Home


Numero del mese

Scegliere il mese e l'anno da visualizzare. Scegliere dall'indice gli articoli di interesse e selezionarli. Nella stampa non verranno visualizzati i controlli e gli indici.

Scegli il mese e l'anno


Recensioni

ALIANTE-Anime invisibili -Ma.Ra.Cash Records -2024 -ITA -Peppe Di Spirito
ALIANTE Anime invisibili Ma.Ra.Cash Records 2024 ITA

Si poteva pensare che gli Aliante si fossero espressi al massimo delle loro potenzialità con "Destinazioni oblique" e che sarebbe stato difficile confermarsi su vertici così alti. L'album uscito nel 2022, infatti, mostrava una band che aveva fatto il salto di qualità definitivo e che con una proposta strumentale variegata aveva convinto in tutto e per tutto. Dopo soli due anni ed un cambio di etichetta dalla Mellow alla Ma.Ra.Cash, con "Anime invisibili" gli Aliante riescono a realizzare una nuova opera che mantiene pienamente gli standard raggiunti col predecessore. L'album è costituito da quattro nuove tracce legate l'un l'altra senza soluzione di continuità, praticamente a formare un'unica suite. Non cambia la formula strumentale e non cambia lo stile, con questo prog che parte da una matrice sinfonico/romantica per poi mescolarsi, attraverso gli equilibri perfetti nuovamente trovati dai musicisti, con i Pink Floyd (soprattutto, ma non solo, quelli di "Animals"), con divagazioni jazz-rock, con deviazioni space, con passaggi cinematici e con un calore mediterraneo che favorisce belle melodie e che rende tutto scorrevole, anche senza parti cantate. Non mancano i cambi di ritmo e di atmosfera, i tempi composti, gli impasti elettroacustici, il lavoro sia d'insieme che solista della chitarra e delle tastiere, gli interessantissimi interventi di flauto, fagotto e didjeridoo. Si tratta di soluzioni spesso comuni a chi si orienta verso un certo tipo di prog, ma oggi si può dire che gli Aliante hanno trovato il modo di rendersi riconoscibili ed hanno un loro sound distintivo, in cui si riscontra il rispetto per la tradizione del passato, ma senza distogliere gli occhi dal presente. Così, ci troviamo ad ascoltare anche in questa occasione una proposta scintillante, matura, senza cali di tensione, che dimostra una volta di più l'affiatamento che c'è tra i musicisti ed una capacità di muoversi con credibilità e personalità in un campo minato e pieno di rischi di rifarsi a cliché già troppo sfruttati, come quello del prog sinfonico. A differenza del precedente disco, che sfiorava gli ottanta minuti, stavolta la durata è più contenuta, vicina ai tre quarti d'ora. Chissà se gli Aliante hanno voluto ascoltare qualche voce secondo cui per il tipo di musica in esso contenuta "Destinazioni oblique" si prolungava un po' troppo (non è il parere del sottoscritto, che ha apprezzato anche l'elevato minutaggio dell'opera in questione). Non esitiamo, alla fine, a fare un nuovo plauso al bassista Alfonso Capasso, al batterista Jacopo Giusti, al chitarrista Davide Capitanio e al tastierista Michele Lenzi, che proseguono al meglio per la loro strada e che al quarto album, visti i risultati ottenuti, possono essere inquadrati tra le più interessanti band prog in circolazione attualmente nella nostra penisola. E a questo punto è lecito attendersi nuove prove discografiche che mantengano le vette toccate e ritoccate.

Peppe Di Spirito

ALPHATAURUS-2084: Viaggio nel nulla -AMS Records -2024 -ITA -Peppe Di Spirito
ALPHATAURUS 2084: Viaggio nel nulla AMS Records 2024 ITA

Dopo la reunion che ha fruttato l’album “AttoSecondo” nel 2012, gli Alphataurus, forti di un nome importante per gli appassionati grazie al gioiello omonimo realizzato negli anni ’70, hanno proseguito questo nuovo corso che li ha portati ad un nuovo capitolo discografico, intitolato “2084: Viaggio nel nulla” e presentato in un pregevole artwork. Si tratta di un concept fantascientifico/distopico, con tematiche spirituali ed ecologiste legate ad un futuro in cui sulla Terra si sta per verificare un evento catastrofico. I testi sono molto semplici e diretti, forse anche troppo; esaminando i contenuti musicali, invece, non possiamo che esprimerci in termini positivi per la bontà delle composizioni e per la prova dei musicisti. La gestazione è stata lunga, problema derivante anche dalla dipartita del chitarrista e compositore Guido Wasserman, membro storico della band venuto purtroppo a mancare nel 2023, ma che è riuscito a dare il suo apporto anche in questa occasione. I sei nuovi brani presentati dalla band convincono e si lasciano ascoltare, grazie ad arrangiamenti ben curati che permettono di mantenere i legami col passato e di far vedere, al contempo, possibili nuovi sviluppi. Si perde forse qualcosina della vena più sinfonica degli Alphataurus, mettendo più in evidenza i lati hard e pop-rock. Non che si sia scesi a chissà quali compromessi o che si cerchi addirittura il facile ascolto. Le composizioni proposte restano infatti abilmente strutturate e spesso hanno una durata prolungata, cosa che favorisce dinamiche, temi e variazioni che fanno ben emergere l’estro dei musicisti. I brani che si prolungano maggiormente, come l’incipit “Pista 6” e “Wormhole” sono esplicativi in tal senso, con il loro andamento drammatico, i tempi variabili, gli intrecci tra chitarre, organo Hammond e sintetizzatore, abili spunti solistici, qualche tocco emersoniano (specie nel secondo), ricami acustici eleganti e melodie che non fanno perdere la giusta orecchiabilità. “Flashback (apocalisse)” ha una base “hardeggiante”, ma pure presenta variazioni stilistiche e di atmosfera, fino a includere anche una breve parte recitata. Un po’ più dirette risultano invece “Viaggio nel nulla” e “Meta e metà”, che sembrano quasi abbinare new-prog e sapori mediterranei, questi ultimi in evidenza soprattutto nelle melodie vocali. Bella la chiusura delicata affidata agli impasti elettroacustici della ballad malinconica “E=mc²”. Man mano che il disco viene assimilato si acuisce l’idea che tutto sia forse un po' troppo “calcolato”, realizzato mettendo a frutto l'esperienza dei musicisti, che suonano senza sbavature, trovano giuste melodie e usano tanto mestiere per arrivare ad un prodotto finale ben confezionato. E c’è la continua sensazione di una fiammata che è lì pronta a divampare con tutta la sua potenza ed anche se non arriva l’esplosione decisiva resta sempre un calore confortevole. Non riaffiorano in pieno, quindi, il fuoco del mitico esordio e la verve di “Attosecondo”, ma il giudizio finale resta comunque certamente buono, grazie ad una proposta che aggiorna, senza snaturare, il sound degli Alphataurus.

Peppe Di Spirito

ANNIE BARBAZZA-Annie’s playlist 3 - The streaming concerts -Dark Companion -2024 -ITA -Peppe Di Spirito
ANNIE BARBAZZA Annie’s playlist 3 - The streaming concerts Dark Companion 2024 ITA

Giunge al terzo volume la serie “Annie’s playlist”, con la quale Annie Barbazza per lo più omaggia un po’ di artisti che le stanno molto a cuore. Se i primi due album così intitolati erano datati 2015 e 2017, quando la cantante non era ancora conosciuta ed erano molto incentrati su un repertorio prog, questo nuovo lavoro vede un orientamento leggermente diverso. C’è infatti da dire che nel frattempo Annie si è fatta un nome e molti appassionati ai filoni canterburiani e avant-prog hanno potuto apprezzarla e non poco grazie ad un album che l’ha lanciata verso un repertorio solista di valore, a numerose collaborazioni con artisti importanti e ad un’attività live abbastanza intensa, anche questa spesso portata avanti in ottima compagnia (si pensi ai concerti con la North Sea Radio Orchestra, con John Greaves e con gli Henry Now). Così, in “Annie’s playlist 3” troviamo una serie di cover tutt’altro che banali, che vedono brillanti interpretazioni di “Frame by frame” e “Islands” dei King Crimson, “Sea song” di Robert Wyatt, “Volo magico” di Claudio Rocchi, “Children of the new world” di Daevid Allen, “By this river” di Brian Eno. Ma Annie stavolta ha voluto anche fare qualche deviazione verso certo folk-rock malinconico e psichedelico, sia di un passato che va indietro di oltre cinquanta anni con un bel ripescaggio di Nick Drake, sia con qualcosa di successivo andando a recuperare canzoni dal repertorio di Paul Roland, Robyn Hitchcock e Shelleyan Orphan. Ovviamente, stavolta c’è l’occasione per proporre un po’ di composizioni che vedono la firma della stessa Barbazza tratte dal suo splendido “Vive”. La formula è la stessa delle altre playlist: semplicità innanzitutto. Voce e chitarra acustica o voce e piano, ma tanta intensità. Merito di una bella voce e di una personalità che si è ben sviluppata con il passare degli anni e che ci permette di vedere Annie come artista ormai pienamente matura. A volte drammatica, a volte stravagante, sempre in pieno controllo della situazione, fa avvertire pienamente la passione che ci mette, perfettamente abbinata a doti tecniche chiare e ben sfruttate. Annie sa intrattenere anche in questa veste essenziale, si sapeva e lo conferma pienamente; in poco meno di un’ora ci ammalia con diciotto canzoni deliziosamente eseguite, registrate dal vivo senza sovraincisioni tra il 2020 e il 2024 e ci lascia desiderosi di vedere quali saranno i prossimi sviluppi della sua carriera.

Peppe Di Spirito

BIG BIG TRAIN-The likes of us -Inside Out Music -2024 -UK -Peppe Di Spirito
BIG BIG TRAIN The likes of us Inside Out Music 2024 UK

C'era molta attesa per quest'album dei Big Big Train, il primo in studio senza il compianto David Longdon, scomparso nel 2021. A raccogliere la sfida per il ruolo di frontman è toccato all'italiano Alberto Bravin, reduce da un'esperienza di diversi anni con la Premiata Forneria Marconi. La band, intanto, si è anche accasata alla Inside Out e, dopo un po' di tappe di rodaggio sui palcoscenici, ha registrato in uno studio triestino la nuova prova discografica pubblicata nel 2024 con il titolo "The likes of us". Uno dei meriti dei Big Big Train che ha portato ad una certa personalizzazione della loro musica è stato quello di allargare la strumentazione e nel corso del tempo si è accentuata questa caratteristica, facendo sì che la formazione si sia fatta sempre più numerosa e non abbia mai rinunciato ad affiancare ai più classici timbri prog anche i suoni degli archi e dei fiati. "Light left in the day" è un incipit subito convincente, con un inizio elegante, acustico e malinconico ed un prosieguo caratterizzato da un crescendo emozionante, un bel tema portante ed echi dei Genesis degli anni d’oro; il tutto proposto con la classe di sempre. I Big Big Train sembrano dire: "rieccoci, siamo sempre noi, qualcosa è cambiato, ma la musica resta la stessa". A seguire, senza soluzione di continuità, troviamo "Oblivion", un brano di prorompente new-prog dai ritmi sostenuti, con una pausa centrale più riflessiva. Ed ecco poi il gioiello di diciassette minuti e mezzo "Beneath the masts". Qui la band dà il meglio di sé e sforna una composizione che merita di affiancarsi alle cose migliori mai realizzate. Si tratta di una suite suddivisa in cinque parti costruita in maniera perfetta, con ogni cosa al suo posto. Nella prima parte gli strumenti acustici danno un tocco vagamente classicheggiante e introducono il leit-motiv che riemergerà più volte ed un alone elegiaco che colpisce immediatamente. Belle le melodie vocali che si sviluppano man mano e ottime le dinamiche che in ogni parte favoriscono continui passaggi da sussurri intriganti a vere e proprie inondazioni di note in un prog sinfonico di stampo genesisiano di grandissima qualità. "Skates on" è un episodio romantico in cui la band fa avvicinare melodie beatlesiane a strutture più tipicamente prog e precede l'altro pezzo da novanta del disco, "Miramare", una cavalcata di dieci minuti nei quali si succedono cambi di tempo, brillanti soluzioni strumentali, intarsi elettroacustici, belle armonie vocali e spunti melodici carichi di feeling. Dopo questa serie di composizioni che ci hanno tenuto col fiato sospeso, si avverte un leggero calo di tensione con le due ballad "Love is the light" e "Bookmark", pezzi che risultano comunque dignitosi, ma pagano il confronto con quelli che li precedono. A portare a termine al meglio il disco ci pensa “Last eleven” con un tripudio new-prog dai ritmi spumeggianti e con gli ottimi ricami del violino. So bene che i tanti che hanno seguito i Big Big Train, soprattutto a partire da "The underfall yard" del 2009, sono legatissimi alla voce di Longdon e ne avvertiranno la mancanza. Ma Bravin supera a pieni voti l'esame, con una prestazione di personalità ed esente da sbavature e dimostra di essere degno di raccogliere un’eredità non certo “facile”. L'album è molto bello e, a parer di chi scrive, in un'ideale classifica dei dischi della band si posiziona in alto. Molto in alto.

Peppe Di Spirito

BLACK PIE-Angels -Black Widow Records -2024 -ITA -Michele Merenda
BLACK PIE Angels Black Widow Records 2024 ITA

Esordio per questo ensemble savonese che, visti i musicisti coinvolti, non è certo di “primo pelo”: la cantante/bassista Elena “Hellen” Villa militava nei Malcondita (tre album all’attivo e vincitori di Sanremo Rock 2001), il batterista Silvano “Syl” Bottari è addirittura fondatore dei Vanexa, storica heavy metal band italica, mentre il chitarrista Claudio “Clode” Cinquegrana è attivo nel “multiverso” dei New Trolls (nell’orbita di Gianni Belleno e Nico Di Palo), prima con gli UT e poi con gli Of New Trolls. Come ospite speciale c’è il tastierista Stefano Genti, pure lui negli Of New Trolls.
Dopo essere nati nel 2023 con l’intenzione di reinterpretare in concerto i brani delle loro vecchie influenze (dai Led Zeppelin ai Kansas, passando per i Rush), i nostri elaborano brani inediti e creano un concept sul viaggio che affronta un’anima tornata sulla terra, scegliendo esperienza e corpo in cui incarnarsi, senza però sottrarsi alla “tossicità” sociale. La band ligure non rientra tra le band prog, occorre chiarirlo, se non in alcuni brevi frangenti. Brani cantati in inglese, che vibrano di hard rock ed influenze funky, somigliando ad una parte della produzione solista di Glenn Hughes. L’iniziale “Off radar” inizia all’improvviso, dopo alcuni secondi di silenzio e nel suo quieto incedere tra il folk e lo psichedelico si staglia la voce stentorea di Hellen, che soprattutto all’inizio potrebbe ricordare le intonazioni di Grace Slick. Poi, parte il funky rock in stile Hughes, per l’appunto, dove il basso è bello che presente; magari la ritmica poteva essere ancora più serrata, per ottenere un risultato che fosse davvero travolgente. Molto acute le linee vocali. A dire il vero, il basso – oltre all’ex Deep Purple – fa venire in mente anche Gianni Maroccolo dei C.S.I. e già con la quarta “Borderline” si alza sia il voltaggio che il coefficiente di difficoltà, denotando ottimo affiatamento e scelte sia strumentali che vocali non certo usuali. Di sicuro, se si parla di funky, non si può non pensare ai Red Hot Chili Peppers, che emergono in “Your fault”, sebbene interpretati in maniera molto originale; la ritmica si è fatta davvero intensa, con fasi di intervallo che spezzano bene e lasciano spazio alle sei corde per potersi esprimere. Interessante l’effetto da “sballottamento chimico” su “Welcome toxic”, che presenta anche uno stacco psichedelico e poi confluisce in “People from the sky”, la cui prima parte potrebbe far pensare ad una sorta di Linda Hoyle sotto effetto di qualche allucinogeno, per poi passare a dei bruschi stati di sfogo emotivo, prima di ripiombare nello “stonamento lisergico”.
Un brano abbastanza vario è senz’altro “Blanket tide”, che comincia come se fosse un lento e poi invece si rivela sempre più incalzante. Molto riuscita la parte prettamente strumentale, dove il basso cadenzato fa da base per uno sviluppo chitarristico in chiave jazz-rock, per poi assumere subito dopo un intricato andamento prog. “Lift it” è un gran pezzo che sconfina a sua volta nello hard-prog, accompagnato da dissonanze e frenesie. Si chiude con “Follow” (solo su supporto fisico, pare), che dopo una parte atmosferica si interrompe per un po’ e quindi riprende seguendo un incedere jazzato, ricordando in parte gli Affinity (con la solita Linda Hoyle), se non addirittura le atmosfere dei Catapilla meno misteriosi.
In conclusione, i pezzi possono essere ascoltati anche uno per volta, indipendentemente dal concept in sé, fluendo sempre molto spontanei. Album dedicato alle tre figlie dei tre musicisti, cioè gli angeli autentici riportati nel titolo. Un bell’esordio, che pur non essendo strettamente prog sarà gradito con piacere anche da qualche usufruitore di questo genere.

Michele Merenda

MELTING CLOCK-Altrove -Black Widow Records -2024 -ITA -Michele Merenda
MELTING CLOCK Altrove Black Widow Records 2024 ITA

Sono passati cinque anni dall’esordio della band ligure e sembra che siano stati impiegati piuttosto bene, visto il risultato finale ascoltato su questo secondo album. A parte lo stereotipo dei classici controtempi prog, non sembra affatto di ascoltare un lavoro manieristico; il rock progressivo italico sembra anzi ancor più radicato nella tradizione cantautoriale e i riferimenti sinfonici, più che ai Genesis, sembrano guardare proprio in Italia. “Altrove” suona molto più denso rispetto al passato, più completo, con un’ottima compenetrazione tra la musica e la voce di Emanuela Vedana, che sicuramente ha acquisito personalità e può quindi destreggiarsi tra tante sfumature. Le medesime sfumature in cui ci si immerge ascoltando l’iniziale “Vernice”, che canta di tinte esotiche nei vicoli storici e multietnici di Genova, caratterizzati da una storia di popoli venuti dal mare; percorsi baciati dal sole e allo stesso tempo celati tra le ombre, intese anche in maniera metaforica. Belli gli andamenti strumentali con le chitarre acustiche di Simone Caffè e Stefano Amadei (quest’ultimo, anche al bouzouki irlandese nel corso dell’album), oltre al basso sempre presente di Alessandro Bosca che si inserisce tra i controtempi del batterista Francesco Fiorito, chiudendo con le orchestrazioni ben bilanciate nel ritornello ad opera del tastierista Sandro Amadei, che contribuisce pure come seconda voce. La title-track è divisa in due episodi distinti: una prima parte molto delicata che continua con l’approccio acustico, in cui la voce conduce verso luoghi lontani, sospesi nel tempo, ben sottolineati dal pianoforte e soprattutto dal basso, mentre la base sorretta dalla chitarra acustica e le singole note della chitarra elettrica fanno quasi da controcanto; la seconda parte è invece strumentale, accompagnata dai vocalizzi di Emanuela, preludio poi ad una parte progressiva più canonica.
I quasi otto minuti de “Il Mondo al Suo Risveglio” viaggiano verso sentieri più anglosassoni e con una sterzata sul versante elettrico, comunque sempre alternato a quello acustico. Le parti vocali acute sono spesso il preludio a dei riff pesanti, in un narrato onirico che parla ancora per metafore. Risulta indovinata la scelta di inserire un assolo di chitarra intorno al quinto minuto, per spezzare, funzionale alla descrizione della storia piuttosto che a uno sfoggio di virtuosismo vero e proprio. “Città Spenta (un momento per noi)” potrebbe ricordare nel suo inizio l’Equipe 84, ma poi, in un racconto che sembra parlare anche della desolazione cittadina nel periodo pandemico, il pianoforte e il basso accompagnano la voce verso le atmosfere che hanno reso famosa Elisa, ricordando anche i misconosciuti Porcelain Moon più intimisti. Da un punto di vista emotivo si tratta probabilmente del momento più intenso, che sul finale approda nuovamente verso andamenti prog. “Tramonti di Cenere” è a sua volta molto hard-prog ed evoca immagini che toccano il tema ambientale, pur mantenendo sempre un approccio letterario, che ben si adatta al crescendo strumentale e alle sfumature della voce nel finale. Si chiude poi con i nove minuti di “Endurance”, suite divisa in cinque movimenti che narra le vicende della nave omonima, utilizzata dall’esploratore Ernest Shackleton nella sua spedizione trans-antartica del 1915, incagliata proprio in Antartide ed affondata dopo quasi trecento giorni. La strada hardeggiante era già stata tracciata ed è su quella che si continua a procedere, simulando anche suoni di flauti ed orchestrazioni nella narrazione caotica del tumultuoso naufragio tra i ghiacci. Il quarto movimento è cantato assieme alla voce maschile e racconta il viaggio di Shackleton con una baleniera fino alla Georgia del Sud, da dove era partita la spedizione, per tornare con i rinforzi e salvare il resto dell’equipaggio. Il finale è lasciato all’intenso commento musicale che chiude la scena.
I singoli componenti del gruppo hanno visibilmente partecipato alla composizione dell’album, apportando ispirazione e competenza. Un’uscita caratterizzata da immagini che in un modo o nell’altro ricreano dei viaggi, come è lecito aspettarsi dalla cultura genovese. I Melting Clock rappresentano la parte “bucolica” della Black Widow Records e per certi versi – anche in funzione di come viene impiegata la voce solista femminile – sembrerebbero la faccia più luminosa di una medaglia che come rovescio oscuro ha i partenopei Presence di Sophya Baccini. Genova-Napoli, due città più volte associate per il loro patrimonio musicale, entrambe – guarda la casualità – dei porti di mare strategici, sia commercialmente che culturalmente, da cui è passata davvero tanta gente. Ed entrambe le realtà musicali, ad oggi, le ha dentro proprio la Black Widow Records.

Michele Merenda

MOLOTOY-Music for ministeriali -autoprod. -2024 -ITA -Michele Merenda
MOLOTOY Music for ministeriali autoprod. 2024 ITA

Terzo album per il romano Andrea Buttafuoco e il suo progetto Molotoy, portato avanti in solitaria nel corso degli ultimi anni. Sound designer e sound director per il cinema, presente nel mondo dello spettacolo per realtà come Netflix, RAI, Fox, Amazon. Discovery e Disney+, ha anche composto musiche e partecipato a eventi riguardanti compagnie internazionali di danza contemporanea (Spellbound Contemporary Ballet, Emanuel Gat, ecc…), oltre a collaborare con Marco Ciorba e lavorare assieme alla serie “Il Gattopardo” e al film “Il Ragazzo dai Pantaloni Rosa”.
Un background culturale e lavorativo che si riflette in maniera chiara nella sua musica, oggi espressa in maniera netta tramite un linguaggio elettronico, ancora di più rispetto a quando i Molotoy erano un trio. In otto anni – questo il lasso di tempo dall’ultimo album – le cose cambiano e le situazioni si evolvono, soprattutto a livello personale. Infatti, la fine del proprio rapporto affettivo viene posto quasi come una “sovraincisione” a quello che risulta essere il leitmotiv dichiarato, cioè creare un’opera che contenga musica… per dipendenti pubblici! Lo suggerisce del resto il titolo stesso, mettendo di fronte lo stesso Buttafuoco, un libero professionista, con il mondo lavorativo poco sopra menzionato, che nonostante la noiosa routine garantisce (nella maggior parte dei casi) il minimo per poter vivere con un margine di sicurezza. Secondo l’autore, i liberi professionisti vivono in un’ansia costante, per mille motivi, e non hanno la predisposizione d’animo per poter assimilare appieno il fluire delle qui presenti composizioni. Sembrerebbe suggerire che non ne avrebbero nemmeno il tempo, impegnati come sono a produrre. I dipendenti pubblici, in questa visione in cui le frequenze prendono forma, godrebbero anche della possibilità di concentrazione per capire bene quello che ascoltano (quegli altri no, non hanno né tempo e né testa, per dirla in gergo). Viene spontaneo chiedersi: ma il protagonista è serio oppure sfotte? E chi, esattamente? Perché quanto prodotto si pone come qualcosa di molto serio, se non addirittura serioso, e sembrerebbe volersi ergere come una produzione creativa che la massa non è in grado di cogliere. Ma viene anche detto che ciascuna traccia potrebbe fare da colonna sonora al lavoro d’ufficio; oppure essere ascoltata a casa con un buon vino assieme alla persona amata (ahi, ci risiamo!).
L’iniziale “Senza di te”, per esempio, ricrea il vuoto di un rapporto terminato dopo tanti anni o si riferisce alla mancanza di lavoro, visto il tema portante dell’album? Qualcuno sostiene che indichi entrambe le cose, in un ambient da moderna pellicola esistenzialista, che scorre con fare lento e vede le note di due chitarre distinte sovrapporsi, facendo uscire di scena prima l’una e dopo dei momenti di solitudine anche l’altra. Si è peraltro scritto che questa separazione sarebbe avvenuta il 27 maggio, come il numero “27” che intitola la seconda traccia; una cifra che a sua volta indica anche il giorno del mese in cui si prende lo stipendio e che in questo caso dovrebbe creare sensazioni contrastanti: il lavoro pubblico è una certezza o una prigione? Infatti la sequenza musicale è tutt’altro che rilassante, fatta di sbuffi elettronici continui e modulazioni che variano di continuo anch’esse, facendo venire il dubbio d’aver lasciato il cellulare troppo vicino alle casse, creando così disturbi durante l’ascolto.
La fruizione, come detto, non porta per nulla al rilassamento bensì a uno stato di tensione costante, fattore reso evidente in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, con cui si omaggia a modo proprio Italo Calvino. Non si poteva che prendere spunto da una storia in cui il protagonista comincia per dieci volte a leggere un libro e non riesce mai a continuare, ricominciando daccapo, proprio come le sovrapposizioni che via via si succedono in maniera ossessiva in questa composizione. Per non parlare di “Folagra”, che porta il medesimo nome del collega di Ugo Fantozzi, giovane intellettuale di Sinistra schivato da tutti per paura di compromettersi davanti ai propri capi.
Vi sono quindici tracce, disposte lungo quelle che sarebbero due facciate immaginarie, proponendo continui riferimenti come “Piove sul nostro cocktail” o la conclusiva “TFR”. Non è una musica che scivola fluida, tutt’altro; c’è qualcosa di ruvido, di “granuloso”, che crea ostacoli in modo volontario al fluire dell’assimilazione. È sicuramente un nuovo inizio di vita per Buttafuoco, che parte da una pars destruens molto intellettuale per portare la sua musica e se stesso… chissà dove. Si chiuderà con una nuova sintesi oppure il cerchio non si chiuderà e si rimarrà sospesi in questo eterno interstizio temporale, costruito in maniera sintetica? Nessuno può dirlo. Ma a chi piace l’elettronica, e in generale gli esperimenti nel settore specifico, dovrebbe dare più di un ascolto a questo nuovo lavoro. Si troverebbero sicuramente dei validi spunti creativi, a patto che davvero non ci si voglia rilassare ed invece viaggiare verso strani lidi della mente, con variazioni e stacchi improvvisi che facciano tornare sempre sui propri passi.

Michele Merenda

OLOGRAM-La mia scia -autoprod. -2024 -ITA -Peppe Di Spirito
OLOGRAM La mia scia autoprod. 2024 ITA

Provenienti da Siracusa, gli Ologram sono guidati da Dario Giannì, bassista, tastierista e compositore, autore di tutta la musica presente in questo cd autoprodotto di circa trentasei minuti. Classico quintetto prog, con l’aggiunta di ospiti alle tastiere, al violino e alla voce, gli Ologram sono bravi a miscelare le influenze e a proporre una serie di brani nei quali sono abbinati la voglia di lanciarsi nei meandri di un enfatico prog sinfonico e la spinta verso sonorità e melodie di una certa orecchiabilità. Dopo una breve introduzione affidata a curiosi vocalizzi con “22.43”, si entra nel vivo del disco con “Kasbah”, pezzo che sorprendentemente si apre con un riff che rievoca molto (troppo?) da vicino “Kashmir” dei Led Zeppelin. La dinamica di questo bano è comunque piacevole e porta ad un’alternanza tra vigore hard rock ed elegante prog romantico. A seguire, “Luna piena” mostra la capacità degli Ologram di far incontrare sonorità moderne, atmosfere dei seventies e melodie immediate. “Non sarai” parte come canzone rock che strizza l’occhiolino alla Premiata Forneria Marconi più diretta, ma si apre anche ad una bella parte strumentale con le tastiere in grande spolvero. “Jaracanda” offre un sound più tranquillo e semiacustico e si muove su terreni non distanti dalla world music (sospinta anche dal violino) ed ha anche una breve sezione più classicheggiante. La strumentale “Descent”, invece, sembra prendere spunto contemporaneamente dai Rush più tecnologici (periodo “Signals”), dagli Yes e dai King Crimson, con ottimi interscambi di chitarra, tastiere e archi su ritmi in continua variazione. Probabilmente il momento top del cd. Le ultime due tracce, “La mia scia” e “1997”, virano verso soluzioni più semplici ed un pop-rock comunque dignitoso, che vede come punti di riferimento Police, Radiohead, Muse, ma anche gli anni ‘80 della P.F.M. e dei Genesis. In questo loro secondo album, gli Ologram hanno messo in mostra diverse carte interessanti. Innanzitutto è evidente la capacità di mescolare bene le varie influenze, cosa che ha permesso di evitare impressioni di clonazioni o di ennesima riproposta di cliché prevedibili. Da lodare anche arrangiamenti ed esecuzioni. Tra le cose rivedibili c’è da dire che in certe occasioni una maggiore attenzione alle dinamiche, accentuando alcuni contrasti tra “piano” e “forte”, potrebbe portare ulteriore imprevedibilità alle composizioni e sembrano migliorabili le parti vocali. Insomma, c’è ancora da limare qualcosa per una piena maturità, ma “La mia scia”, pur mostrandosi ancora un po’acerbo, è pieno di belle idee e mostra una band che ha promesse importanti da mantenere.

Peppe Di Spirito

THE TRANCE DIMENSIONALS-(feat. Nik Turner) Space angels -Black Widow Records -2025 -UK -Michele Merenda
THE TRANCE DIMENSIONALS (feat. Nik Turner) Space angels Black Widow Records 2025 UK

Nell’anno 2022 il “mistico” polistrumentista inglese Steve Hillman e Nik Turner, storico sassofonista/flautista degli Hawkwind, lanciavano in orbita l’esordio dei The Trance Dimensionals, oscura creatura space-rock. Un sodalizio che era cominciato nel 2016 e che stava approdando alla preparazione di un nuovo album, quando capita l’imprevisto: la morte di Nik. Il grosso numero di brani registrati porta comunque alla pubblicazione di questo secondo lavoro, l’ultimo in assoluto di Turner. Di fatto, dagli Hawkwind si sono diramate davvero tante realtà, tutte fluttuanti nell’orbita “cosmica”; la band di Hillman, oltre al compianto sassofonista che ormai non c’è più, vede in formazione altri “militanti” nella famosa compagine britannica, come la cantante Angel Flame ed il bassista Dave Anderson (presenti, rispettivamente, anche con Arthur Brown e Amon Düül).
Lo space-rock non è stato e non è solamente sintetizzatori, sequencer e assoli evocativi; è anche ritmo che può suonare ossessivo, mantrico, rievocando rituali “primitivi” che vengono perpetuati durante le notti della società moderna. È rievocazione di contatti con stelle, altri pianeti e forse anche altre entità, avuti da quando l’essere umano ha preso una minima coscienza di sé, magari – al giorno d’oggi – ricreando anche l’atmosfera di una nuova Età della Pietra, sorta da un ipotetico scenario post-atomico. Tutto questo rientra nella proposta del chitarrista/tastierista Steve Hillman, che col suo fidato batterista Dai Rees risveglia una musicalità arcaica e si mette in ascolto di quanto possa tornare come risposta dalle galassie ai loro input. Così, il vento spaziale solca in apertura il rock’n’roll di “Space Groovin’”, monolitico e continuo, cantato dallo stesso Turner come se fosse uno stanco Iggy Pop (vi è anche un rimando molto nascosto alle radici musicali, a John Lee Hooker), dando poi anche un tocco di sax. La voce di Nick è ancora più greve sulla seguente “N.D.E.”, la cui voce si mischia con quella femminile e sognante di Angel Flame, cantando delle sensazioni fluttuanti e delle visioni colorate vissute durante il viaggio astrale dell’anima. Seppure non particolari da un punto di vista tecnico, gli inserimenti di chitarra si dimostrano ben piazzati, assieme agli altri suoni sintetizzati che vanno facendo capolino.
Contrariamente a quanto si possa pensare, i brevi brani di intermezzo si dimostrano interessanti, come “The Journey Beyond”, una recitazione sulle note di sassofono. Ma anche la tribale e misteriosa “Amunet”, seguita dall’immaginifica “Field of Reeds”. Fasi di passaggio, di transizione verso i sette minuti e mezzo che compongono “D-Rider”: prima una specie di ballata cosmica e poi quieta fuga tra flauti e synth verso altri lidi nel cosmo. Mike Bew suona il basso e canta su “Moon Dancer”, quasi quattro minuti e mezzo di invasamento dionisiaco, in cui le rullate di batteria la fanno da protagonista nella parte strumentale, mentre la chitarra elettrica si fa strada e descrive con le note la danza frenetica (sotto sostanze psicotrope?) alla luce dell’astro d’argento, capace di condizionare la vita e le maree. “Transdimensional Beings” è ancora un brano di transizione, “cosmico” nel vero senso della parola, in cui Angel parla dei viaggiatori del multiverso, seguito da “Higher and Higher”. Quest’ultima traccia, con l’ospite Mr. Dibs (Spacehead, Krel) al microfono, riprende la bit music, la shakera con la musica cosmica ed un po’ di garage, per ottenere qualcosa che sembri una versione Kraut meno spigolosa e meno depressiva dei nostrani Prozac+. Un episodio divertente.
Si chiude con “Slinky”, strumentale in cui domina il sax di Nik, capace di riportare alla mente le vecchie pellicole di spionaggio, in cui i protagonisti mostravano sempre un impeccabile aspetto signorile. Degna conclusione per l’uscita di scena definitiva di Nik Turner, in un album che verrà fatto passare per autentico cult. Non è esattamente così, se non per i fatti sopra riportati e per alcuni fans sfegatati; il lavoro è gradevole ma non certo un capolavoro imperdibile. Occorre però dargli più di un ascolto, ad alto volume, riuscendo così ad apprezzarlo e a tratti persino ad entusiasmarsi. Molto bella la copertina e la grafica curata da Nick Beery, con un libretto interno alla confezione digipack davvero ben fatto.

Michele Merenda

JORIS VANVINCKENROYE-BASta! - III -Ronin Rhythm Records -2024 -BEL -Giovanni Carta
JORIS VANVINCKENROYE BASta! - III Ronin Rhythm Records 2024 BEL

Un disco per solo contrabbasso potrebbe inizialmente destare qualche perplessità. Tuttavia, come spesso accade, superare i preconcetti si rivela la scelta giusta, soprattutto quando l'artista in questione dimostra una notevole apertura mentale. Joris Vanvinckenroye, mente creativa dietro il moniker BASta!, non è un nome nuovo per chi segue la scena belga della musica classica moderna: è stato infatti il contrabbassista degli Aranis, un eclettico ensemble da camera che affondava le proprie radici nel rock in opposition e nel progressive più rigoroso, un'esperienza artisticamente fertile ma conclusasi nel 2017. Nella sua veste solista come BASta!, Joris fa divenire il contrabbasso come l'epicentro della sua musica, ma l'ingegnoso lavoro di produzione e la stratificazione sonora dello strumento conferiscono ai nove brani del disco, interamente strumentali, una interessante dimensione orchestrale ed evocano le dinamiche di un quartetto d'archi, in un risultato tutt'altro che banale. L'approccio di Joris alle tecniche compositive e di registrazione si rivela dinamico, rendendo l'ascolto variegato e piuttosco scorrevole, unendo il rigore accademico ad un'apertura mentale tipicamente progressiva. L'atmosfera che pervade "III" è tuttavia intensa e drammatica, lasciando trasparire una ricercata algidità che si fonde con una sofisticata eleganza, tratto distintivo di molte produzioni musicali fiamminghe. Forte è il senso del ritmo e della melodia, arricchito da accenni jazz, un tocco di minimalismo e retaggi di musica folk. Si potrebbe immaginare un ideale incontro sonoro tra Wim Mertens, Daniel Schell, Yann Tiersen, il Kronos Quartet e, guardando al panorama italiano, ensemble acustici come Gatto Marte, con dinamiche che strizzano l'occhio persino al post-rock: un accostamento stilistico non immediatamente decifrabile ma pienamente efficace nel suo risultato finale. Il suono del contrabbasso, spesso affiancato dalla viola da gamba, si snoda sinuoso e avvolgente. Nella sua costante esplorazione timbrica, le melodie evocano un romanticismo drammatico tutt'altro che manieristico, intriso di una riflessiva introspezione che si avvale anche di leggeri frammenti avanguardistici, senza tuttavia addentrarsi eccessivamente in sperimentazioni puramente rumoristiche, ma con interessanti variazioni dissonanti negli arrangiamenti. È innegabile che un lavoro come "III" si rivolga a una cerchia ristretta di ascoltatori, e l'idea di affrontare un disco incentrato fondamentalmente sul solo contrabbasso (e viola da gamba) potrebbe rappresentare un iniziale freno. Tuttavia, chi è interessato a esplorare le derive più classicheggianti del rock in opposition ed apprezza la musica classica moderna troverà in questo disco una fonte di grande soddisfazione.

Giovanni Carta

THE WEEVER SANDS-Moonfish. Songs of love and water -Trommelfell Records -2024 -GER -Michele Merenda
THE WEEVER SANDS Moonfish. Songs of love and water Trommelfell Records 2024 GER

Se nel precedente album la curiosa creatura di Jens-Peter Gaul narrava le avventure di un uccello, stavolta mette in musica le vicende di un pesce. Un pesce luna, per l’esattezza, capace di mantenere il livello endotermico del proprio corpo. Come al solito, viene da chiedersi quale sia il ruolo di Jens-Peter, che probabilmente si occupa di composizioni prima al computer (è solo una supposizione, sia chiaro) e poi alle tastiere, riproducendo con i sintetizzatori vari suoni ed orchestrazioni. Tre pezzi, che seguono il “pinneggiare” di questo pesce nell’arco di una giornata. “Oh, I Said, And Turned Vanilla (River I)” è una sorta di mantra dalla durata di otto minuti, un trip continuo in cui il ritmo viene variato dall’intervento chitarristico di Armin Rave, che già si era distinto nella precedente pubblicazione. “Moonfish (Opah)” dura addirittura ventotto minuti e mezzo; sono tutti abbastanza concordi nel dire che il riferimento più ovvio sembra essere il Michael Oldfield degli anni ’80. Una composizione che diventa interessante intorno ai dieci minuti. Certo, questo scorrazzare avvolti nel liquido blu è ipnotico e sembra davvero di essere in un grande acquario, con suoni e versi che compaiono all’improvviso, risultando sempre organici alla composizione. Da segnalare, inoltre, la presenza di due figure legate proprio ad Oldfield: il fratello Terry al bansuri (flauto indiano di bambù) e poi Les Penning al flauto dolce, presente sullo storico “Ommadawn” (1975). Di sicuro, il crescendo del brano si lascia ascoltare piacevolmente e mette di buon umore, soprattutto dopo che viene superato il quarto d’ora e la componente prog-folk prende il sopravvento con i veloci e scherzosi passaggi all’organo.
“Oh, I Said, And Blushed Like An Idiot (River II)”, quasi nove minuti, chiude l’album e – come può essere facile intuire – somiglia molto al pezzo omonimo d’apertura, risultando se possibile ancora più ossessivo e prendendo una piega più interessante al sesto minuto. Alla fine, tra ambient e minimalismo, Jean-Peter riesce ad essere sempre positivo e sicuramente il suo approccio può essere definito progressivo, con una sua originalità.

Michele Merenda


Interviste

ANTILABÉ - Jessica Attene - 2025
ANTILABÉ Jessica Attene
 

Nella cornice di Piazza del Campo a Siena ho avuto il piacere di incontrare Adolfo e Alessio Silvestri degli Antilabé per un’intervista “analogica” e in vecchio stile in cui emerge l’aspetto umano e creativo di un gruppo che ha saputo ridisegnare in modo personale i confini della musica che amiamo. “Animi Motus”, il loro ultimo album uscito nel 2023 per la Lizard, esprime con freschezza il loro credo artistico, fatto di sincretismi musicali e culturali, passione per i dettagli e per l’arte in generale, in cui sono impresse emozioni in grado di penetrare l’anima di chi ascolta. Per ulteriori considerazioni che riguardano quest’opera, vi rimando alla relativa recensione già pubblicata su queste pagine e vi lascio invece alle nostre chiacchiere sperando vi diano l’input ad approfondire la conoscenza di questa splendida realtà musicale.

Prima di tutto grazie per questo incontro. Mi piacerebbe sapere che cosa è successo dal vostro precedente album, “Domus Venetkens”, uscito ormai qualche anno fa...

Adolfo:“Domus Venetkens” era uscito nel 2018. “Animi Motus” è stato in embrione dal 2020, era in periodo COVID, per circa un anno e poi è stato pubblicato nel 2023. Il discorso del COVID ci ha isolati. La traduzione di “Animi Motus” dal latino è “movimento dell’animo”, quindi emozioni. Volevamo esplorare in questo modo tutte le emozioni che ci hanno coinvolto e sconvolto in quegli anni e quindi ecco perché questo lavoro è legato a ciò che le parole ed i suoni possono descrivere di tutta questa pandemia che ha colpito noi e tutto il mondo. Abbiamo voluto dare la nostra interpretazione di queste emozioni in modo che potessero essere condivise, se non nella stessa modalità, quanto meno in modo simile.

Pensate che la vostra vita artistica sia cambiata in qualche modo in base alle emozioni portate dalla pandemia?

Innanzitutto c’è stato un cambiamento anche dal punto di vista compositivo perché è andato via il vecchio tastierista, Graziano Pizzati, quello che aveva dato la sua impronta a “Domus Venetkens” e anche in parte ai brani ancora precedenti, anche se dal punto di vista esecutivo in “Diacronie” non c’erano le tastiere ma c’era tutto un lavoro legato alle percussioni e alle percussioni tonali. Da quel punto di vista abbiamo voluto dare un’impronta un po’ diversa rispetto a “Domus Venetkens”, però c’è sempre un concept di base che in questo caso riguarda l’approccio alle emozioni. Partendo dai “Labirinti della mente” (la prima traccia ndr), cioè l’approccio della mente nei confronti di ciò che ogni giorno, quotidianamente affrontiamo, arriviamo alla parte finale che è “Una luce nuova” in cui scopriamo che c’è sempre uno spiraglio. Dobbiamo vedere sempre qualcosa in fondo al tunnel e quindi superare i momenti della vita attraverso tutta la serie di emozioni che abbiamo vissuto in quel periodo e che normalmente viviamo, chi più chi meno, in base alle modalità e agli strumenti che abbiamo a disposizione”.

Una cosa che mi è sempre piaciuta del vostro stile è il saper incorporare elementi etnici nell’ambito della vostra musica. Questa volta che elementi sono stati incorporati?

Abbiamo inserito degli strumenti molto particolari come lo handpan in un brano che è “Dubitar”, dove troviamo anche elementi un po’ diversi dal solito grazie a degli special guest al flauto e all’oboe, con una struttura un po’ vincolata perché risente della scala obbligata che noi utilizziamo (data dall’accordatura dello handpan ndr). Però dietro c’è tutto un lavoro di assemblaggio che consente a tutte le parti di lavorare bene insieme. Questo brano è anche caratterizzato da una lingua particolare che è il sabir che veniva un tempo utilizzata nei porti del Mediterraneo per poter lavorare in modo più semplice e che era un insieme di tante influenze. Il termine Sabir deriva dallo spagnolo “sapere”. I portuali nel bacino del Mediterraneo erano un po’ italiani, quindi troviamo vari dialetti dal veneto al siciliano, troviamo anche un po’ di arabo e di spagnolo. Abbiamo elaborato un testo che potesse andare bene. “Dubitar” significa “dubitare” e riguarda quindi i dubbi che ci hanno assaliti in epoca COVID.

Quindi la musica è sempre come una metafora di incontro anche in questo caso… e voi in quello che può essere il contenitore del Progressive Rock come vi ci vedete dentro?

Sempre di più, anche se molti rimangono legati a quello che è stato il Prog degli anni Settanta. Io mi ritrovo in questa situazione, visto che si tratta di miei coetanei e io ero ascoltatore e musicista già in quegli anni. Devo però dissentire un po’ e divergere rispetto a quelle che sono le condizioni di ascolto e anche di composizione di questi miei coetanei. Perché dico che si può fare ancora oggi del Prog e andare avanti, quindi cercare anche di inserire elementi nuovi come abbiamo fatto in passato e come continuiamo a fare in questi nuovi brani in cui abbiamo inserito addirittura dei recitativi, in uno da parte di una ragazza, Martina Vettoretti, che è la figlia di Marino, il nostro chitarrista, e in un altro abbiamo utilizzato proprio un attore professionista, Enzo Giraldo, che è nostro amico.
Ci tenevamo ad avere questa interpretazione un po’ teatrale che andasse in qualche modo a convergere su quelle che erano le nostre espressioni musicali. Quindi per noi questo era un elemento di progressione che significa andare avanti. Abbiamo inserito strumenti nuovi, quindi etnici, come lo handpan, come anche strumenti classici che prima non avevamo utilizzato, l’oboe di Arrigo Pietrobon e il flauto di Giuseppe Bepi De Bortoli, e abbiamo utilizzato ancora il pianoforte acutisco cioè il gran coda Steinway che abbiamo già suonato in passato. Poi ci sono elementi di musica elettronica, c’è l’orchestra di archi addirittura (la Magister Espresso Orchestra) nell’ultimo brano. Ci sono quindi elementi diversi.

Siete riusciti a proporlo dal vivo?

In pochissime occasioni come quando c’è stata la presentazione ufficiale e in quel caso c’era anche il quartetto di fiati del nostro sassofonista Alessandro Leo che ha interpretato uno dei nostri brani. Purtroppo però la musica originale non è sempre così apprezzata e allora questa mancanza di spazi ci ha portato ad avere delle collaborazioni particolarissime come quella con una poetessa e traduttrice argentina, Luisa Futoransky, e abbiamo fatto un recital sulle sue poesie, tratte da una antologia che si intitola “Pittura rupestre”. C’era quindi la nostra musica assieme alla lettura delle sue poesie con una presentazione che è avvenuta anche nell’Università di Parma grazie all’interessamento di due docenti che si occupano di letteratura ispano americana.
Poi abbiamo avuto anche un’altra collaborazione con un’altra scrittrice che si è occupata di Alzheimer, Daniela Gianfrate, e che ha scritto un libro per bambini in cui si cerca di far capire le sensazioni che si possono provare di fronte ad una nonna con demenza. Quindi è il tentativo di fare qualcosa di diverso per continuare ad essere visibili in un contesto in cui è difficile trovare spazi, perché la gente non ascolta più e non sa cosa sia la qualità della musica, dei suoni, e quindi vedere dei musicisti dal vivo non è più di moda. Stiamo vedendo addirittura nel nostro contesto, per lo meno a livello della nostra regione, che persino le tribute band e le cover band hanno problemi. Vediamo proprio come questo panorama stia cambiando
Notiamo questo soprattutto nelle fasce giovanili ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio, ho anche mio figlio che ha la possibilità di farmi conoscere un mondo diverso dove ci sono anche lì cose belle da ascoltare, cose interessanti e cose nuove, però è anche vero, e lui stesso me lo dice, che purtroppo si fa fatica ad analizzare il suono e ad ascoltarlo nella maniera più giusta e corretta. Per capire, anche nell’ambito dell’elettronica, il suo preferito, l’ascolto avviene a livello immediato, quindi con qualsiasi strumento che sia una chiavetta o un iPhone e non è la stessa che ascoltare con un impianto HiFi. L’alta fedeltà non si sa più cosa sia per un pubblico giovanile e quindi questo poi porta di conseguenza a degli ascolti molto diversi.

Probabilmente sono fenomeni tutti legati gli uni agli altri, una conseguenza a catena credo. Invece per quel che riguarda la tua attività di scrittore, cosa mi puoi dire?


La mia attività di scrittore è continuata, nel senso che ho pubblicato un libro di poesie… anche se poesie alla fine lo sono anche tanti testi degli Antilabé.

Quindi è sempre poesia e musica…

Sì, poesia e musica, quindi testi allegorici, quelli che mi hanno diciamo condotto a scrivere. Ho iniziato a scrivere testi di brani, ma anche qualche poesia, già nel periodo adolescenziale e universitario. Li scrivevo di tanto in tanto però avevano sempre questa sonorità di base: mi piaceva sempre unire e cercare di trovare questa comunione fra suoni e parole, parole e suoni, elementi che abbiamo definito poi con un nostro motto come gli strumenti universali per unire nel tempo, che sono appunto le parole e i suoni.

Invece per quanto riguarda l’aspetto di produzione e post produzione dell’album, per voi è importante anche agire sul supporto fonografico?

Certo, questo era il nostro quarto lavoro per cui abbiamo voluto anche soddisfare alcuni nostri vecchi desideri, soprattutto del chitarrista, ma abbiamo trovato conforto anche nelle leve più giovani del gruppo perché anche loro che non hanno vissuto il periodo storico del vinile hanno detto che è stata una bella esperienza e la sorpresa più grande è stata quando il mastering è andato a essere prodotto su vinile. Il mastering è stato fatto presso gli Alchemy Air Studios di Londra, quindi con grande soddisfazione, perché è lo studio che si occupa oggi di tutte le produzioni di alta qualità che vanno dai film a quelle dei grandi protagonisti della musica. In più abbiamo avuto la fortuna di trovare una ditta tedesca che ha portato il mastering su vinile e lì è stata la grande sorpresa perché molte volte non si trova un prodotto di alta qualità è cioè non avviene una fase di trasposizione adeguata di quella che è la parte digitale su vinile. Con grande stupore e molta gratificazione a noi sembra che addirittura il vinile suoni ancora meglio del digitale. Ma questo è stato un feedback che ci hanno dato molti di quelli che hanno comprato il nostro LP. Si sono ritrovati d’accordo soprattutto i grandi cultori dell’Hi-Fi e con questo prodotto i feedback sono stati tutti positivi. Tutti ci hanno detto che c’è una grande qualità. Invece i CD che ci sono in giro, ci sono perché abbiamo anche i file digitali, abbiamo messo a disposizione una copertina ad ottima risoluzione e puoi farti anche il CD se vuoi, però noi i CD ufficiali non li abbiamo fatti.

A parte che non esiste neanche quasi più la concezione del CD e il lettore CD è diventato quasi una cosa antiquata come quello delle cassette…

Alessio:Specialmente nella nostra generazione si vede il vinile come un qualcosa di facente parte di quell’universo di ritorno al vintage che si vuole perseguire ultimamente e probabilmente si dice che se dobbiamo tornare a qualcosa di vintage lo dobbiamo fare bene tornando al vinile invece di settarci su quella tappa intermedia durata pochi anni che è stato il CD. Non tutti sono disposti a comprare un giradischi perché richiede una certa cultura ed è necessaria una catena audio.

Per quel che mi riguarda, mi spaventa in un certo senso staccarmi dal supporto in favore di una forma fluida di arte…

Alessio: All’inizio pensavo anche io che fosse una conseguenza naturale dell’evoluzione della musica poi però ci ho riflettuto e ho approfondito il rapporto che ha la musica con Spotify e sono venuto a capo della questione del perché per esempio noi paghiamo 9 euro e 99 per un abbonamento. Si potrebbero aprire mille parentesi, ad esempio sul perché ci cono persone che dicono di averlo crackato e che non vogliono pagare gli artisti. Quando sono diventato un artista ho capito quanto sia importante remunerare gli artisti stessi quindi ho acquistato il piano di abbonamento. Però la cosa veramente preoccupante è che con il 95-96% dei soldi che spendiamo per il piano mensile di Spotify non stiamo pagando la musica di quegli artisti ma stiamo pagando affinché i server di Spotify, che sono in Svezia, possano fare in modo che noi ascoltiamo la musica in streaming in tempo reale. Cioè dei 9 euro e 99, 9 euro servono solamente a Spotify per raffreddare i server e per poter garantire il servizio di musica illimitata e istantanea a tutti, l’altro euro viene diviso fra gli artisti in base a quanto vengono ascoltati. Per cui è un sistema che di base non è pensato per facilitare la produzione di musica e quindi non è un sistema che incentiva una musica di qualità.
Diventa un cane che si morde la coda perché un artista che vede questo meccanismo dice che non potrà mai guadagnare nulla dalla musica e dice “cosa mi costa fare musica di qualità, cosa mi costa investire mesi, anni di studio della mia vita se poi non mi ritorna nulla di quello che ho fatto?”… E allora si fa sostanzialmente musica di un livello più basso, però se ne fa di più e quindi si saturano i sistemi e quella musica poi arriva a chi ascolta e chi ascolta quindi costruirà il suo bagaglio culturale, la sua cultura musicale, su questo tipo di cose qui e questa è secondo me la cosa più preoccupante.

State iniziando a lavorare a qualcosa di nuovo?

Adolfo:Adesso siamo in fase di stasi. Ci sono queste collaborazioni con la scrittrice che ha scritto sull’Alzheimer e dall’altra parte con il recital delle poesie della poetessa argentina. Sono delle collaborazioni che ci permettono anche di fare brani nuovi perché per il recital della poetessa argentina abbiamo scritto una milonga di proposito, quindi un brano originale che è stato apprezzato dalla poetessa stessa che attualmente vive a Parigi, in Francia, e sto aspettando anche che ci siano degli sviluppi in merito. Noi abbiamo già dei video con lei che legge alcune sue poesie.

Magari il pubblico può essere ricavato fra chi fruisce di poesie e letteratura che magari pur non essendo esperto di musica si può appassionare perché ha una forma mentale simile: si parla a chi ha la stessa sensibilità…

Una forma anche artistica direi. E’ un po’ anche il discorso di diversificare per cui se uno ha una fabbrica che va in fallimento ha bisogno di diversificare il prodotto per cercare di tirarsi su e noi cerchiamo più che altro di essere visibili, perché poi ognuno di noi in altri ambiti ha il suo lavoro, dal momento che non viviamo di musica strettamente. Però chiaramente volendo presentare il proprio lavoro e non trovando gli spazi per poterlo fare bisogna inventarsi qualcosa e noi ci siamo inventati questo cercare di proporre la nostra musica attraverso forme artistiche diverse.
A proposito di arte, la copertina dell’LP è un dono di un pittore friulano molto conosciuto che si chiama Pier Toffoletti e che ha fatto delle mostre conosciute in ambito internazionale, mi pare sia a New York adesso. Ha uno stile tutto particolare e noi gli abbiamo chiesto quest’opera. Siccome il volto era rivolto a sinistra, ma in questo modo, nell’LP, l’immagine si sarebbe adattata alla parte posteriore, quindi non aveva senso, ho chiesto all’artista se potevo riflettere questo volto e lui me lo ha concesso.

A conti fatti quindi forse non conviene dire che si è Prog. Se ti dovessi inventare una definizione?

Io sono dell’avviso che, musicalmente parlando, sono nato negli anni Settanta. Io chiedo sempre, anche agli altri coetanei, se secondo loro uno sperimentatore come Demetrio Stratos oggi avrebbe fatto le stesse cose. Io dico di No. Se vuoi, la nostra musica è un grande calderone dove convive tutto quello che ci interessa, dalla musica classica (perché ci sono molti spunti classici nella nostra musica) fino alla musica etnica, fino a certi sperimentalismi. E’ chiaro che non abbiamo inventato niente di nuovo, se andiamo a vedere tutto il percorso dell’universo sonoro da quando è nato il suono e da quando poi ha avuto tutto il suo processo evolutivo fino ad essere immagazzinato, organizzato e codificato. Ma questo possiamo vederlo in tutte le espressioni artistiche, possiamo arrivare ad un livello estremo sia da una parte che dall’altra, ma alla fine bisogna andare avanti con qualcosa di originale. Gli elementi sono sempre quelli, possono essere più o meno evoluti, ma alla fine è come li assembli che dà l’originalità e quindi cerchiamo di assemblarli in un modo che è il nostro sentire, il nostro stile. Il fatto di ricollegarci sempre a delle lingue strane, antiche, testi particolari, è un po’ il nostro modo di sentire, quelle che sono sono le nostre impressioni cerchiamo di metterle insieme e il risultato è la musica degli Antilabé.

Le nuove produzioni mi danno sempre più spesso una sensazione di peso e di noia, io invece inviterei ad ascoltare il nuovo album degli Antilabé.

Riuscire ad esprimere quello che hai dentro attraverso le parole e i suoni è tutto perché il compito dell’espressione artistica è proprio quello di trasferire emozioni. Anche quando guardi un quadro, se lo fai in modo superficiale e te ne vai via non ti rimane nulla, ma se invece approfondisci con lo sguardo e vai in fondo al dettaglio e ti chiedi perché il pittore ha voluto fare così, perché c’è quel colore, cosa c’è lì dietro, si rivela tutta una serie di cose che cercano di avvicinarti all’artista. Non devi necessariamente provare le stesse emozioni ma l’opera ti deve trasferire delle emozioni e quando avviene il processo di trasferimento delle emozioni, secondo me l’artista ha ottenuto quello che voleva, l’obiettivo finale è quello. L’obiettivo finale è dare e ricevere e questo avviene anche se tu non sei più vivo e tu ricevi ancora feedback da chi guarda la tua opera e da chi ascolta la tua musica.


ECHOLYN - Marco Zanghieri - 2025 -
ECHOLYN Marco Zanghieri
 

After a ten-year wait, Echolyn’s new album is finally out. In reality, it’s not just one album, but two, for a total of just over 90 minutes of music. Time Silent Radio vii and Time Silent Radio ii, distinguished in this way by the number of songs contained in each of the two CDs, show a band that appears to be in great health, totally independent artistically and that gives us a work that can easily be counted among their best things (and Echolyn have never produced bad works). This and much more was discussed in the interview below with Christopher Buzby (keyboards, backing vocals), Brett Kull (guitars, lead vocals and backing vocals) and Ray Weston (bass, lead vocals and backing vocals) who agreed to answer the questions of an admirer like myself…


Hi guys and thanks for your availability to answer my questions. I personally met you in 1995. After reading some articles about you in a couple of progressive rock fanzines, a friend made me listen to Suffocating the Bloom and As the World, briefly introducing the band as similar to Gentle Giant. The spark didn’t strike right away (your music requires a minimum of consistency before being appreciated) but then you became one of my favorite bands. I consider Echolyn among the best 5 bands ever among those born after the Seventies (if you’re curious the other 4 are Opeth, Gov’t Mule, Landberk and The Amazing). I have all your records (including the side projects to the band) and so it’s exciting for me to be able to interview you. So forgive me if some questions seem a bit too fan-like…
Let's begin…
It’s been 10 years since the last Echolyn album. It’s never been so long between your albums. I know you started working on it in 2018. Why did you let so much time pass?


Chris Buzby: I moved full-time to what used to be my second home in Southern Delaware in July of 2014 and took a teaching job in Berlin, Maryland. While I’m only 150 miles south of where Brett and Ray live in PA, that’s still a 2.5 hour drive one-way…so unfortunately that made it much harder for us to see each other as much and as often. I was also diagnosed with Stage 3 Prostate Cancer in March of 2019 and had emergency surgery that June to remove my Prostate, which sidelined me for a few months while I recovered. I am, however, very happy to report I’m about to pass the 6-year mark of now being cancer-free. My PSA for the PSA; guys = get checked!
Brett Kull: We get together to write and record when the time allows and circumstances call.
Ray Weston: After the last album we needed to take a mental vacation, some time away to clear our heads and figure out where to go next. Chris and Brett started in ’18 and soon realized they needed the best looking guy in the band back so they gave me a holler. Shortly after that Chris has some scary health issues….. covid, work, and of course life happened. We never felt any pressure to get these albums finished. We knew the songs would tell us when they were ready. For me the extra time took the stress off of writing some of the best lyrics Brett and I have written.

The quality of the songs is very high, in my opinion at the level of your best works, I think also because each composition has been created and refined in the smallest details over all these years. I often joke that there should be a law that forces Echolyn to release an album every two years. I wonder: would the quality of the compositions change if you were faster? And can you give me a little description of how your compositional and recording process works?

Chris: So happy to hear you rank the quality of these new songs so high - we, too, feel they are some of our best musical output, to date, as a band. The process always starts with Brett, Ray or myself bringing an idea to the band for a show-and-tell session. During that session we noodle around with it, dissect it and decide whether it feels echolyn-like or echolyn-enough. It’s a cool process to witness/partake in, as once the scaffold of a song is created we then work to add our own individual parts and sections to the original ideas, including lyrics, melody lines, vocal harmonies, instrumental breaks, solo sections, drum tracks, etc.
Brett: Once we start the process of writing and recording, at least for me, we feel compelled to complete whatever we are working on, with obvious respect to all the other things going on in our lives. We actually work very quickly when together because we intuitively are single-minded in our writing. What affects how long our process takes is what is going on in the spaces between when we are together. The only “law” that would force us to get songs and albums done quicker would be a law stating that we get paid enough money to pay our bills and live a normal life through our music. Making money with our music has no bearing on the quality of it, yet it does affect (as do other things) how much time we can spend working on our songs. In short, the process of writing is second nature at this point. Chris, Ray, and I have been doing it together since 1989 and we have gotten dangerously good and efficient at working together. We work together when we find the time.
Ray: Faster is not better. We, I need life to happen to find new things to write about. Music…is a different animal all together. We can come with riffs all day long but they need to carry the weight of who we are. So again I say faster isn’t better.

After years of self-production you have once again relied on a producer, Glenn Rosenstein. Why this choice?

Chris: Glenn was actually hired to mix and master the new album tracks alongside Brett, as Brett was very close to the project and simply wanted and needed some outside ears and perspective. What Glenn brought was an honesty to the process that also included the awesome opportunity to use a lot of his studio and outboard gear - adding a luster and shine to the new music that is a crystal clear mix, but also incredibly warm and inviting sonically.
Brett: Actually, the new albums, “Time Silent Radio II” and “vii” are produced the same as all our albums, except “As the World”. Chris, Ray, and I have been working the same and getting better since day one. I generally spend the most time thinking about how our ideas fit together, recording them, and mixing them. That is not to diminish what Chris and Ray contribute, I only say it to point out the practical obviousness of me being an audio engineer and the person making choices on how the puzzle of a song fits together through the technology at my fingertips. I constantly am thinking about the sounds and how they fit together to create the emotions we intend. This is part of what a producer does and what I have been doing since, as mentioned, day one. Ray and Chris trust me on this and I rely on and trust them to hold me to the highest quality in serving the music. I would equate it to Chris writing string or horn parts for our music. Most of the time he is working on his own, putting the time in and creating amazing accompaniments for our songs. Ray and I trust Chris and allow his creative autonomy to create his arrangements, just as Ray and Chris trust and allow me to rearrange arrangements, make choices on sounds, and put all the elements together with foresight towards a final product. This has been the way it is on all our albums except “As the World”. In that case we had Glenn Rosenstein as the producer. For our two new albums, “Time Silent Radio II” and “vii”, I was not able to get the mixes I wanted because I was too deep and in too long with in the production, writing, and performance side of our songs to objectively serve the songs as the mix engineer. In short, Glenn stepped in and got us to the finish line by being a fresh and very objective mix engineer. He listened to my production and did what was needed to elevate the music to where we as a band aspired. It’s a testament to Glenn’s talent as both a producer and engineer that he absorbed the immensity of this project and was able to do what he did.
Ray: Brett has some of the best ears in the business. His vision, his ability to create space is uncanny. With that said, he felt that he had taken these songs as fas he could. With some luck and a bit of nostalgia our friend Glenn stepped in and gave Brett’s space more space.

Tell me a little about these albums, why you chose to make two of them, where the album titles come from, maybe with some considerations on the individual songs. My favorite songs are “Cul de Sacs & tunnels” and “Water in Our Hands”. Maybe if you can spend a few more words on these two...

Chris: Once we realized we had 91 minutes of new music we had to make the decision as to whether we record and release all of it, or whether we just release one album of @ 60 minutes. We very quickly realized that every single one of these songs deserved to be heard, so we discussed one long double album or 2 shorter albums. As children of the 1970’s we liked the idea of 2 shorter (45 minute each) albums. I call vii “the shorts” and II “the longs.”
Brett: We decided to release two albums because we felt 90 minutes of new music was a lot. Breaking them into two 45-minute collections felt right, manageable, and more cohesive. The album titles evolved over time. The idea of Time, and the evolving way in which humans view and exist in it, always communicating and demonstrating who, how, and why we are, through any communicable means and technological innovation, seemed to underscore and influence the music Chris, Ray, and I were writing. Questions of too much noise verses too much silence, chaos verses order, tradition verses progress. These ideas and many others seemed to exist under three words – Time, Silent, and Radio.
Ray: Well, we have never put 2 albums out at the same time. so there’s that angle….As far as the title goes, we were all trying our hand at coming up with the best title ever…..for weeks….then Brett came up with TimeRadioSilent. Chris tossed out the idea of changing the words around and voila TimeSilentRadio was born. I’ll give you some insight on “Cul De Sacs”. My full time job is as a Certified Nurses Aide. I work in a community dedicated to dementia. This is a letter (through my eyes) from a husband to his wife as he slowly looses her.

I imagine the choice to self-finance yourselves is due to the desire to maintain artistic independence. The price to pay, however, is that of semi-anonymity unfortunately. I know that making Echolyn records is not your main profession. Can you talk a little about your lives and how Echolyn, at this moment, fits into them?

Chris: Having artistic control is everything as an artist; that has always been important to us as musical artists in echolyn. Our day jobs allow us to earn/make a living - and for me it’s doing something I love and am very passionate about = teaching. I’m currently a Music Educator for every 6th thru 12th grader at a private independent day school in Berlin, MD. I conduct 3 Choirs/Choruses, 3 Concert Bands, 3 General Music/Music Appreciation classes, a Digital Audio elective and I’m the yearly Music Director for the high school musical - recent musical productions include Footloose, Mamma Mia, The Lion King, Shrek, Beauty and the Beast, The Pajama Game, The Sound of Music and The Addams Family. It’s a full-time job, but I love the impact I get to make on young students and artists each and every day.
Brett: Self-finance, or where the money comes from to record and manufacture our music, has no bearing on our songs other than the practical means in which we afford the costs of recording and manufacturing. These two new albums were different in that they were made in the era of streaming music (the past 10 years). This new way in which we listen to music has greatly influences the way in which artists make money for their music. Streaming is both a wonderful invention for music and a horrible curse for songwriters. I personally have been trying to make a living with music, songwriting, audio engineering, and music production since I got out of high school in 1984. I still am, but because of technological changes influencing recording methods, the ability to learn and play instruments, how to share music, and how music composition is used and paid for, I have also had to find other ways to pay my bills. Teaching sound-related classes at a collegiate level is one way I do this. I hope to move even more into academia to better serve the art of learning and sharing information for better prosocial outcomes.
Ray: As I said in the prior question I work as ‘’ guide” for our residents who are transitioning between this life and the next. I have taken some of their best rambles and put them on theses albums. There is never a dull moment.

I imagine your admirable artistic independence was also among the reasons for Sony’s lack of interest in you after you signed a contract that seemed to have launched you into the music scene. Can you tell me what really happened on that occasion, how you reacted and how you then decided to start being Echolyn again?

Chris: We had tour support monies that were squandered by Sony/Epic Records on other things other than our tour support…so without enough album sales, and no tour support, we sadly became a tax write-off for Sony.
Brett: We were a pet project for an A&R guy that loved progressive rock. He never thought it would work (despite our hard work and commitment) and ended up pocketing/stealing our tour support ($75,000) then claiming us as yet another write-off for Sony tax accountants. He crushed our dreams and tireless full-time work ethic of six years with his selfish narcissism and lack of respect for what we had accomplished and the possibilities we were fully capable of achieving. Our families suffered. After the initial fallout and the passage of four years, Ray, Chris, and I got back together because the three of us loved working together, and despite the horror show of failure imparted on us from Sony, we authentically missed each other’s company. Paul Ramsey (drums) and Tom Hyatt (bass) did not feel the same way that Ray, Chris and I felt… which is why Ray played bass on Cowboy Poems Free and Jordan Perlson joined us on drums.
Ray: We were on top of the world. Kings among uncommon. What it boiled down to was that they really had no idea what to do with us. We did however get a chance that not many bands get, let alone a prog form Philly. We tried to take advantage of everything we could, unfortunately when it came down to touring, which was our strongest asset, there was no money left. Without touring there was no new exposure. No new exposure no new sales. No new sales no new album. No new album… goodbye. When Brett, Chris and I write together, We are echolyn.

Let's continue with the dive into the past. Can you tell me, for each of your albums, how you analyze it in hindsight, what feelings it gives you today and how you judge your works? PS: it also applies, if you have time and desire, to the works not signed by Echolyn, such as Still, Always Almost, Finneus Gauge, Rise Twain and the solo works by Brett and Ray.

Chris: In terms of our Echolyn output I’m still very proud of "mei", "The End is Beautiful", The Windowpane Album, "I Heard You Listening", "as the world", "Suffocating the Bloom" and (of course) the 2 most recent TimeSilentRadio albums. I’m also incredibly proud of the 2 Finneus Gauge records (‘more once more’ and ‘one inch of the fall’) that were released in 1997 and 1999 = I still feel both of those albums are light-years ahead of their time musically, as it was an important time period where I was acting as both a band-leader and lead composer. Those years were incredibly fun and challenging musically, as everyone in that band was playing to their fullest and utmost potential, often times pushing our own musical boundaries harder and faster than we ever imagined was possible.
Brett: 1991 Debut album: I look back at it as a major achievement to find talented, like-minded people that wanted to work and create music together. We made it all ourselves. Our first album represents our nascent experiences with recording and song composition. Shades, Meaning and the Moment, and The Great Men still hold a special place despite their naivety. 1992 “Suffocating the Bloom”: I look at this album as the first indication of what we aspired for. It was us against everyone, it was authentic and unique, and we had the goods to be great – which we were. 1993 “and Every Blossom”: Our first recording where I felt like I was capturing good quality sounds. My remix for the box set show this. This little EP is undeniably unique and demonstrates our developing harmonic ears. 1994-95 “As the World”: This album shows the buzz we had in 1993. It was written in the exuberance and energy of that year. We were hot and in a groove of live gigs and song composition. This was the year we got the record deal with Sony…and ironically the beginning of the end for the band due to our involvement with them. The album took too long to release (a year and a half) and stifled the energy and momentum we had. Despite the darkness I attach to this album it was also a time where we got to work with Glenn Rosenstein who taught us much about the industry and how to make a record. The best of times was the fall of 1993 through the spring of 1994, writing and recording the 16 songs for “As the World” – after that was a slow slide away from the rich exuberance we had created on our own.
Ray: This is a loaded question……we have all grown to be sooooooo much better as songwriters and lyricists. For me, in the early days I was more of a look at me and what I can do kind of writer. Our time recording in Nashville was very humbling for me. It has taken a long time but think I can say that I have finally found my voice. We are always writing…..some of my songs end up as an echolyn song, some are for another Ray album and some are just for my dog and cats.

What happened to Tom Hyatt and Paul Ramsey, the other two historical members of the band? Is there a possibility that you will still do things together?

Chris: Both guys just needed/wanted a break from full-time echolyn on their own terms. We were at first disappointed by their departures, but we also realized that the music writing process could/would still continue without them, as Ray, Brett and I have always been the main echolyn songwriters.
Brett: I have no contact with either of them but wish them well in their lives. I see no reason to work with them because not having them in the band has only increased the potency and efficiency of what Chris, Ray and I have always done, i.e., write the music.
Ray: Tom has found the girl of his dreams and is living his best life. Someday it would be cool to sit in a room with Tom and play some of the old tunes…… but Paul, Paul is the past.

Jordan Perlson did an amazing job on “Time Silent Radio”. He had collaborated with you guys in the past, so I imagine that was the reason why you chose to include him in the band. Can you talk about how he contributed to the sound of this latest work? And, of course, I also ask Jordan about his thoughts on both working with the band and on the record.

Chris: Jordan was a Concert Band/Jazz Ensemble student of mine when he was 15-18 years old at the former school I used to teach in PA (Abington Friends School); even back then he was a dedicated workhorse of a musician, always in the practice room during free periods working on his rudiments. I invited him to the echolyn studios in the spring of 2000 when he was a senior and we asked him to record a few tracks with us for our Cowboy Poems Free album…he did an amazing job and played on 3 of those album tracks. Jordan then went to and graduated from Berklee College of Music in Boston, Mass and has since toured and played with Tiger Okoshi, The Blue Man Group, Becca Stevens, Adrian Belew and Snarky Puppy. He currently lives in Nashville and is on their regular call list for studio drummers. Jordan is an amazing dynamic and experienced drummer and working with him is always fun and rewarding because he listens to the songs so well and honestly and reacts very naturally to what he hears with what he then chooses to play.
Brett: We would not have released another echolyn album if Jordan did not want to participate. His creativity, nature, and professionalism made the music better and the recording both joyful and exciting.
Ray: We have history with Jordan. He gets it. He is the push that makes us move.

One of my dreams is to see you live. Unfortunately when you came to Italy (I think it was the tour of The End Is Beautiful) I couldn’t come. My girlfriend tells me to cultivate the dream of organizing a concert of yours since I am the president of a cultural association called Libere Menti (Free Minds). I don’t think it’s economically and logistically possible, but never say never. Regardless of whether I manage to fulfill my dream or not, is the idea of doing concerts a closed door for you or do you cultivate the hope of still being able to do it?

Chris: While our European and UK tour in 2005 was an amazing adventure and accomplishment, with the 4 of us living so distanced now (Brett and Ray in PA, Jordan in Nashville and myself in Southern Delaware) the possibility of touring is now dismissed quite a bit due to day jobs and distance. That being said, that doesn’t mean we might not still try and record a live concert video or do a few shows locally if the opportunity presents itself.
Brett: I hope to be able to play the songs form our last three albums someday, sooner than later. I still feel I am able to play and sing at my best. That time is getting shorter though.
Ray: We all say that it would be nice to do 1 more tour. We have 4 albums that need to be heard live! Someday maybe then.

If you had to take only three records to a desert island, which ones would you choose?

Chris: Igor Stravinsky - The Rite of Spring; Pat Metheny - Secret Story; Radiohead - The Bends
Brett: I would hate to listen to the same thing over and over again!! That would be a nightmare! As a joke, I’d have and play the end theme from the movie Jaws by John Williams to inspire me to make a raft and swim off that island. It’s a beautiful and fitting piece of music for that situation.
Ray: Black Sabbath : Sabbath Bloody Sabbath. The Slipknot debut. Kate Bush Hounds Of Love

Which musicians have most influenced you in your respective instruments?

Chris: Stravinsky, Debussy, Chopin and Liszt are all high on my influence list, but more modern jazz and rock artists like Herbie Hancock, John Coltrane, Pat Metheny, Lyle Mays and Allan Holdsworth also rank very high as musical influences for me. I respect and admire how each of those musicians leaned into the discomfort of writing and playing music that was different than their peers - which historically has put all of them at the forefront of musical advancement and creativity. That is something I am very proud of with the music of echolyn = we sound like ourselves yet we’re always truly progressing forward as a band of creative and truly original artists. In short, I want my musical output to outlive me; I think I’m still successfully on that path.
Brett: As a kid in my teens, Jimmy Page, Tony Iommi, Pete Townshend, Steve Howe, and Alex Lifeson were the folks I played along with to learn guitar in my teens. In my early 20s it was probably Pat Metheny, Alan Holdsworth, and Anthony Phillips. After that I started focusing on finding my own style and voice. I like guitar players that understand song composition and arranging. I don’t really care about flashy technique other than being able to play with feel and thoughtful creativity. I think the guitar ideas that Johnny Greenwood demonstrates in Radiohead and now in The Smile are inspiring. Just listen to songs like The Slip, Bending Hectic, Eyes and Mouth, etc., from his band The Smile, I thought and still think Elliot Smith was an amazing guitar player and multi-instrumentalist, unique and highly creative. Tom Bukovac, Blake Mills, Nels Clien, and Julian Lage also inspire me for their authentic and creative styles.
Ray: As a singer I would have to say Nat King Cole, Glenn Campbell, Phil Lynott. As a bassist…. Geezer Butler, James Dewar, Richard Sinclair.

A few days ago I was discussing with a friend about streaming music. I read in an article that the average time spent listening to a song on Spotify is 18 seconds. In my opinion, this is a terrible statistic that shows how streaming has damaged music in an artistic sense. Because quality music requires a minimum amount of effort. Opening a disc, inserting it into the player and listening to it requires some kind of participation that is more difficult to achieve with streaming. For me, it is emblematic of a certain system that aims to infantilize and disengage the masses, who thus become more easily malleable. What do you think about it? And how do you relate to streaming as a band?

Chris: The biggest danger, and musical disappointment, that we’ve encountered is most of the world now feels that streaming music is their right - not realizing that most artists aren’t making any money from that medium. We spent $45k over 8 years making these 2 albums and we had hoped to raise at least that much to cover our costs, while having some money in the bank for a next album, but the biggest challenge is re-educating a public to the actual costs of things and the paltry existence artists make when their only source of income is streaming revenue. That is also why we did a presale and also pressed CDs - as there is still a decent-sized worldwide audience and market for physical product (thank goodness)!
Brett: The value of music has an art has decreased, not only monetarily for songwriters, but also for consumers. Music has been relegated to an artform anyone can make and listen to with a few easy button clicks. Music creation today is like an infant telling a parent they have done something worthy of notice (like using the toilet) then moving on to the next expected anodyne thing. Music is not earned; it doesn’t allow value because there is no cost. The ritual of learning, listening, and sharing music has taken a major detrimental, societal, artistic demoting because of various instrument, recording, and listening technologies.
Ray: Streaming is the root of all evil……

What future is there for Echolyn? Did you use all the material for Time Silent Radio or do you have some compositions ready or, at least, in embryo? Will you wait another 10 years before a new album? Personally, I hope not…

Chris: I have hopes to put all 4 of us in a room together to write and hash-out another album of music over the next 2-3 years. I would personally not want to wait 10 years again, as that was frustrating for us as well - but given my cancer diagnosis and Covid, coupled with our distance, we still made the best of what time we did have. However, time has no place and time is also the great equalizer - so I’d like to think we’ll find a way to put us all in the same space together sooner than later to see where our music might go next after the TimeSilentRadio releases. Ironically enough, the song ‘Time Has No Place’ was the last song written for this collection of music…so if that’s an indicator of where we might go next, I feel it’s a very promising one!
Brett: Who knows! Right now, we want to promote and share these two new albums that deserve our time.
Ray: The future for now is to give these albums their proper due. Promote. Promote. Promote. We always have something in the works. We are always scribbling words, melodies and riffs. To strike again while the irons are hot would be ideal but…… 10 years to us is a blink of an eye.

One last question, but perhaps the most important: can you explain to me how the name Echolyn came about?

Chris: We needed an original band name that no one else had that best represented us. Brett and Ray used to be in a cover band together named Narcissus. Narcissus and Echo were both famous Roman mythological gods. Brett liked the musical word echo…but there was already a band named Echo and the Bunnymen in the late-1980’s…so he added ‘lyn’ to the ending, and thus echolyn was born.
Brett: I made it up in early 1989 as a word that did not represent anything, but the music is represented.
Ray: It’s a 3 syllable word…… perfect for chanting.

We're done. Thanks again for your kindness and for the music you give us.

Chris: Many thanks for your continued support of echolyn, Marco = we heard you (and our many Italian friends and fans) listening!
Brett: Thanks Marco. We greatly appreciate your support over the years!!


ECHOLYN - Marco Zanghieri - 2025
ECHOLYN Marco Zanghieri
 

Dopo dieci lunghi anni di attesa è finalmente uscito il nuovo disco degli Echolyn. In realtà non si tratta di un disco solo, bensì di due, per un totale di poco più di 90 minuti di musica. Time Silent Radio VII e Time Silent Radio II, distinti in questo modo per il numero di canzoni contenute in ciascuno dei due CD, riportano una band che appare in grande salute, totalmente indipendente artisticamente e che ci regala un lavoro che può tranquillamente essere annoverato tra le loro cose migliori (e di lavori brutti gli Echolyn non ne hanno mai prodotti). Di questo e di molto altro si è parlato nell’intervista qui di seguito a Christopher Buzby (tastiere, cori), Brett Kull (chitarre, voce solita e cori) e Ray Weston (basso, voce solista e cori) che hanno accettato di rispondere alle domande di un ammiratore come il sottoscritto…


Ciao ragazzi e grazie per la vostra disponibilità a rispondere alle mie domande. Vi ho conosciuti personalmente nel 1995. Dopo aver letto alcuni articoli su di voi in un paio di fanzine progressive rock, un amico mi ha fatto ascoltare “Suffocating the Bloom” e “As the World”, presentando brevemente la band come simile ai Gentle Giant. La scintilla non è scoccata subito (la vostra musica richiede un minimo di insistenza prima di essere apprezzata), ma poi siete diventati una delle mie band preferite. Considero gli Echolyn tra le 5 migliori band di sempre tra quelle nate dopo gli anni Settanta (se siete curiosi, le altre 4 sono Opeth, Gov't Mule, Landberk e The Amazing). Ho tutti i vostri dischi (compresi i progetti paralleli della band) ed è quindi emozionante per me potervi intervistare. Quindi scusatemi se alcune domande vi sembreranno un po' troppo da fan…
Iniziamo...
Sono passati 10 anni dall'ultimo album degli Echolyn. Non è mai passato così tanto tempo tra un album e l'altro. So che avete iniziato a lavorarci nel 2018. Perché avete lasciato passare così tanto tempo?


Chris Buzby: Mi sono trasferito a tempo pieno in quella che era la mia seconda casa nel Delaware meridionale nel luglio del 2014 e ho accettato un lavoro come insegnante a Berlin, nel Maryland. Anche se mi trovo a sole 150 miglia a sud di dove vivono Brett e Ray in Pennsylvania, sono comunque due ore e mezza di macchina solo andata... quindi purtroppo questo ha reso molto più difficile per noi vederci così spesso e con la stessa frequenza. Mi è stato anche diagnosticato un cancro alla prostata in stadio 3 nel marzo del 2019 e a giugno sono stato operato d'urgenza per l'asportazione della prostata, che mi ha tenuto fuori per alcuni mesi durante la convalescenza. Sono comunque molto felice di annunciare che sto per superare il traguardo dei 6 anni senza cancro. Il mio PSA per il PSA; ragazzi: fate il controllo!
Brett Kull: Ci riuniamo per scrivere e registrare quando il tempo lo consente e le circostanze lo richiedono.
Ray Weston: Dopo l'ultimo album avevamo bisogno di una pausa mentale, un po' di tempo per schiarirci le idee e capire dove andare. Chris e Brett hanno iniziato nel 2018 e si sono presto resi conto che avevano bisogno del ragazzo più bello della band, quindi mi hanno chiamato. Poco dopo Chris ha avuto dei problemi di salute preoccupanti... il Covid, il lavoro e, naturalmente, la vita. Non abbiamo mai sentito alcuna pressione per finire questi album. Sapevamo che le canzoni ci avrebbero detto quando sarebbero state pronte. Per me, il tempo extra ha alleviato lo stress di scrivere alcuni dei migliori testi che io e Brett abbiamo mai prodotto.

La qualità dei brani è elevatissima, a mio parere a livello dei vostri lavori migliori, credo anche perché ogni composizione è stata creata e rifinita nei minimi dettagli in tutti questi anni. Spesso, scherzando, dico che dovrebbe esserci una legge che obblighi gli Echolyn a pubblicare un disco ogni due anni. Mi chiedo: cambierebbe la qualità delle composizioni se foste più veloci? E mi date un po’ una descrizione di come funziona il processo compositivo e di registrazione?

Chris: Sono felicissimo di sentire che la qualità di questi nuovi brani sia così alta per te: anche noi li consideriamo tra i nostri migliori lavori musicali, ad oggi, come band. Il processo inizia sempre con Brett, Ray o io che portiamo un'idea alla band per una sessione di presentazione. Durante quella sessione ci lavoriamo su, la analizziamo e decidiamo se sembra Echolyn o abbastanza Echolyn. È un processo interessante a cui assistere e partecipare, perché una volta creata l'impalcatura di un brano, lavoriamo per aggiungere le nostre parti e sezioni individuali alle idee originali, inclusi testi, linee melodiche, armonie vocali, stacchi strumentali, sezioni soliste, tracce di batteria, ecc.
Brett; Una volta iniziato il processo di scrittura e registrazione, almeno per me, ci sentiamo spinti a completare qualsiasi cosa stiamo facendo, con ovvio rispetto per tutto il resto della nostra vita. In realtà lavoriamo molto velocemente quando siamo insieme perché intuitivamente siamo concentrati sulla scrittura. Ciò che influenza la durata del nostro processo è ciò che accade negli spazi tra noi quando siamo insieme. L'unica "legge" che ci costringerebbe a finire canzoni e album più velocemente sarebbe una legge che stabilisca che veniamo remunerati abbastanza per pagare le bollette e vivere una vita normale attraverso la nostra musica. Guadagnare con la nostra musica non ha alcun impatto sulla sua qualità, ma influisce (come altre cose) sul tempo che possiamo dedicare a lavorare sui nostri brani. In breve, il processo di scrittura è diventato una seconda natura a questo punto. Chris, Ray ed io lo facciamo insieme dal 1989 e siamo diventati pericolosamente bravi ed efficienti nel lavorare insieme. Lavoriamo insieme quando troviamo il tempo.
Ray: Più veloce non è meglio. Noi, io, abbiamo bisogno che la vita accada per trovare nuovi spunti di cui scrivere. La musica... è tutta un'altra storia. Possiamo improvvisare tutto il giorno, ma i riff che creiamo devono portare il peso di ciò che siamo. Quindi ripeto: più veloce non è meglio.

Dopo anni di autoproduzione vi siete affidati nuovamente a un produttore, nella fattispecie Glenn Rosenstein. Come mai questa scelta?

Chris: Glenn è stato effettivamente assunto per mixare e masterizzare i brani del nuovo album insieme a Brett, poiché quest'ultimo era molto legato al progetto e desiderava e aveva semplicemente bisogno di un orecchio e di una prospettiva esterni. Glenn ha portato onestà al processo, che ha incluso anche la fantastica opportunità di utilizzare gran parte del suo studio e delle sue attrezzature esterne, aggiungendo lucentezza e brillantezza alla nuova musica, un mix cristallino ma anche incredibilmente caldo e invitante a livello sonoro.
Brett: In realtà, i nuovi album, “Time Silent Radio II” e “VII”, sono prodotti come tutti i nostri album, tranne “As the World”. Chris, Ray e io lavoriamo allo stesso modo e miglioriamo fin dal primo giorno. Di solito passo la maggior parte del tempo a pensare a come le nostre idee si incastrino tra loro, a registrarle e a mixarle. Non intendo sminuire il contributo di Chris e Ray, lo dico solo per sottolineare l'ovvietà pratica del mio ruolo di ingegnere del suono e di colui che decide come il puzzle di una canzone si incastra attraverso la tecnologia a mia disposizione. Penso costantemente ai suoni e a come si combinano per creare le emozioni che intendiamo, Questo fa parte di ciò che fa un produttore e di ciò che faccio io fin dal primo giorno, come detto. Ray e Chris si fidano di me su questo e io mi affido a loro e mi fido di loro perché mi mantengano al massimo livello nel servire la musica. Lo paragonerei a quello che fa Chris che scrive parti di archi o fiati per la nostra musica. Il più delle volte lavora da solo, dedicandoci tempo e creando accompagnamenti straordinari per le nostre canzoni. Ray ed io ci fidiamo di Chris e gli permettiamo di creare i suoi arrangiamenti in autonomia, proprio come Ray e Chris si fidano e mi permettono di riarrangiare gli arrangiamenti, fare scelte sui suoni e mettere insieme tutti gli elementi con lungimiranza verso il prodotto finale. È stato così per tutti i nostri album tranne "As the World". In quel caso avevamo Glenn Rosenstein come produttore. Per i nostri due nuovi album, "Time Silent Radio II" e "VII", non sono riuscito a ottenere i mix che volevo perché ero troppo immerso e troppo a lungo nella produzione, nella scrittura e nell'esecuzione dei nostri brani per occuparmi oggettivamente dei brani come fonico del mix. In breve, Glenn è intervenuto e ci ha portato al traguardo, dimostrandosi un fonico di mixaggio fresco e molto obiettivo. Ha ascoltato la mia produzione e ha fatto il necessario per elevare la musica al livello a cui aspiravamo come band. Il fatto che Glenn abbia assorbito l'immensità di questo progetto e sia riuscito a fare ciò che ha fatto è una dimostrazione del suo talento, sia come produttore che come fonico.
Ray: Brett ha uno degli orecchi migliori del settore. La sua visione, la sua capacità di creare spazio sono straordinarie. Detto questo, sentiva di aver portato queste canzoni al limite delle sue possibilità. Con un po' di fortuna e un pizzico di nostalgia, il nostro amico Glenn è intervenuto e ha dato a Brett ancora più spazio.

Parlatemi un po’ di questi dischi, di come mai avete scelto di realizzarne addirittura due, da cosa nascono i titoli degli album, magari con qualche considerazione sulle singole canzoni. I miei pezzi preferiti sono “Cul de Sacs & Tunnels” e “Water in Our Hands”. Magari se potete spendere qualche parola in più per questi due…

Chris; Una volta che ci siamo resi conto di avere 91 minuti di nuova musica, abbiamo dovuto decidere se registrarla e pubblicarla tutta, oppure se pubblicare un solo album di 60 minuti. Ci siamo resi conto molto rapidamente che ognuna di queste canzoni meritava di essere ascoltata, quindi abbiamo discusso di un doppio album lungo o di due album più corti. Da figli degli anni '70, ci piaceva l'idea di due album più corti (45 minuti ciascuno). Io chiamo VII "i brevi" e II "i lunghi".
Brett; Abbiamo deciso di pubblicare due album perché ritenevamo che 90 minuti di nuova musica fossero troppi. Dividerli in due raccolte da 45 minuti ci è sembrato giusto, gestibile e più coerente. I titoli degli album si sono evoluti nel tempo. L'idea del Tempo e il modo in continua evoluzione in cui gli esseri umani lo percepiscono ed esistono al suo interno, comunicando e dimostrando costantemente chi, come e perché siamo, attraverso qualsiasi mezzo comunicabile e innovazione tecnologica, sembravano sottolineare e influenzare la musica che Chris, Ray e io stavamo scrivendo. Questioni come troppo rumore contro troppo silenzio, caos contro ordine, tradizione contro progresso. Queste idee e molte altre sembravano convivere in tre parole: Tempo, Silenzio e Radio.
Ray: Beh, non abbiamo mai pubblicato due album contemporaneamente. Quindi c'è questo aspetto... Per quanto riguarda il titolo, ci siamo impegnati tutti a trovare il titolo migliore di sempre... per settimane... poi Brett ha inventato TimeRadioSilent. Chris ha lanciato l'idea di cambiare le parole e voilà, TimeSilentRadio è nato. Ti darò qualche spunto su “Cul De Sacs”. Il mio lavoro a tempo pieno è quello di Assistente Infermieristico Certificato. Lavoro in una comunità dedicata alla demenza. Questa è una lettera (vissuta attraverso i miei occhi) da un marito a sua moglie mentre la perde lentamente.

La scelta di autofinanziarvi immagino sia dovuta al desiderio di mantenere indipendenza artistica. Lo scotto da pagare però è quello del semi anonimato purtroppo. So che fare i dischi degli Echolyn non è la vostra professione principale. Potete parlare un po’ delle vostre vite e come gli Echolyn, in questo momento, si collocano all’interno di esse?

Chris: Avere il controllo artistico è fondamentale per un artista; questo è sempre stato importante per noi musicisti di Echolyn. I nostri lavori quotidiani ci permettono di guadagnare/vivere, e per me significa fare qualcosa che amo e che mi appassiona molto: insegnare. Attualmente sono un insegnante di musica per tutti gli studenti dal sesto al dodicesimo anno di una scuola privata indipendente diurna a Berlin, nel Maryland. Dirigo 3 cori, 3 bande concertistiche, 3 corsi di musica generale/apprezzamento musicale, un corso elettivo di audio digitale e sono il direttore musicale annuale del musical della scuola superiore: le produzioni musicali recenti includono Footloose, Mamma Mia, Il Re Leone, Shrek, La Bella e la Bestia, Il Gioco del Pigiama, Tutti Insieme Appassionatamente e La Famiglia Addams. È un lavoro a tempo pieno, ma adoro l'impatto che riesco ad avere su giovani studenti e artisti ogni giorno.
Brett: L'autofinanziamento, ovvero la provenienza del denaro per registrare e produrre la nostra musica, non ha alcuna influenza sulle nostre canzoni, se non il modo pratico in cui ci rendiamo conto dei costi di registrazione e produzione. Questi due nuovi album sono stati diversi perché sono stati realizzati nell'era dello streaming musicale (negli ultimi 10 anni). Questo nuovo modo di ascoltare la musica ha influenzato notevolmente il modo in cui gli artisti guadagnano con la loro musica. Lo streaming è sia una meravigliosa invenzione per la musica che una terribile maledizione per i cantautori. Personalmente, ho cercato di guadagnarmi da vivere con la musica, la scrittura di canzoni, l'ingegneria del suono e la produzione musicale da quando ho finito il liceo nel 1984. Lo sto ancora facendo, ma a causa dei cambiamenti tecnologici che influenzano i metodi di registrazione, la possibilità di imparare e suonare strumenti, il modo di condividere la musica e il modo in cui la composizione musicale viene utilizzata e pagata, ho dovuto trovare anche altri modi per pagare le bollette. Tenere lezioni associate al suono a livello universitario è uno dei modi in cui lo faccio. Spero di entrare ancora di più nel mondo accademico per servire meglio l'arte dell'apprendimento e della condivisione delle informazioni per ottenere risultati migliori per la società.
Ray: Come ho detto nella risposta precedente, lavoro come "guida" per i nostri residenti che stanno attraversando la transizione tra questa vita e l'aldilà. Ho raccolto alcune delle loro migliori divagazioni e le ho inserite in questi album. Non c'è mai un momento di noia.

La vostra ammirevole indipendenza artistica immagino sia stata anche tra le cause dello scarso interesse della Sony nei vostri confronti dopo che avevate firmato un contratto che sembrava avervi lanciato nel giro musicale che conta. Mi potete raccontare cosa è successo realmente in quell’occasione, come avete reagito e come avete poi deciso di ricominciare a essere gli Echolyn?

Chris: Avevamo soldi per il supporto del tour che sono stati sperperati dalla Sony/Epic Records per altre cose oltre al nostro supporto del tour... quindi senza abbastanza vendite di album e nessun supporto del tour, siamo diventati tristemente una detrazione fiscale per la Sony.
Brett: Eravamo il progetto preferito di un talent scout appassionato di rock progressivo. Non ha mai pensato che avrebbe funzionato (nonostante il nostro duro lavoro e il nostro impegno) e ha finito per intascare/rubare il nostro supporto per il tour (75.000 dollari), per poi dichiararci l'ennesima svalutazione per i commercialisti della Sony. Ha distrutto i nostri sogni e la nostra instancabile etica lavorativa a tempo pieno di sei anni con il suo egoistico narcisismo e la sua mancanza di rispetto per ciò che avevamo realizzato e per le possibilità che eravamo pienamente in grado di raggiungere. Le nostre famiglie ne hanno sofferto. Dopo le prime ricadute e i quattro anni trascorsi, io, Ray e Chris ci siamo riuniti perché amavamo lavorare insieme e, nonostante l'orrore del fallimento inflittoci dalla Sony, sentivamo sinceramente la mancanza reciproca. Paul Ramsey (batteria) e Tom Hyatt (basso) non la pensavano allo stesso modo... ed è per questo che Ray ha suonato il basso in Cowboy Poems Free e Jordan Perlson si è unito a noi alla batteria.
Ray: Eravamo al settimo cielo. Re tra i pochi. In sostanza, non avevano davvero idea di cosa fare con noi. Abbiamo comunque avuto un'opportunità che non capita a molte band, figuriamoci a una band prog di Philadelphia. Abbiamo cercato di sfruttare tutto ciò che potevamo, purtroppo quando si è trattato di andare in tour, che era il nostro punto di forza, non c'erano più soldi. Senza tour non c'era nuova visibilità. Nessuna nuova visibilità, nessuna nuova vendita. Nessuna nuova vendita, nessun nuovo album. Nessun nuovo album... addio. Quando Brett, Chris ed io scriviamo insieme, siamo semplicemente Echolyn.

Proseguiamo col tuffo nel passato. Mi potete dire, per ognuno dei vostri dischi, come lo analizzate a posteriori, che sensazioni vi provoca oggi e che giudizio date dei vostri lavori? PS: vale anche, se avete tempo e voglia, per i lavori non a firma Echolyn, tipo Still, Always Almost, Finneus Gauge, Rise Twain e i solisti di Brett e Ray.

Chris: Per quanto riguarda la nostra produzione di Echolyn, sono ancora molto orgoglioso di "Mei", "The End Is Beautiful", "The Windowpane Album", "I Heard You Listening, As the World", "Suffocating the Bloom" e (ovviamente) dei due album più recenti TimeSilentRadio. Sono anche incredibilmente orgoglioso dei due dischi "Finneus Gauge" ("More Once More" e "One Inch of the Fall") pubblicati nel 1997 e nel 1999. Ritengo ancora che entrambi gli album siano musicalmente anni luce avanti rispetto al loro tempo, dato che è stato un periodo importante in cui ho ricoperto sia il ruolo di leader della band che di compositore principale. Quegli anni sono stati incredibilmente divertenti e stimolanti musicalmente, poiché tutti in quella band suonavano al massimo delle loro potenzialità, spesso spingendo i nostri limiti musicali più forte e più velocemente di quanto avessimo mai immaginato.
Brett: Album di debutto del 1991: lo considero un grande traguardo, trovare persone talentuose e con la stessa mentalità che volessero lavorare e creare musica insieme. Abbiamo fatto tutto da soli. Il nostro primo album rappresenta le nostre prime esperienze con la registrazione e la composizione di canzoni. “Shades”, “Meaning and the Moment” e “The Great Men” occupano ancora un posto speciale nonostante la loro ingenuità. “Suffocating the Bloom” (1992): considero questo album la prima indicazione di ciò a cui aspiravamo. Eravamo noi contro tutti, era autentico e unico, e avevamo le carte in regola per essere grandiosi, e lo siamo stati. “…And Every Blossom” (1993): la nostra prima registrazione in cui ho avuto la sensazione di catturare suoni di buona qualità. Il mio remix per il cofanetto lo dimostra. Questo piccolo EP è innegabilmente unico e dimostra il nostro orecchio armonico in via di sviluppo. “As the World” (1994-95): questo album mostra l'entusiasmo che avevamo nel 1993. È stato scritto nell'esuberanza e nell'energia di quell'anno. Eravamo in fermento e immersi nel ritmo dei concerti dal vivo e della composizione di canzoni. Fu l'anno in cui ottenemmo il contratto discografico con la Sony... e ironicamente l'inizio della fine per la band, a causa del nostro coinvolgimento con loro. L'album ci mise troppo tempo a uscire (un anno e mezzo) e soffocò l'energia e lo slancio che avevamo. Nonostante l'oscurità che associo a questo album, fu anche un periodo in cui lavorammo con Glenn Rosenstein, che ci insegnò molto sull'industria discografica e su come fare un disco. Il periodo migliore fu dall'autunno del 1993 alla primavera del 1994, quando scrivemmo e registrammo le 16 canzoni di "As the World" - dopodiché ci allontanammo lentamente dalla ricca esuberanza che avevamo creato da soli.
Ray: Questa è una domanda spinosa... siamo tutti cresciuti tantissimo come cantautori e parolieri. Per quanto mi riguarda, agli inizi ero più un tipo di autore che guardava a se stesso e a quello che poteva fare. Il periodo in cui abbiamo registrato a Nashville mi ha reso molto umile. Ci è voluto molto tempo, ma credo di poter dire di aver finalmente trovato la mia voce. Scriviamo sempre... alcune delle mie canzoni finiscono per essere canzoni per gli Echolyn, altre per un altro album di Ray e altre ancora solo per il mio cane e i miei gatti.

Che fine hanno fatto Tom Hyatt e Paul Ramsey, gli altri due membri storici della band? C’è una possibilità che facciate ancora cose assieme?

Chris: Entrambi i ragazzi avevano solo bisogno/volevano una pausa dagli Echolyn a tempo pieno, alle loro condizioni. All'inizio siamo rimasti delusi dalla loro partenza, ma ci siamo anche resi conto che il processo di scrittura musicale poteva/voleva continuare anche senza di loro, dato che Ray, Brett e io siamo sempre stati i principali autori degli Echolyn.
Brett: Non ho contatti con nessuno dei due, ma auguro loro il meglio per la loro vita. Non vedo alcun motivo di lavorare con loro perché non averli nella band ha solo aumentato la potenza e l'efficienza di ciò che Chris, Ray e io abbiamo sempre fatto, ovvero scrivere musica.
Ray: Tom ha trovato la ragazza dei suoi sogni e sta vivendo la sua vita al meglio. Un giorno sarebbe bello sedersi in una stanza con Tom e suonare alcune delle vecchie canzoni... Quanto a Paul, Paul è il passato.

Jordan Perlson ha fatto un lavoro straordinario su “Time Silent Radio”. Aveva già collaborato con voi in passato e quindi immagino che la scelta di includerlo nella band sia dovuta a quello. Potete parlare di come ha contribuito al sound di questo ultimo lavoro? E, ovviamente, chiedo anche a Jordan le sue considerazioni sia sul lavorare con la band che sul disco.

Chris: Jordan era uno studente di Concert Band/Jazz Ensemble quando aveva 15-18 anni, presso la mia ex scuola in Pennsylvania (Abington Friends School); già allora era un musicista instancabile e determinato, sempre in sala prove durante le ore libere a studiare i rudimenti. Lo invitai agli studi Echolyn nella primavera del 2000, quando era all'ultimo anno, e gli chiedemmo di registrare con noi alcuni brani per il nostro album Cowboy Poems Free... fece un lavoro straordinario e suonò in tre di quei brani. Jordan si laureò poi al Berklee College of Music di Boston, Massachusetts, e da allora è stato in tournée e ha suonato con Tiger Okoshi, The Blue Man Group, Becca Stevens, Adrian Belew e Snarky Puppy. Attualmente vive a Nashville ed è regolarmente in lista come batterista da studio. Jordan è un batterista incredibilmente dinamico ed esperto e lavorare con lui è sempre divertente e gratificante, perché ascolta le canzoni così bene e onestamente e reagisce in modo molto naturale a ciò che sente con ciò che poi sceglie di suonare.
Brett: Non avremmo pubblicato un altro album degli Echolyn se Jordan non avesse voluto partecipare. La sua creatività, il suo carattere e la sua professionalità hanno reso la musica migliore e la registrazione gioiosa ed emozionante.
Ray: Abbiamo una storia con Jordan. Lui la capisce. È la spinta che ci fa muovere.

Uno dei miei sogni è di vedervi dal vivo. Purtroppo quando siete venuti in Italia (credo fosse il tour di “The End Is Beautiful”) non sono potuto venire. La mia fidanzata mi dice di coltivare il sogno di organizzare un vostro concerto dal momento che sono il presidente di un’associazione culturale che si chiama Libere Menti. Non credo sia fattibile economicamente e logisticamente, ma mai dire mai. Al di là del fatto che io riesca a coronare o meno il mio sogno, l’idea di fare dei concerti è una porta chiusa per voi oppure coltivate la speranza di poterlo ancora fare?

Chris: Sebbene il nostro tour europeo e britannico del 2005 sia stato un'avventura e un traguardo straordinari, ora che viviamo così distanti (Brett e Ray in Pennsylvania, Jordan a Nashville e io nel Delaware meridionale), la possibilità di fare un tour è ormai ampiamente scartata a causa dei lavori giornalieri e della distanza. Detto questo, non significa che non proveremo comunque a registrare un video di un concerto dal vivo o a fare qualche concerto in zona, se si presenta l'occasione.
Brett: Spero di poter suonare le canzoni dei nostri ultimi tre album un giorno, prima possibile. Sento ancora di essere in grado di suonare e cantare al meglio. Quel tempo però si sta accorciando.
Ray: Diciamo tutti che sarebbe bello fare un altro tour. Abbiamo quattro album che devono essere ascoltati dal vivo! Un giorno, forse…

Se doveste portare tre soli dischi su un’isola deserta quali scegliereste?

Chris: Igor Stravinsky – “The Rite of Spring”; Pat Metheny – “Secret Story”; Radiohead – “The Bends”.
Brett: Non vorrei ascoltare la stessa cosa più e più volte! Sarebbe un incubo! Per fare un gioco, metterei su il tema finale del film "Lo squalo" di John Williams per ispirarmi a costruire una zattera e a nuotare via da quell'isola. È un brano bellissimo e perfetto per quella situazione.
Ray: Black Sabbath – “Sabbath Bloody Sabbath”. L’album di debutto dei The Slipknot. Kate Bush – “Hounds of Love”.

Quali sono i musicisti che più vi hanno influenzato nei vostri rispettivi strumenti?

Chris: Stravinsky, Debussy, Chopin e Liszt sono tutti in cima alla mia lista di influenze, ma anche artisti jazz e rock più moderni come Herbie Hancock, John Coltrane, Pat Metheny, Lyle Mays e Allan Holdsworth occupano un posto di rilievo tra le mie influenze musicali. Rispetto e ammiro il modo in cui ognuno di questi musicisti si è immerso nel disagio di scrivere e suonare musica diversa dai propri coetanei, il che storicamente li ha posti tutti all'avanguardia nel progresso e nella creatività musicale. È un aspetto di cui vado molto fiero nella musica degli Echolyn: suoniamo come noi stessi, eppure continuiamo a progredire come una band di artisti creativi e davvero originali. In breve, voglio che la mia produzione musicale mi sopravviva; credo di essere ancora su quella strada con successo.
Brett: Da adolescente, Jimmy Page, Tony Iommi, Pete Townshend, Steve Howe e Alex Lifeson erano i ragazzi con cui mi esecitavo per imparare a suonare la chitarra. Nei miei primi vent'anni probabilmente erano Pat Metheny, Alan Holdsworth e Anthony Phillips. Dopo di loro ho iniziato a concentrarmi sulla ricerca del mio stile e della mia voce. Mi piacciono i chitarristi che capiscono la composizione e l'arrangiamento delle canzoni. Non mi interessa molto la tecnica appariscente, ma la capacità di suonare con sentimento e creatività ponderata. Penso che le idee chitarristiche che Johnny Greenwood dimostra nei Radiohead e ora negli Smile siano fonte di ispirazione. Basta ascoltare canzoni come The Slip, Bending Hectic, Eyes and Mouth, ecc., della sua band, gli Smile, per capire ciò che penso, e credo ancora che Elliot Smith fosse un chitarrista e polistrumentista straordinario, unico e di grande creatività. Anche Tom Bukovac, Blake Mills, Nels Clien e Julian Lage mi ispirano per il loro stile autentico e creativo.
Ray: Come cantante direi Nat King Cole, Glenn Campbell, Phil Lynott. Come bassista... Geezer Butler, James Dewar, Richard Sinclair.

Nei giorni scorsi discutevo con un amico a proposito della musica in streaming. Ho letto in un articolo che il tempo medio di fruizione di un brano musicale su Spotify è di 18 secondi. A mio parere un dato terribile che dimostra come lo streaming abbia nuociuto alla musica in senso artistico. Perché la musica di qualità un minimo impegno lo richiede. Aprire un disco, inserirlo nel lettore e ascoltarlo richiede una qualche partecipazione che con lo streaming è più difficile da avere. Per me è emblematico di un certo sistema che mira all’infantilizzazione e al disimpegno delle masse, che diventano così più facilmente malleabili. Voi cosa ne pensate? E come vi rapportate allo streaming come band?

Chris: Il pericolo più grande, e la delusione musicale, che abbiamo incontrato è che la maggior parte del mondo ora ritiene che lo streaming musicale sia un loro diritto, senza rendersi conto che la maggior parte degli artisti non guadagna nulla da questo mezzo. Abbiamo speso 45.000 dollari in 8 anni per realizzare questi 2 album e speravamo di raccogliere almeno quella cifra per coprire i costi, pur avendo un po' di soldi in banca per un prossimo album, ma la sfida più grande è stata rieducare il pubblico ai costi reali delle cose e alla misera esistenza che gli artisti conducono quando la loro unica fonte di reddito è lo streaming. È anche per questo che abbiamo fatto una prevendita e abbiamo anche stampato dei CD, dato che c'è ancora un pubblico e un mercato mondiale di dimensioni decenti per i prodotti fisici (grazie al cielo)!
Brett: Il valore della musica come arte è diminuito, non solo in termini economici per gli autori, ma anche per i consumatori. La musica è stata relegata a una forma d'arte che chiunque può creare e ascoltare con pochi semplici clic. Creare musica oggi è come un bambino che dice a un genitore di aver fatto qualcosa di degno di nota (come usare il bagno) e poi passa alla successiva cosa insignificante prevista. La musica non si guadagna; non dà valore perché non ha un costo. Il rituale dell'apprendimento, dell'ascolto e della condivisione della musica ha subito un declassamento sociale e artistico a causa delle varie tecnologie strumentali, di registrazione e di ascolto.
Ray: Lo streaming è la radice di tutti i mali…

Che futuro ci sarà per gli Echolyn? Avete usato tutto il materiale per “Time Silent Radio” o avete qualche composizione già pronta o, almeno, in embrione? Farete passare altri 10 anni prima di un nuovo disco? Personalmente spero di no…

Chris: Spero di riunirci tutti e quattro in una stanza per scrivere e lavorare a un altro album nei prossimi 2-3 anni. Personalmente non vorrei aspettare altri 10 anni, perché anche per noi è stato frustrante, ma data la mia diagnosi di cancro e il Covid, uniti alla distanza, abbiamo comunque sfruttato al meglio il tempo che avevamo. Tuttavia, il tempo non ha luogo e il tempo è anche il grande livellatore, quindi mi piacerebbe pensare che troveremo un modo per riunirci tutti nello stesso spazio prima possibile per vedere dove potrebbe arrivare la nostra musica dopo l'uscita di “TimeSilentRadio”. Ironicamente, la canzone "Time Has No Place" è stata l'ultima scritta per questa raccolta... quindi se questo è un indicatore di dove potremmo arrivare in futuro, penso che sia molto promettente!
Brett: Chissà! Per il momento vogliamo promuovere e condividere questi due nuovi album che meritano il nostro tempo.
Ray: Il futuro, per ora, è dare a questi album il giusto riconoscimento. Promuovere. Promuovere. Promuovere. Abbiamo sempre qualcosa in cantiere. Scarabocchiamo continuamente parole, melodie e riff. Battere di nuovo finché il ferro è caldo sarebbe l'ideale, ma... 10 anni per noi sono un batter d'occhio.

Un’ultima domanda, ma forse la più importante: mi potete spiegare come è nato il nome Echolyn?

Chris: Avevamo bisogno di un nome originale per la band che nessun altro avesse e che ci rappresentasse al meglio. Brett e Ray erano soliti suonare insieme in una cover band chiamata Narcissus. Narciso ed Echo erano entrambi famosi dei mitologici romani. A Brett piaceva la parola musicale Echo... ma c'era già una band chiamata Echo and the Bunnymen alla fine degli anni '80, quindi aggiunse "lyn" alla desinenza, e così nacque Echolyn.
Brett: L'ho inventato all'inizio del 1989 come una parola che non rappresentava nulla, ma rappresentava la musica.
Ray: È una parola di 3 sillabe... perfetta per cantare.

Abbiamo concluso. Grazie ancora per la vostra gentilezza e per la musica che ci regalate.

Chris: Grazie mille per il tuo continuo supporto a Echolyn, Marco. Ti abbiamo sentito, e abbiamo sentito i nostri numerosi amici e fan italiani ascoltarci (in inglese la frase diventa We “Heard you listening”, a richiamare il titolo del penultimo album degli Echolyn – ndr).
Brett: Grazie Marco. Apprezziamo moltissimo il tuo supporto in tutti questi anni!