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ARTURO STALTERI Early Rings: Compositions 1974-1975 M.P. Records 2005 ITA

Anche l’Italia ha il suo Anthony Phillips. I frammenti racchiusi in “Early Rings”, per definizione dello stesso Stalteri, sono “piccoli studi, idee musicali spesso improvvisate, melodie accennate...”. Dunque un qualcosa che può ricordare il modus operandi dell’ex-Genesis, quando si dedica alla solitaria saga dei “Private Parts & Pieces”. D’altronde tale dimensione da sempre si confà al musicista romano, che ogni tanto esce allo scoperto per donarci la sua splendida musica, nel contempo misurata e pregna di magnificenza.
“Early Rings” è un insieme di registrazioni casalinghe inedite, databili 1974 e 1975 e oggi restaurate: cronologicamente alcune di esse precedono, altre seguono “Pierrot Lunaire”, l’indimenticabile debutto del gruppo omonimo. L’elemento che accomuna le quindici tracce è la profonda fascinazione subìta da Stalteri dopo la prima lettura de “Il Signore degli Anelli”, un’opera che lo ha segnato nel profondo tanto da dedicargli il più recente “Rings”, come già sappiamo. Così eterogenei eppure così logici, gli abbozzi di “Early Rings” si pongono nel solco di certa avanguardia settantista, vedi Bo Hansson, contaminata da vari elementi. Di norma i pezzi non superano i 2-3 minuti, ma i propositi che ne scaturiscono sono ugualmente significativi. Preponderante è quell’effettistica elettronica che caratterizzerà anche il debutto ufficiale di Stalteri, “André sulla luna” (1979); accanto a questa, però, si scorgono con agevolezza altre influenze, tutte segnalate dal Nostro nel libretto (oltre che grande musicista, Stalteri è pure eminente critico, financo di se stesso). Non si può fare a meno di pensare a Mike Oldfield laddove sono le soavi e tenere acusticità della chitarra e del flauto a prendere il sopravvento, magari stratificandosi via via (“From Hobbiton to the Land of Shadow”), o sottolineando con garbo l’aspetto ritmico (“Lothlórien”). Altrove si rilevano veloci assoli emersoniani che testimoniano una tecnica già soddisfacente: i cinque minuti e mezzo di “The Old Forest - Tom Bombadil - Goldberry” racchiudono questo e altro, ad esempio le suggestioni kraut dettate dal Farfisa, o ancora un break meditativo/rinascimentale; altrettanto probante, in tale contesto virtuosistico, è “The Riders of Rohan”. Logicamente a convincere di più sono le composizioni che, grazie al maggior minutaggio, hanno l’opportunità di strutturarsi in forma adeguata; segnaliamo allora le cupe armonie di “The Mines of Moria”, che tratteggiano un dark sperimentale eppure ‘commestibile’, addirittura seducente. Ben sviluppata anche la trama melodica di “The Grey Havens”, con un bell’effetto “a spirale” che è del resto una delle precipue caratteristiche di Stalteri. Assolutamente da decantare sono le due bonus tracks per pianoforte, risalenti al 2004. “Before the Ordeal” è una deliziosa e perfetta cascata di note minimali: inchiodano alla poltrona gli echi malinconici, vagamente à la Nyman. Con la complicità esecutiva del violinista Yasue Ito (già in “Rings”), Stalteri si appropria in ultimo di “After the Ordeal”, genesisiana cover (da “Selling England by the Pound”) che include anche un accenno di “Firth of Fifth”, e lo fa con grande tatto e intelligenza.
Rivolgetevi ad Arturo Stalteri: non importa se il vecchio o il nuovo, ma vi consiglio entrambi. Scoprirete un universo sonoro affascinante decantato da un artista vero, lontano anni luce dai troppi guitti senz’anima che infestano il panorama musicale odierno.

 

Francesco Fabbri

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