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GOLDOOLINS |
The world is somewhere else |
Turly Crio Records |
2006 |
ISR |
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Mi sono accostata con grande curiosità al terzo CD di questo trio israeliano, la loro musica, uno strano folk psichedelico un po' lugubre e grottesco, ha uno strano magnetismo che con l'andare degli ascolti ha sempre più catturato il mio interesse. Figuratevi quindi la mia sorpresa nello scoprire che i due terzi della band avevano fatto parte di una nostra vecchia ed apprezzata conoscenza: i Lord Flimnap!!! L'unico loro disco era stato pubblicato nel 1989 dalla WWR, senza che però venissero rese note le generalità dei musicisti e la loro nazionalità. Il mistero attorno al gruppo andò avanti per qualche anno, finché alla fine si scoprì che si trattava di un gruppo di ragazzini israeliani che però dovette sciogliersi al compimento della maggiore età per adempiere agli obblighi di leva. Ecco quindi che un paio di loro tornano di nuovo insieme e dopo i tre anni passati nell'esercito riscoprono la voglia di suonare: O.D. Goldbart e E.T. Doolin uniscono i loro cognomi e formano il moniker del nuovo gruppo e a loro si aggiunge Tadlik, la sorella di E.T., e si arriva finalmente nel 2004 alla pubblicazione del CD di esordio. Nel 2005 viene stampato un secondo album e l'anno successivo viene infine stampato questo terzo lavoro, preso in esame nella corrente recensione. I suoni, dicevamo, sono sostanzialmente acustici e servono per lo più a fare da cornice al cantato, molto teatrale, curato da tutti e tre i musicisti. I tre si dividono anche tutto l'armamentario degli strumenti, composto da arpa medievale, flauto, chitarra (per lo più acustica), dulcimer, armonica, marimba, piano, fisarmonica, clavicembalo, percussioni e zither, uno strumento a corde simile al salterio. A questa base strumentale si integrano gli interventi di alcuni ospiti con viola, violoncello, violino, trombone e clarinetto. Nonostante la grande mole di strumenti il suono che ne deriva è molto essenziale e scarno ma comunque efficace nel determinare il mood spettrale delle composizioni. E' difficile inquadrare con precisione lo stile del gruppo e le tracce sono peraltro abbastanza eterogenee. Le situazioni musicali fra il macabro ed il grottesco, la scelta degli strumenti acustici, gli archi sinistri, la chitarra acustica suonata con prepotenza, le melodie volutamente deformi e quell'atmosfera da foresta oscura, popolata da alberi nodosi e spiritelli malvagi, mi fanno venire in mente i Comus, anche se in questi ultimi i contrasti sono più accentuati ed i suoni più carichi. In altre occasioni, come la graziosa traccia di apertura "Nother Day", dalle atmosfere quasi nordiche, potrebbero ricordare una versione acustica dei Ritual. Molto tenebrosa e particolare, imbevuta di distorsioni lisergiche, si profila la successiva "Ah! See Horizons", cantata in coro dai tre Goldoolins. Stramba e divertente è "Bucky, Where Art Thou?", che già a partire dal titolo in inglese aulico dimostra tutta la sua goliardia. Si tratta di uno strumentale in cui diversi strumenti si alternano sulla stessa melodia, la stessa che poi viene mugolata da un coro strampalato in un clima da casa degli spiriti. "I Am the Grass" è una deliziosa ballad dalle atmosfere oniriche, con melodie morbide disegnate dal pianoforte. "Yet To Come" è semplice e rilasciata con atmosfere alla Beatles, e poi ricordiamo la breve e spigliata "One Shot", con delle parti vocali che ricordano in qualche modo i Supertramp e delle parti orchestrali lanciate e un clavicembalo indiavolato che duetta con il pianoforte con un effetto complessivo alla Procosmian Fannyfiddlers. La traccia conclusiva è quella più lunga e quella dalle atmosfere più romantiche, con il cantato di Tadlik (cantante qualificata e specializzata in musica antica) che sembra intonare melodie celtiche. In conclusione abbiamo un album gradevole, con la sua dose di originalità che riesce ad intrattenere in maniera divertente l'ascoltatore. Forse un maggior sviluppo delle parti orchestrali potrebbe fare la differenza, questo non toglie nulla alla stralunata alchimia di queste composizioni.
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Jessica Attene
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