiev, concepita dall’autore come una composizione per pianoforte, “Voiles”, “Canope” e “Le vent dans la plaine” di Debussy, “Io mi son giovinetta” di Monteverdi o le variazioni Goldberg numero 5 e numero 8 di Bach. L’album è infine completato da alcune composizioni originali, come “Motion”, firmata da Artemiev e Bogdanov, o “Spring Etude” di Martinov, suonate sempre con il Synthi 100.

Le Olimpiadi di Mosca e gli anni Ottanta


L’idea di miscelare vari stili musicali in una forma originale viene sviluppata più a fondo in un monumentale oratorio preparato in occasione dei giochi olimpici di Mosca del 1980 assieme ai Boomerang, dapprima nominato semplicemente “The Ritual” e poi ribattezzato col più altisonante “The Ode to the Bearer of Good News“ per la seconda versione preparata per la Melodiya, pubblicata nel 1984 (С60 21277 005).
Nel 1980 Mosca si preparava ai giochi olimpici che dovevano essere grandiosi per dimostrare al mondo i vantaggi del sistema socialista e contrastare il boicottaggio dei paesi occidentali. Per questo, oltre alle gare sportive, furono preparati numerosi eventi culturali che prevedevano la partecipazione di attori, cantanti, compositori e musicisti. Artemiev si trovò fra le persone selezionate quasi in maniera inaspettata e fu investito del compito di preparare un oratorio per le cerimonie di apertura e chiusura dei giochi. Fu così che “Ritual”, un maestoso pezzo della durata di quaranta minuti, anche a causa dell’imminente dead-line, fu scritto tutto d’un fiato in appena due mesi. Artemiev fu entusiasta dell’apparentemente semplice idea del produttore della parte cerimoniale delle Olimpiadi, Tumanov, di utilizzare frammenti della poesia “Ode allo sport” di Pierre de Coubertin, fondatore dei giochi olimpici moderni, tradotte in russo da Natalia Konchalovskaya. L’ode risuona come un appassionato appello per la pace sulla Terra ed è permeata da temi riguardanti l’amicizia e la fratellanza fra i popoli. Appare quindi solenne ma allo stesso tempo piena di speranza. La prospettiva di utilizzare un palco gigantesco, quello dello stadio Luzhniki, che accoglieva rappresentanti di popoli e culture diverse, dava ad Artemiev la possibilità di far spaziare in ogni senso il suono. La semplicità della musica popolare, la dinamica della musica rock e anche dell’elettronica, la maestosità dei cori polifonici, l’approccio sinfonico, convergono così in un’opera che concretizza l’idea della fratellanza universale. L’Ode rappresenta allo stesso tempo una summa artistica, tecnica, concettuale della vita di Artemiev, convogliando esperienze intraprese in periodi diversi. Le scoperte innovative della musica elettronica, il rock ed elementi musicali orientali ed occidentali vengono convogliati nella forma accademica dell’Oratorio, in maniera decisamente originale, facendo ricorso all’orchestra sinfonica, a un gruppo rock e ai sintetizzatori.
L’opera si struttura in sette movimenti. Il primo, “The Torch”, come suggerisce il titolo, serve come sfondo ad uno dei momenti più intensi delle Olimpiadi. In un turbinio di suoni elettronici e sul ritmo pulsante del basso svetta il suono del sintetizzatore Crumar, di fabbricazione italiana, che disegna il tema portante. La traccia acquista dinamismo grazie ad un tagliente suono di chitarra elettrica e sul finale si odono cori polifonici elaborati elettronicamente. Il successivo “Herald of Good” appare più come l’atto di un’opera rock e rappresenta l’entusiasmo della competizione sportiva. Emergono possenti parti tastieristiche che si mescolano di quando in quando alle voci del pubblico fra gli spalti, mentre il cantato, ovviamente in russo, è molto enfatico. La parte finale ha un appeal quasi new prog, soprattutto per le sonorità e sequenze tastieristiche alla Wakeman. “The harmony of the World” è un intermezzo molto dilatato in cui aleggiano in lontananza voci di donne e bambini che fluttuano in una matrice sonora che evoca la contemplazione dell’armonia del mondo. “Sport – You are a perpetual progress” riporta l’ascoltatore in una dimensione più concreta e celebra il genere umano come portatore di progresso. L’apertura è dominata da tematiche prog sinfoniche con un sound scintillante anni Ottanta su cui si innesta una parte corale molto suggestiva che ricorda i cori patriottici sovietici. “A Beauty of the Earth” è un brano lirico e di atmosfera e riflette la contemplazione della bellezza della natura che è fonte di energia rigenerante. “The Appeal”, con il suono delle campane e lo scintillante Synthi-100, ci riporta nell’atmosfera dei giochi olimpici, soprattutto attraverso delle parole, recitate come una formula magica: O sport, veniamo a te, tu sei fonte di vita, di bellezza, di perfezione… Tu sei progresso perpetuo, tu sei l’incarnazione della giustizia. La parte conclusiva è costituita dallo strumentale “Interlude”, realizzato con le tecniche combinate della musica concreta e della musica aleatorica, e dall’apoteosi “Sport – You are Peace” che si focalizza sull’idea centrale dell’intero oratorio acquistando la forma di un inno trionfante e festoso.
L’opera è stata suonata per la prima volta alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici di Mosca ed i suoi frammenti sono stati utilizzati come sottofondo nelle trasmissioni sportive. Dal quarto movimento è stato tratto lo stacchetto sonoro che faceva da simbolo alle notizie televisive e ai momenti più importanti. Ciononostante sia la stampa sovietica che quella internazionale non si sono affatto interessate all’opera di Artemiev. L’album della Melodiya venne ben cinque anni dopo ed ebbe invece un riscontro positivo, facendo guadagnare ad Artemiev un’onorificenza come benemerito artista della Repubblica Socialista Sovietica Russa. Nel 1989 il compositore presentò una nuova versione della cantata al Festival Internazionale della Musica Elettroacustica a Baltimora negli USA ottenendo un discreto successo. L’opera compare anche nel CD “Three Odes“, pubblicato nel 2002 dalla Electroshock Records, che contiene tre odi composte in periodi diversi, e si è guadagnato diverse recensioni positive.

Artemiev dimostra, con la musica composta nei primi anni Ottanta, di aver superato in maniera audace i confini che dividevano la musica accademica da quella popolare, senza sminuire il valore della sua opera rendendola rozza o banale.
In questo senso una delle composizioni più originali è l’opera rock per mezzo soprano, gruppo rock e synthi-100, “The warmth of the Earth“, con i testi di Yuri Rytheu. Artemiev incontrò Rytheu per la prima volta nel 1977 mentre lavorava ad un film per la TV e rimase colpito dal suo modo di scrivere, molto poetico. La collaborazione tra i due ebbe inizio quando Rytheu portò ad Artemiev un ciclo di versi intitolato appunto “The warmth of the Earth” che narravano dell’amore di una donna e della sua grande incorruttibile fedeltà. All’inizio furono creati nove movimenti (come si può apprezzare sull’album della Melodiya pubblicato nel 1985) ai quali Artemiev, che amava tornare indietro alle sue vecchie opere per perfezionarle, ne aggiunse successivamente altri due per una seconda versione sonora pubblicata su CD nel 1999 dalla Musea.
Nelle leggende dei popoli del circolo polare artico gli esseri umani vivono in un mondo fantastico dove la Natura, e persino le malattie, sono personificate. Queste ultime sono trasportate da un accampamento all’altro da piccole creature con le sembianze umane, i Rekkens, che si spostano su slitte trainate da piccoli cani. Queste leggende rivivono attraverso la musica di Artemiev e la voce meravigliosa della cantante Janna Rozhdestvenskaya. La musica combina elementi tradizionali a modelli armonici classici ai quali si aggiungono le innovazioni in ambito timbrico, la pacatezza tipica della musica popolare e l’espressività tecnica del rock. La ricca variabilità dei colori timbrici tipica di Artemiev viene qui amplificata attraverso la corposa applicazione di effetti speciali che in quest’opera diventano di particolare importanza. Fra le tastiere vengono ad aggiungersi il Fender piano ed il Clavinet, mentre il Phaser è utilizzato per creare l’effetto di un suono in lenta rotazione. Le parti melodiche sono divise da quelle cantate da assoli di chitarra elettrica ed il ruolo del basso e della batteria è importante soprattutto nel creare una dinamica ritmica ostinata. L’azione si divide su due piani narrativi che si sviluppano parallelamente. Il primo, strumentale, riguarda la creazione della vita sulla Terra e l’armoniosa coesistenza degli esseri umani con la Natura. Il secondo, vocale e strumentale, riguarda la storia d’amore di una donna con le sue gioie, la speranza del ritorno dell’amato ed infine la disperazione, la solitudine e la fede.
“Birth of Earth” simbolizza la nascita della Terra e della vita su di essa, aprendosi con un groviglio di rumori sia artificiali che naturali che danno un effetto da film di fantascienza. La musica è poi dominata da poliritmie cavalcate da una chitarra elettrica esuberante e dall’incalzare delle sequenze tastieristiche. In contrapposizione “Who I am” raggiunge momenti di intenso lirismo, grazie soprattutto alla bellissima performance di Janna Rozhdestvenskaya. Il terzo movimento è occupato dalla title track che si basa su un motivo dai tenui lineamenti folk costruito su trame sinfoniche delicate, quasi Cameliane, con un piano Fender sognante e una chitarra arpeggiata. Alla stessa maniera “Farewell”, che giunge dopo una più concitata “On the Side of the Milky Way”, conserva le stesse atmosfere, immerse però in un climax spaziale. La successiva “Expectation” unisce alla semplicità della chanson russa la magia di un tessuto musicale elettronico e cosmico in un insieme efficace e davvero particolare, non privo di picchi sinfonici romantici di stampo quasi new prog. Quando l’attesa diventa insopportabile alle parole della cantante, che non riesce più ad esprimere i suoi sentimenti, prende il sopravvento la musica. All’apice della tensione emotiva interviene come a disintegrare la felicità della protagonista, il movimento successivo “The Rekkens”, incalzante, teatrale e dal sapore anni Ottanta, con le sue voci filtrate dal vocoder. “Hope”, semplice e melodica, prepara la strada ad una vivace “Where are you” che ci mostra, attraverso un brano rockeggiante con basso slap in evidenza, una protagonista motivata che, dopo aver superato un periodo di malattia, decide di non arrendersi alle avversità. “The Lonely Sail” è un breve strumentale oscuro e teatrale che sembra simboleggiare un triste viaggio solitario nell’oceano della vita ma che prelude però ad un finale sinfonico che trasuda ottimismo e che si profila come una specie di inno all’uomo, alla natura e alla vita: “Hymn to a Human Being”.

Nel 1982 Artemiev realizza con la celebre cantante pop lituana Gintare Yautakaite (vincitrice nel 1981 del festival della canzone di Sochi, possiamo vederla in questa foto) l’opera “Tre poesie per soprano e synth“ (Three poems for soprano and synthetizer). Artemiev aveva da tempo instaurato un bel rapporto di amicizia con l’artista che, nel 1970, era stata chiamata a Vilnius per interpretare “Seven Gates to the Satori World”, diretta per l’occasione dal compositore lituano Giedrius Kuprevičius. In occasione di uno dei suoi viaggi a Mosca, Gintare portò alcune poesie in Lituano per Artemiev che rimase affascinato dal suono della loro struttura fonetica e decise di riadattarle per una composizione di musica da camera effettuata con l’ausilio del synth che dona ai suoni un’immagine tridimensionale. Vennero scelte tre poesie: “Balantis Baltis” (la colomba bianca), “Vision” e “Vasara” (estate). I tre pezzi, caratterizzati da soluzioni stilistiche diverse, raggiungono la loro affinità attraverso la forma del progressive rock che permette di riunire sotto un’unica etichetta diversi trend stilistici. La poesia “Balantis Baltis” di Paul Tselan è realizzata con la forma del pop rock neo romantico: i timbri sonori sono gentilmente colorati e l’atmosfera è di pace e serenità. “The Vision” è composta sulle liriche del poeta S. Geda con uno stile improntato all’art rock e mostra riferimenti al buddismo zen grazie alle sue atmosfere meditative. Il riverbero della voce in particolare dà un effetto sovrannaturale. “Vasara” si basa ancora sui versi di S. Geda e compare nella compilation del 1997 “Electroshock presents: Electroacoustic music vol. 1”. Si tratta di quella che più strettamente si relaziona alla “musica pittorica” e vi si mescolano l’elettronica, il folk, la psichedelia, assieme ad alcune tecniche della musica concreta (il suono della pioggia e della tempesta ricostruiti al synth), nell’intento che piace tanto ad Artemiev di raggiungere una perfetta simbiosi stilistica. La forma è quella classica in tre movimenti, il primo e l’ultimo dei quali sono impressionistici. Tutta l’azione è una specie di rincorrersi in cerchio della voce e del flauto. La seconda parte ha l’atmosfera della festa campestre con i ritmi delle danze folk, scandita dal violino. La colorazione dei suoni diviene oscura con l’emergere delle sequenze del Dies Irae e l’atmosfera triste si percepisce soprattutto attraverso il registro vocale e le melodie del flauto.
Nel 1984 Artemiev debuttò con le tre composizioni eseguite sui versi dei poeti lituani a Vilnius e Kaunas, assieme all’amico pianista Sergey Savelyev, a Gintare Yautakaite e al gruppo Boomerang. Tutti e tre i pezzi sono stati inseriti nel CD “Invitation to Reminiscences“ pubblicato dalla Electroshock Records nel 2010 e contenente le colonne sonore realizzate per alcuni film e serie televisive.

Sempre nel 1984, come abbiamo poco fa anticipato, Artemiev viene insignito del titolo di emerito artista della Repubblica Socialista Federale Sovietica Russa. Questo riconoscimento fu molto importante perché cancellò definitivamente tutti i pregiudizi ed i divieti circa le sue opere artistiche. Al suo successo contribuirono anche i molti articoli di stampa e le trasmissioni televisive. Il lavoro creativo di Artemiev, persino negli anni Ottanta, era percepito come estremamente innovativo e all’avanguardia e anche per questo i critici preferivano approcciarsi a lui attraverso lunghe interviste, in cui egli spiegava in prima persona le sue tecniche, piuttosto che tentare di approfondire direttamente l’analisi dei suoi lavori in maniera indipendente. L’interesse verso la sua musica stava allo stesso tempo crescendo in occidente e fioccavano gli inviti a partecipare ai festival di musica elettronica e le richieste di collaborazione.

Nella lista dei lavori dei tardi anni Ottanta occupa un posto speciale la composizione elettronica “Three Views of Revolution“ (1987) che ottenne molta popolarità e fu ben accolta dal largo pubblico. Il pezzo, che possiamo ascoltare nel CD “A book of Impressions,“ fu scritto per il festival di musica elettroacustica di Bourges e si ispira, come indicato dai committenti, alla rivoluzione francese di cui decorreva il duecentesimo anniversario. Artemiev privilegiò l’aspetto morale e filosofico del tema: la rivoluzione per ogni paese ha il suo prezzo. La composizione si divide in tre movimenti che si susseguono uno dopo l’altro senza alcuna pausa, formando un pezzo monolitico che rappresenta il concept globale artistico. Il primo movimento rappresenta il concetto di libertà visto come ragione pura e libero spirito. Viene rappresentato un mondo ideale pieno di sogni utopistici radiosi di giustizia universale e felicità per il genere umano. Questo sentimento viene associato ad un suono scintillante che sembra vibrare ai raggi del sole. L’euforia iniziale si viene a spezzare con i ritmi aggressivi dei “tamburi della rivoluzione” che riproducono il tema di una celebre canzone popolare francese “Ça ira” che segna allo stesso tempo l’inizio del secondo movimento “Deeds and Achievements”. Il movimento, costruito sulla base dominante del “Ça ira”, sembra ruotare attorno ad un granitico pilastro di suoni che viene riempito via via di grida e boati in un clima di caos che sembra non lasciare spazio alla speranza. “The Judgment Day” è l’ultimo atto che emerge quando questo turbinio in crescendo di suoni viene spazzato via. Il movimento finale somiglia ad un rapido e distaccato sguardo gettato sui resti di una catastrofe ed il paesaggio che si profila è quello della distruzione. “The Three Views of Revolution” fu eseguita per la prima volta in Francia nel 1989 e produsse una forte impressione sia sul pubblico che sulla critica anche se, sfortunatamente, la popolarità che raggiunse in occidente non fu neanche sfiorata in Russia.

Alla fine degli anni Ottanta Artemiev raggiunge di fatto una posizione dominante nell’ambito della musica elettroacustica russa e mette su a spese sue, a casa sua, uno studio ultramoderno in grado di competere persino con quelli delle grosse case discografiche. In appena nove metri quadri riuscì a concentrare tutte le apparecchiature più moderne: i synth Yamaha DX-7, un Korg MIREX, il DVP-1, il Roland JX 8P un computer Macintosh 16 SE, samplers EPS 16+ e Emulator-II, un sistema di tastiere digitali con un computer incorporato Kurzweil-250, un blocco di effetti Yamaha SPX-90II, Yamaha REV-5, Lexicon, un mixer Fostex, Model 450. L’equipaggiamento riuscì a colpire anche i compositori stranieri ed in particolare l’editore della rivista “Keyboards” che non si aspettava certamente di trovare un simile arsenale in Russia.

In questo periodo Artemiev divenne membro del comitato esecutivo della ICEM (International Confederation of Electroacoustic music). Nel 1990 fu eletto presidente della neonata Associazione Russa della musica elettroacustica. I riconoscimenti in ambito musicale fecero sì che Artemiev diventasse un ospite molto ricercato per i festival internazionali di musica elettroacustica come il Res Musica di Baltimora e il Senthese di Bourges in Francia. Allo stesso tempo teneva dei master e delle letture di musica elettronica al conservatorio di stato di Mosca. Fu invitato a tenere seminari anche a Milano grazie alla società italiana di musica elettronica. Nella cornice del festival internazionale del cinema di Braunschweig, in Germania, fu allestita la proiezione di sette film con le colonne sonore di Artermiev e al termine l’artista era a disposizione per rispondere alle domande del pubblico. In patria invece, se da una parte le autorità ed i membri dell’unione dei compositori lo riconobbero come uno dei più grandi compositori dell’Unione Sovietica, dall’altra questi continuavano a mostrare la più totale indifferenza verso le sue opere che col passare degli anni divenivano sempre più variegate e profonde, soprattutto per quel che riguarda lo sforzo creativo ed il significato originale della musica elettroacustica che veniva utilizzata in diverse forme artistiche.

Il periodo post Sovietico


Ma alla fine degli anni Ottanta il mondo sovietico si sbriciola e la sua disgregazione, che culmina nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione, porta letteralmente al caos e alla perdita di ogni punto di riferimento. La tensione sociale rese drammatica la vita dei cittadini che, fra accuse politiche, denunce, file sempre più lunghe per ottenere cibo, le tessere per il razionamento dei beni, cadevano in uno stato di profonda umiliazione e prostrazione. Tutto questo portò alla più grande emigrazione di massa dai tempi della rivoluzione di Ottobre con uno stillicidio dei grandi artisti sovietici che abbandonavano il paese. Sentimenti di vergogna e mortificazione erano comuni fra gli emigrati russi che all’estero, come ricorda lo stesso Artemiev, evitavano persino di rivolgersi la parola.
Fra il 1987 ed il 1993 Artemiev non passò molto tempo in Russia e viaggiò fra l’Europa e gli U.S.A. dove, come vedremo, entra in contatto con l’industria cinematografica di Hollywood.
Nel 1993, mentre è a Bourges, Artemiev riceve una commissione per un’opera interamente elettronica. Nacque così “I’d Like to Return“, un titolo che si riferisce al desiderio di tornare all’infanzia, vista come un periodo di grande armonia. Ne viene fuori un’opera profondamente autobiografica in cui convergono i ricordi di infanzia dell’autore e della sua vita in Unione Sovietica. Le immagini sono di un mondo industrializzato in cui convergono sentimenti contrastanti di gioia, paura, caos, entusiasmo ma anche di desiderio di ritorno ad una visione semplice della vita e ad un rapporto col mondo diretto e senza contraddizioni. Il pezzo, che può essere ascoltato nel CD “A book of Impressions“, parte proprio da partiture oscure come nuvole dense di pioggia che preannunciano la tempesta. Il turbinio di rumori ambientali ricorda la città vista come qualcosa di oppressivo e caotico. Questo incipit contrasta con la parte finale in cui ogni traccia di angoscia si stempera fino a scomparire del tutto nel fluire di suoni rarefatti e pacati, dai tratti semplici e lineari. Assieme alle cupe visioni del passato quest’opera interrompe anche l’attività di Artemiev nell’ambito della musica elettroacustica. La storia artistica più recente del compositore è occupata, come vedremo fra poco, dalla stesura lunga e laboriosa di una ambiziosa opera rock.
Dal 1993 iniziano anche le pubblicazioni della Electroshock Records, etichetta tirata su assieme al figlio Artemiy, unica in Russia specializzata nella musica elettroacustica. Per l’etichetta vengono stampati sia i lavori di Artemiy che quelli di altri validi artisti e via via vengono pubblicati vari CD solisti di Edward contenenti le colonne sonore e le composizioni di musica elettroacustica appartenenti a diversi periodi.
Nel 1999 Artemiev fu insignito del titolo di People’s Artist of the Russian Federation e, oltre a questo, vince anche altri premi di stato come l’OPTIMA ed il MICF al festival internazionale del cinema di Mosca del 2001 per il suo contributo al mondo del cinema che affrontiamo nella seconda parte della retrospettiva.


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