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6 DISCHI PER IL 2018 A cura della redazione di Arlequins
 

Ogni anno, a partire da metà novembre o giù di lì, cominciano ad apparire sul web le prime classifiche dei migliori album dell’anno, molto spesso, appunto, senza che l’anno nemmeno sia terminato, non lasciando il tempo di ascoltare le ultime uscite o comunque di metabolizzare tutte quelle ascoltate da poco. Spesso infatti queste classifiche vengono fatte “sulla fiducia”, privilegiando i nomi già noti e dimenticando o snobbando proprio qualsiasi novità che vada appena al di là del consueto novero degli artisti già conosciuti.
Su Arlequins da tempo abbiamo fatto una scelta controcorrente, in tal senso, come sanno coloro che ci seguono da un po’. Accanto alla nostra consueta attenzione per gli artisti meno noti che da sempre ci ha fatto mettere in secondo piano i nomi di maggior spicco che hanno più possibilità di pubblicizzarsi (riconoscendo ovviamente il loro valore e non per questo snobbandoli aprioristicamente), abbiamo sempre voluto aspettare qualche mese in più prima di stilare i consuntivi dell’anno appena trascorso, proprio per lasciare un po’ di tempo per ascoltare le ultime uscite e lasciar sedimentare i giudizi. Inoltre, come al solito, teniamo a precisare che queste playlist annuali non hanno (unicamente) valenza di classifica di preferenza ma rappresentano delle indicazioni di ascolto sulle cose che, durante l’anno, ci hanno particolarmente colpito.
Ecco quindi le nostre liste relative al 2018. Speriamo che vi possano interessare, stuzzicare qualche curiosità e chissà… farvi scoprire qualcosa di cui non eravate a conoscenza.
Buona lettura.



FRANCESCO INGLIMA

KOENJIHYAKKEI - "Dhorimviskha": A 13 anni di distanza dal precedente album, Yoshida e soci mostrano di non aver perso minimamente lo smalto e, pur avendo fatto di meglio in passato, realizzano uno dei dischi prog più belli del decennio in corso. La ricetta è sempre quella di uno Zeuhl devastante che ti toglie il respiro!

JACK O' THE CLOCK - "Repetitions of the Old City - II": Altro gruppo che sembra non sbagliare un colpo. Partendo dal loro collaudato folk/rio, in questo secondo capitolo la band statunitense ammorbidisce la proposta, mostrando un lato melodico estremamente raffinato e affascinante, riuscendo forse a superare il seppur ottimo primo capitolo.

NOT A GOOD SIGN - "Icebound": un album che ti seduce ascolto dopo ascolto, all'apparenza glaciale ma al cui interno cela forti emozioni. Le stesse parti vocali, che nei precedenti appesantivano l'ascolto, risultato molto più digeribili e funzionali alla causa.

BUBU - "El Eco del Sol": Album che ha saputo farmi ricredere sulla bontà di alcune reunion che avvengono a distanza di decadi. Con una line-up completamente rinnovata, il leader storico Daniel Andreoli ci regala un album che regge degnamente il confronto con l'insuperabile "Anabelas".

ALL TRAPS ON EARTH - "A Drop Of Light": Nati da una costola degli Änglagård, proseguono il percorso interrotto da quest'ultimi. "A Drop of Light PT", pur non proponendo grosse novità, è suonato splendidamente e tanto basta per farne uno dei dischi più belli dell'anno!

PINIOL - "Bran Coucou": E' un bel cazzottone sullo stomaco da parte del gruppo francese. Con un prog estremamente complicato, i Piniol riescono a travolgerti all'interno del loro delirio sonoro!

MICHELE MERENDA

ALCO FRISBASS - “Le bateleur”: Secondo album dopo tre anni per la band francese dedita ad un vero e proprio Canterbury-sound strumentale (per quanto questa accezione possa essere ampia). Uso di fiati e di chitarra elettrica con cesellature di ulteriori strumenti, per un mondo immaginifico che in alcuni tratti ricorda i Gong. Un lavoro che cresce man mano che scorrono i brani.

BUBU - “El eco del sol”: Ritorna dopo esattamente quarant’anni con un full-length la creatura musicale dell’argentino Daniel Andreoli. I musicisti sono praticamente tutti cambiati, operazione che riesce nell’arduo compito di creare un prodotto valido, con un suo marchio di fabbrica e che allo stesso tempo non suoni con quella nostalgia che lo relegherebbe esclusivamente in uno specifico spazio temporale. Prog sinfonico, solenne e spesso altero, con improvvisi cambiamenti ed ottima perizia. Ben ritrovato, Daniel!

DWIKI DHARMAWAN - “Rumah batu”: Il tastierista indonesiano regala alle stampe ancora una volta un gran bell’album, meno immediato del precedente ma comunque valido. Il jazz si incontra sempre con la tradizione musicale etnica dell’artista, per un risultato più meditato e che occorre maggiormente interiorizzare rispetto al passato. Sezione ritmica ormai collaudatissima ed affidabile, a cui si aggiungono come sempre altri musicisti che impreziosiscono ogni composizione.

JUZZ - “Juzz”: Si è parlato di alternative, ma i rimandi al jazz-rock e alle trovate dei King Crimson più duri sono evidenti. Un album strumentale ad opera di una compagine ispanica in cui il sassofono ben si inserisce in atmosfere distorte e psichedeliche, per un esordio che a volte - nella sua espressione più caotica - denota somiglianze con i francesi One Shot.

MARBIN - “Israeli jazz”: I due israeliani Danny Markovitch e Dani Rabin sono sinonimo di garanzia. Ben supportati come sempre da una sezione ritmica bella robusta e sostenuta, non si disdegna l’ispirazione ad atmosfere assolutamente rétro, passando così dal jazz-rock strumentale più immediato al blues e a vecchi andamenti jazzati, oltre a puntare al rock vero e proprio. Il sassofono di Markovitch da un po’ di tempo è diventato sempre più protagonista, duettando ormai alla pari con le sei corde esuberanti di Rabin.

MOTHER TURTLE - “Zea mice”: La band greca aveva già abituato a mischiare tutti i possibili elementi progressivi nelle singole composizioni, soprattutto sul secondo album. In questo terzo lavoro ci si evolve guardando ad una dimensione strumentale in cui già orbitano da tempo nomi illustri come Gong (quelli appena lasciati da Allen), Ozric Tentacles, Korai Öröm, Djam Karet e Vespero. Un viaggio molto affascinante, da segnalare come una delle migliori uscite del 2018. Tra synth, chitarre astrali, violino, sax e vocalizzi di natura mediorientale.

VALENTINO BUTTI

OLD ROCK CITY ORCHESTRA - The Magic Park of Dark Roses": Un sound decisamente ed orgogliosamente vintage, dark ed hard memore di certi Uriah Heep, ma non solo. Una voce splendida (Cinzia Catalucci) ad aggiungere quel tocco in più.

FEM - "Mutazione": Altro gruppo nostrano in decisa ascesa. Un prog rock maturo, personale, (ben) cantato in italiano che riesce, in una ricercata forma-canzone, a coinvolgerci sin dai primi ascolti e, soprattutto, a non stancarci mai.

TACITA INTESA - "Faro": Approccio simile a quello dei FEM: brani concisi, di immediata presa, ma ricchi di spunti per un sound moderno e molto piacevole.

LA DOTTRINA DEGLI OPPOSTI - "Arrivederci Sogni": L'album che non ti aspetti... non perché contenga delle novità, anzi... si tratta del "classico" prog sinfonico dal gusto melodico tipicamente italiano... ma fatto con gusto, garbo e tanta tanta classe. Archi, ottoni e legni a condire il tutto. Un "grazie" ad Andrea Lotti (ex CDZ), il responsabile principale del progetto.

IL BACIO DELLA MEDUSA - "Seme*": Ennesimo punto esclamativo per il gruppo umbro che si conferma in una fase di decisa ispirazione. Hard rock, folk, canzone d'autore, un po' di elettronica ed altro ancora. Insomma un melting pot sonoro che scalda il cuore. Ed il giusto premio con l'attesa performance al Festival di Veruno a settembre.

DAAL - "Decalogue of Darkness": I Daal, del duo Alfio Costa-Davide Guidoni, sono un progetto coraggioso. Molto coraggioso, come ampiamente dimostrato nei precedenti lavori a questo "Decalogue of darkness". Quest'ultimo è, forse, appena più accessibile degli altri ed il suono oscuro, claustrofobico, decadente è stato appena stemperato da echi sinfonici ed altri più soffusi e delicati. Comunque sia, un album che ho apprezzato da subito, pur non essendo avvezzo a certe sonorità. Doppio plauso, quindi.

ALBERTO NUCCI

BUBU - “El Eco Del Sol”: Si parla di reunion ma non è una vera reunion. Daniel Andreoli, semplicemente, ha ripreso in mano le redini del progetto e riunito attorno a sé un gruppo tutto nuovo di musicisti, componendo un album tutto nuovo con idee e attitudini che non fanno certo rimpiangere il bellissimo “Anabelas”. Il risultato è uno splendido mix di musica Prog sinfonica, barocca, cameristica, classicheggiante e jazz e, per quanto mi riguarda, è da situare al top dell’anno appena trascorso.

TROOT - “Constance and the Waiting”: Una autentica sorpresa. Un nuovo progetto, anche questo caratterizzato dal fatto di avere un unico ideatore (Tim Root) che ha senz’altro il merito di aver aggregato attorno a sé un gruppo di musicisti, proveniente da mezzo mondo, che lo ha egregiamente assecondato. Quel che ne è venuto fuori è un album deliziosamente avanguardistico e canterburyano, godibile in tutte le sue sfaccettature.

LIZARD - “Half-Live”: La band polacca, a livello qualitativo, non è mai scaduta più di tanto nel corso della sua discografia ma si rimpiangeva la bellezza del suo primo album. Con questo nuovo lavoro vengono smussate alcune spigolosità e si ritorna ad ascoltare, in un’unica lunghissima traccia che fluisce in maniera ininterrotta ed organica, atmosfere musicali che ci riportano a 20 anni prima. Un album intenso ed affascinante.

NOT A GOOD SIGN - “Icebound”: Per me si tratta del miglior lavoro di questa sorta di supergruppo nostrano che tuttavia dimostra volta dopo volta di possedere una personalità a sé stante. Un album decisamente efficace che non si nasconde dietro a una superficiale manifestazione di Prog sinfonico, dimostrando di avere qualcosa da dire, sia musicalmente che con delle liriche azzeccate.

PERFECT BEINGS - “Vier”: Questo progetto alternativo di Johannes Luley col suo terzo album decide di staccarsi dalla poco coraggiosa riproposizione del Prog sinfonico che aveva caratterizzato i primi lavori. Questo nuovo album vira su versanti psichedelici e delicatamente avantgarde, rimanendo tuttavia piacevolmente ascoltabile anche nei suoi momenti più complessi.

GALAHAD - “Seas of Change”: Sorpresa, sorpresa! Stu Nicholson e compagni non solo esistono ancora, ma sono ancora capaci di produrre buona musica. In questo nuovo lavoro decidono addirittura di osare un’operazione non facile, strutturando l’album come una lunghissima mono-traccia. Chi ha detto che tutti i musicisti, col passare dell’età, perdono la voglia di rischiare? L’azzardo, a mio parere, si dimostra vincente e l’opera è musicalmente attraente e coinvolgente, lungi dall’essere un serpentone camaleontico che dipana le sue spire in maniera asfissiante, snodandosi invece con ciclicità ed evoluzioni controllate e ben realizzate.

JESSICA ATTENE

ANTILABE’ - "Domus venetkens": grande sorpresa il ritorno degli Antilabé con un album ricchissimo di contenuti musicali e anche culturali. La loro musica eclettica, duttile e garbata è qualcosa con cui si entra subito in sintonia. Jazz, rock, elementi sinfonici e fragranze etniche in ottimo equilibrio fra loro. Un assaggio è obbligatorio.

GLEB KOLYADIN - "Gleb Kolyadin": un album che riflette tutta la bellezza del gruppo madre, gli Iamthemorning, fornendo un punto di luce diverso della loro poetica. Maestria, eleganza, semplicità, sinfonicità. Gleb si conferma un artista di gran talento e sensibilità anche al di fuori del contesto in cui siamo abituati a vederlo.

ELEPHANT9 - "Greatest Show on Earth": conferma per il gruppo norvegese che ci stordisce con l'ennesimo concentrato di groove, suoni potenti e ritrovati melodici dal sapore acidulo convogliati in una formula molto diretta e di grande impatto.

LADY WITH (Camille Petit) - "The Lodge": - un album che riprende alcuni tratti del raffinatissimo jazz rock di stampo cameristico del gruppo madre, i Ghost Rhythms, in una formula molto poetica e struggente. Disco di gran classe.

NOT A GOOD SIGN - "Icebound": un album che credo sia stato forse un po' sottovalutato e che si dimostra invece ricco di idee e contenuti. Cupo, sinfonico, di grande presa e non privo di gradite sorprese. Emotivamente forte e di sicuro impatto.

MALADY - "Toinen toista": un disco che conserva tutto ilk fascino del progressive rock nordico d'annata. Una formula con cui molti di noi hanno familiarità e che personalmente non mi stanco mai di ascoltare.

ROBERTO VANALI

SANGUINE HUM - "Now We Have Power": quest’anno la mia prima citazione va a questa band inglese, che a mio avviso meriterebbe molta più attenzione, propongono un progressive apparentemente fresco e, talvolta, più vicino al pop, ma sanno far saltare fuori parti strumentali appassionanti e complesse, unendo anche linee sapientemente jazzate e vagamente canterburyane, con melodie dal sapore melanconico e armonicamente perfette.

DOMINIQUE VANTOMME - "Vegir": disco mirabolante, scoppiettante, ricchissimo. Musicalmente penetrante nel suo essere in bilico tra avanguardia canterburyana e crimsoniana, con echi di Zappa, di Bruford solista e persino con tendenze Kraut rock. Una serie di tracce perfettamente infilate con gusto e calda espressività, senza un secondo sprecato e con tecnica e maestria a profusione.

TROOT - "Constance and the Waiting": sorpresa sorprendente, mi scuso per il gioco di parole, ma a tutti gli effetti, oltre all’indubbio valore musicale, quello che ha fatto la differenza in questo disco è il suo saltar fuori così, all’improvviso, con sue anomalie avanguardistiche e a tratti sperimentali. Un nutritissimo numero di eccezionali musicisti dà vita ad un disco fuori dagli schemi dai tratti cameristici ricchi e spesso potenti.

GLEB KOLYADIN - "Gleb Kolyadin": letteralmente affascinato dal primo ascolto, via, via lievemente ridimensionato, ma rimane senz’altro tra le uscite più interessanti e piene dell’anno, fatto di maestria e tecnica a profusione, melodia e ricchezza sonora rara e potente. Capacità e ricerca melodica, sinfonie ricche e ricercate, linee semplici affiancate a trame complesse e tappeti coinvolgenti e trascinanti.

BUBU - “El Eco del Sol”: tra le cose più inaspettate e, al contempo, sorprendenti dell’anno, questa sorta di rinascita dei grandi Bubu argentini. Un distacco temporale quasi immenso dalla loro uscita storica Anabelas eppure sono riusciti a sfornare un lavoro pieno, originale, rispolverando i vecchi amori e i vecchi sogni dell’epoca d’oro, rincorrendo ancora sinfonico, folk, avanguardia, cameristica, catturando tutto nella rete di un prog di quelli che ci affascineranno in eterno.

KOENJIHYAKKEI - "Dhorimviskha": anche qui un salto temporale notevole dall’ultima uscita e anche qui una lucidità musicale impressionante, composizioni forti e decise, che si fanno ascoltare e riascoltare. La potenza dello zeuhl unita alla folle capacità nipponica di sperimentare e mantenere linee musicali ferme e sempre riconoscibili. Niente di immediato e obbligo di ascolti attenti e ripetuti, ma quanto fascino.

MAURO RANCHICCHIO

GRYPHON - "ReInvention": un ritorno eccellente che certo non delude le aspettative, ritroviamo suoni antichi, solennità, ricerca, acrobazie strumentali e, perché no, umorismo medievale British! Il gruppo supera pressoché indenne la defezione del principale compositore Richard Harvey.

RING VAN MÖBIUS - "Past the Evening Sun": uno di quegli album squisitamente retrò capaci però di abbinare un'ottima scrittura alla mera riesumazione di strumenti analogici; un ottimo esordio... bentornati al 1972!

ALL TRAPS ON EARTH - "A Drop of Light": lo spin-off degli Änglagård condotto dal prode Johan Brand riesce ad eguagliare i livelli della band madre, e fa piacere ritrovare il tastierista originale Thomas Johnson. Qualche spruzzatina del jazz promesso la troviamo, ma è il glorioso sound sinfonico svedese a trionfare.

VITRAL - "Entre as Estrelas": il Brasile è ancora capace di portare avanti il vessillo del prog sinfonico barocco; in questo caso si tratta di brani scritti negli anni '80, ma in definitiva senza tempo, grazie a squisite divagazioni strumentali in cui il flauto non può certo mancare.

ELLESMERE - "From Sea and Beyond": un album che consente diversi piani di lettura: sa essere immediato, ricercato, pastorale, sempre impreziosito dagli ottimi contributi degli ospiti eccellenti, tra cui spiccano Keith More, Robert Berry, David Jackson, Brett Kull e Davy O'List, valorizzati da una produzione perfetta.

GALAHAD - "Sea of Change": il prog britannico di scuola eighties è ancora capace di colpi di coda, e la band di Stu Nicholson, malgrado la fuoriuscita del chitarrista storico Roy Keyworth, se ne esce con quello che potrebbe a buon ragione essere il loro miglior lavoro: coraggioso, ispirato, potente e perfettamente fruibile.

GIOVANNI CARTA

TWENTY FOUR HOURS - "Close - Lamb - White - Walls": a due anni dell'ottimo "Left-To-Live" i veterani della scena psych-prog italiana ritornano con un impegnativo doppio album introspettivo che ripercorre idealmente i diversi aspetti della loro musica, dal progressive più classico allo space-psych rock più onirico fino alla new wave più raffinata, con tanto di omaggio ai Tuxedomoon e relativa graditissima ospitata proprio di Blaine R. Reininger e Steven Brown.

SOUNDS OF NEW SOMA - "Zwichen/Durch": tra gli ultimi discepoli del kraut rock, i Sounds Of New Soma hanno dato libero sfogo ai loro istinti più sperimentali e criptici con un album ad alto tasso lisergico vicino a Klaus Schulze, Cluster ed Harmonia, non senza un velo di oscuro psych-post rock contemporaneo.

ANDERES HOLZ - "Fermate": progressive folk rock teutonico teatrale dalle tinte fosche e gotiche, questo disco d'esordio degli Anderes Holz si è rivelato come un'opera assai imprevedibile, delirante ed originale, oltre che decisamente accattivante nel suo mischiare con molta scioltezza tradizione e modernità.

RITUAL ART ORCHESTRA - "Atmosphere": ethno prog-fusion rock guidato dall'ex violinista della Mahavishnu Orchestra Steve Kindler, insieme al chitarrista degli avant-jazz rock Question Mark, Bogusław Raatz, "Atmosphere" è un disco che affascina nelle sue complesse e raffinate trame strumentali su uno sfondo di cerimonie esotiche quanto misteriose.

KLANGWELT - "The Incident": disco classico nella sua forma di progressive elettronica berlinese con spunti new-age ed una sensibilità melodica vicina a Vangelis e Mike Oldfield, con sullo sfondo un concept sci-fi dalle tinte ecologiste, "The Incident" si è rivelata un'opera di grande intensità e profondità, specialmente per chi ama certe particolari sonorità...

SPIRITS BURNING & MICHAEL MOORCOCK - "An Alien Heat": ritorno ambizioso e di grande fascino questo della comune Spirits Burning guidata dal tastierista Don Falcone, questa volta affiancata stabilmente da Moorcock per la messa in musica del suo "An Alien Heat" prima parte della saga "The Dancers At The End Of Time"; per l'occasione il tipico space rock stile Hawkwind-Gong si allea con l'esoterico e crepuscolare rock dei Blue Öyster Cult, con in prima fila Albert Bouchard al canto, batteria e strumenti vari!

PEPPE DI SPIRITO

JOHN GREAVES - "Life Size": Un disco di canzoni, ma che canzoni! John Greaves, che ha legato il suo nome alla scena di Canterbury, torna con un lavoro che conferma la sua levatura e la sua infinita classe, accompagnato da grandi ospiti, tra cui spiccano i nomi di Annie Barbazza, Himiko Paganotti, Jakko Jakszyk, Lino Capra Vaccina e Sophia Domancich.

VÆRKET - "Young Again": Questo gruppo danese ci fa fare un bellissimo salto indietro nel tempo, negli anni '70 per la precisione. Una suite e due lunghi brani per un progressive sinfonico con tinte hard qua e là e affascinanti sonorità vintage.

TRÄDEN - "Träden": Resta poco nella formazione attuale di quelli che una volta erano i Träd Gras Och Stenar. Eppure questa versione moderna dello storico gruppo svedese sa trascinarci in un viaggio psichedelico travolgente e coinvolgente, grazie anche all'importante apporto di Reine Fiske.

BUBU - "El Eco del Sol": Ritorno a sorpresa e in grande stile di un nome fondamentale della scena sudamericana, che torna ad incantare con un lavoro che sa abbinare soluzioni romantico-sinfoniche, chamber rock e jazz-rock.

ALL TRAPS ON EARTH - "A Drop of Light": Chi ha amato gli Änglagård difficilmente resterà indifferente a questo cd che rievoca pienamente lo stile della band svedese. Lunghe composizioni intricate che, mantenendo una tensione continua, alternano passaggi ruvidi e crimsoniani e momenti delicati di calma apparente.

METHEXIS - "Topos": un'opera suddivisa in due lunghe parti, splendidamente guidata dal compositore e polistrumentista greco Nikitas Kissonas. Un disco ben fatto ed equilibrato in cui si alternano rock sinfonico di grande qualità e spinte tutt'altro che estreme di avanguardia.



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