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Dopo il solitario percorso affrontato col precedente “Child of the Moon”, ecco che Stalteri ritorna a una dimensione più corale con “Half Angels”, lavoro composito e dalle notevoli sfaccettature anche timbriche. Infatti, accanto al Nostro che qui, piano a parte, si cimenta anche con tastiere, chitarra e bouzouki, troviamo Yasue Ito al violino, Laura Pierazzoli al violoncello e Pino Zingarelli alla batteria, percussioni, basso ed effetti vari. Nel disco emergono alla grande i molteplici aspetti della peculiare intimità di Arturo, a cavallo tra impeto e (malinconica) riflessione.
I vorticosi accenti del piano e del violoncello di “Damatria” ci conducono subito nel cuore di alcuni dei moduli esecutivi che ritroveremo anche successivamente, e fungono da ideale preludio a quello che si può considerare l’autentico punto nodale del disco, ovvero la stupenda “Selika Suite”, articolata in un’intro e sei movimenti, dove Stalteri dosa tutto con sapienza e perfezione. E se l’intro può richiamare un certo Battiato sperimentale (comunque non quello più ostico di metà anni ‘70), nel primo e nel secondo movimento ritroviamo lo Stalteri di “André sulla luna”, date le iterazioni pianistiche accompagnate da percussioni elettroniche; la melodia di tipo classico è comunque assicurata. Si prosegue con le orientaleggianti spirali - quasi new age - del terzo movimento, quindi con le carezzevoli visioni del quarto. Salgono al proscenio violino e violoncello: il quinto movimento piacerà a chi apprezza Kronos Quartet e Penguin Cafe Orchestra, mentre stupisce la ritmica sincopata dell’atto finale della suite. “Fiordiluna” è un’improvvisazione da estasi, tanto che, lasciandosi andare, pare di ritrovarsi adagiati sulle nuvole del cielo… Fra le tracce successive, si segnala la bella poesia di “Raederle”, mentre “Trinity”, concepita per due piani e otto (!) mani, presenta la struttura tipica di certo minimalismo: a ogni giro successivo si aggiunge qualcosa, finendo col tratteggiare una vera, intelligente avanguardia. Mi preme da ultimo invitare all’attenzione su “Galadriel”: ancora una volta, dopo “Rings”, “Il signore degli anelli” funge da ispirazione per Arturo, il quale edifica adesso un pezzo oscuro, epico e drammatico come forse mai gli era capitato; starei per dire dark. I lugubri accenti peraltro si smorzano nella partitura assegnata al violino.
Ancora una volta un capolavoro assoluto di Stalteri, in virtù dei chiaroscuri umorali sempre presenti: minimale nella struttura, ma… massimale nell’abilità di coinvolgere. Un ritorno al passato proiettato nel futuro.
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