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SENSITIVE TO LIGHT |
Almost human |
Cyclops |
2006 |
FRA |
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Opera di debutto piuttosto ambiziosa per questo ensemble francese, nato come side-project dei Saens, band capitanata dal chitarrista/tastierista Vynce Leff che vanta al suo attivo due apprezzati album, il più recente dei quali (“Prophet in a Statistical World”, del 2004) fu addirittura un doppio concept.
La novità più evidente rispetto alla formazione di provenienza è la scelta di reclutare una vocalist (la scozzese Jenny Lewis, quindi fortunatamente di lingua madre inglese) ed un tastierista di ruolo, Jean-Philippe Dupont, con all’attivo una nutrita lista di collaborazioni, la più prestigiosa delle quali con la band di culto Tai Phong.
Il titolo “Almost Human” si riferisce al Pinocchio adulto protagonista delle liriche (ebbene sì, un altro concept album!), che si riagganciano alla celebre favola di Collodi immaginando la crescita del bambino-burattino di legno, qui messo di fronte a quesiti esistenziali… un’allegoria della condizione umana e degli eterni interrogativi sulla nascita e la mortalità.
La natura dell’album, pur non trattandosi di una vera opera rock, prevede spesso parti vocali maschili (Vynce) e femminili in forma di dialogo e ciò conferisce un alone narrativo a molte tracce; nonostante questo la musica non è affatto al servizio delle liriche, ed il risultato è fresco e godibile, complesso ma scorrevole, arrangiato in modo piuttosto ricco (spesso il suono degli archi ed il sax conferiscono varietà ai brani, altrove – come nella breve “Travels” – sono utilizzati strumenti etnici come il didjeridoo e suoni di percussioni orientali) e sufficientemente originale.
Impossibile catalogare la proposta dei Sensitive to Light con definizioni sintetiche, abbiamo elementi di rock melodico (il brano “Carpe Diem”, in cui Jenny si avvicina alla vocalità di Dolores O’Riordan dei Cranberries) ma anche brevi accenni al limite del prog-metal (la chitarra ritmica spesso irrobustisce le trame) come alcune sezioni di “Something happened in the garden of Eden”, uno dei brani portanti dal finale epico, con ritmiche marziali ed influenze celtiche.
Altrove è il new-prog a rubare la scena, sia pure sempre in una forma intelligente e non derivativa, parente della direzione intrapresa negli ultimi anni dai Galahad: ad esempio “Kyrie (Gepetto’s death)” introduce in un contesto neo-progressivo elementi gotici, campane, organo a canne ed un’orchestrazione dall’evidente sapore classicheggiante, mentre qualche arpeggio alla Rothery fa capolino nella sognante “Snow”.
Il leader e compositore Vynce Leff è un grande ammiratore di Mike Oldfield, e questa influenza è evidente in gran parte dell’album grazie all’inconfondibile suono di chitarra elettrica saturata e melodica; il brano “Pinocchio: Birth” è esemplare in tal senso, e devo aggiungere che la scelta si rivela calzante nel contesto dell’album, aggiungendo un tocco pieno e sinfonico ad un’opera che fa del pathos un elemento fondamentale dell’economia sonora. Da menzionare anche il suono corposo del basso di Claude Thill che spesso riesce ad aprirsi varchi nel lussureggiante intreccio strumentale.
Un album che potrebbe accontentare un po’ tutti senza però far gridare al miracolo, basato sulla ricchezza degli arrangiamenti, scevro di soluzioni abusate tanto che sembra aderire alla definizione di rock romantico senza dover pagare tributi ai grandi del passato. Consigliato, gli amanti di Oldfield e delle voci femminili sono poi doppiamente avvisati…
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Mauro Ranchicchio
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