Secondo lavoro per gli svedesi Black Bonzo, a distanza di 3 anni dall’ottimo esordio, ritornano con le loro tematiche fatte di prog che affonda le radici negli anni ’70, pescando parecchio dai gruppi inglesi di hard-prog, trattandolo però in maniera molto personale. La strumentazione classicamente vintage, con nessuna considerazione per gli strumenti prodotti dopo una certa data e la costruzione stessa dei brani ci portano a capofitto in un mondo dove risentiamo Deep Purple, Uriah Heep, Jethro Tull, ma anche Beatles, Cream, Traffic, e persino, per l’occasione, qualche momento più romantico con atteggiamento in aria Genesis. Ritroviamo sapori di Gentle Giant come in “Iscariot” e ai Procol Harum come nella title track.
Dovendo, necessariamente, fare qualche paragone con il loro primo disco, verrebbe da dire che il lavoro d’esordio sia superiore, un ascolto approfondito e ripetuto evidenzia un tessuto strutturale maggiormente equilibrato, maturo e compiuto e l’apparente maggior fruibilità di certi passaggi, può essere ben apprezzata ascoltando più volte il fine lavoro di arrangiamento e di ricerca melodica, specie vocale e chitarristica.
Tutto sommato un lavoro più orchestrato e, in senso molto ampio, sinfonico, dove nessun brano può essere giudicato negativamente. Forse solo “Ten Feet Away” dimostra una certa debolezza compositiva e pur nella sua brevissima durata, ne esce come un episodio piuttosto impersonale e scialbo.
Per i brani di spicco bisogna riferirsi soprattutto alla prima metà, dove titoli come “Thorus Upon a Crown” “Revelation Song” e “Giant Games”, ma anche le altre e la già citata title track, lasciano un gran buon sapore di prog ben suonato e pensato. Altra cosa di spicco è la splendida performance vocale di Magnus Lindgren. Comunque ancora una bella prova per questi ragazzi svedesi, per un disco molto piacevole e sicuramente consigliato.