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STENCIL FOREST |
The abyss |
autoprod. |
2006 |
USA |
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Invogliati dalla buona accoglienza riservata alla ristampa di “Opening Act”, fino ad oggi loro unica produzione discografica, gli Stencil Forest dallo stato dell’Indiana tornano alla ribalta con un album di nuove composizioni, incorporando nelle fila una nuova sezione ritmica. Chi ha avuto modo di apprezzare il primo album (pubblicato in origine nel 1983 e quindi infarcito di tipiche soluzioni sonore del decennio) e ha gradito la mescolanza tra influenze Yes (soprattutto nelle linee vocali di Doug Andresen) e americanissime ma gustose inflessioni pomp (pensate a Styx e Ambrosia su tutti…) troverà pane per i suoi denti anche in questo nuovo lavoro, nonostante siano nel frattempo trascorsi ben 23 anni.
Ho parlato di anni ’80 ma non fatevi fuorviare: la strumentazione è di quella che può fare la gioia degli appassionati dell’analogico: l’Hammond e il Moog dei fratelli Cassella (il polistrumentista Frank è autore di tutti i brani) spadroneggiano a partire dall’iniziale “Lifetime suite” che con i suoi undici minuti costituisce uno degli episodi più articolati del disco; qui il prog sinfonico non è affatto diluito e sprizza la gioiosità strumentale tipica di antiche band statunitensi come Ethos, The Load, Surprise e gli ultimi Starcastle. I sintetizzatori ed una chitarra decisa ma mai aggressiva si dividono equamente il proscenio, con le curatissime armonie vocali a impreziosire la trama ed alleggerire l’ascolto.
Seguono una manciata di brani più brevi in cui non possiamo certo parlare di pop, ma contraddistinti da una struttura più semplice (e sempre raffinata) con un arrangiamenti dominati dal piano (“You pull me in”, “Here today”), qualche spruzzatina di country-rock (“Morning glory”) e parentesi semi-orchestrali (“Broken”, ballata pastorale e quasi natalizia). Quando sembra che l’album abbia già dato il meglio di sé in apertura, ecco l’immancabile suite eponima, introdotta da un Moog scoppiettante ed un piano memore di “circuiti di lunga distanza” che si dipana per ben 24 minuti mantenendosi su coordinate puramente sinfoniche, mai frenetica e con pause riflessive di buon effetto ma un po’ penalizzata dal fatto di trovarsi in coda ad un CD di notevole durata.
Probabilmente si tratta di suggestione, ma sembra di cogliere nella proposta degli Stencil Forest la sincerità (anche ingenua) che manca nelle band che oggi ripropongono questo genere di sonorità; in fin dei conti la band si è formata trent’anni fa e quindi nei tempi non sospetti in cui la scena USA stava producendo i suoi frutti più duraturi. In conclusione, se non cercate il capolavoro del decennio, bensì un onesto album di prog solare, elegante e rassicurante, non disdegnate il rock melodico a stelle e strisce e soprattutto avete apprezzato il recente ritorno degli Starcastle, questo può essere un altro validissimo tassello per la vostra collezione.
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Mauro Ranchicchio
Collegamenti
ad altre recensioni |
STENCIL FOREST |
Opening act |
1983 (Riverworld Music 2004) |
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