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MOTH VELLUM Moth vellum My Sonic Temple 2008 USA

Cari amici questa recensione non sarà obiettiva… per i Moth Vellum non chiedetemi l’imparzialità… non per questo album almeno!!!
Gli Yes incrociano (poco…) i Genesis… come potrei essere equilibrato?
Attenzione: non andremo a parlare di cloni… niente The Musical Box (beh, loro coverizzano e, bene, di professione), niente Unifaun (“l’album dei Genesis che non avete mai ascoltato…”), niente Glass Hammer.
Se può aiutarvi, chi più si avvicina alle suggestioni dei 4 ragazzi californiani sono (almeno in parte) i Relayer (dei primi due album, “A grander vision” del 1994 e “The teething fashion” del 1996) o, anche se misura anche minore, i Madrigal (“On my hands” del 1996). Tanto per avere delle indicazioni di massima e forse neppure precise.
A mio avviso la proposta dei Moth Vellum, pur riconoscendo i debiti alle due superpotenze del prog menzionate, si fa apprezzare e brilla di luce propria.
Formazione “quasi” classica con Tom Lynham alle tastiere, Johannes Luley alle chitarre, Ryan Dawne al basso e alla voce, Matt Swindells alla batteria, ma anche voce.
Sei soli brani e 60 minuti di ottima musica. Si parte subito alla grande con “Let the race begin”: Moog, chitarra molto “Steve Howe”, belle melodie vocali, controcanti (“All for free”..) stile Squire… ma malgrado ciò si nota una personalità, una spontaneità ed una grazia innata che li allontana comunque dai “maestri”. La capacità, dunque, di raccoglierne l’eredità e di rielaborarla in un linguaggio unico ed esclusivo, l’abilità di assimilare la lezione ma di riproporla rinnovata.
Il concetto è sottile, è vero, ma diversifica “una copia di” da un “ispirarsi a…”.
“Whalehead” vive su un sottile velo di tastiere e una ritmica irregolare vicina magari ad un “Wind and wuthering” o ad un “Going for the one”. Tutto molto semplice, ma che gusto ragazzi!!!
Anche i 13 minuti e mezzo di “Salvo” (la traccia più lunga del cd) non ci lasciano indifferenti: ottima musicalità ed una steel guitar da far sussultare i più sensibili.
“Against the suns” è un brano quasi d’atmosfera le cui parte centrale ci riporta ai Rush di “Hemispheres” (il soffuso finale del brano… non l’album), sognante… rarefatto… con un finale sinfonico molto toccante.
Anche “Walk it off” ci dimostra come si possa rivisitare e modernizzare la “storia”: voce seducente (a tratti più Horn che Anderson), grandi capacità strumentali e altrettanta freschezza…
L’avevo detto sin da subito che avrei accantonato l’imparzialità. Non me ne pento…
Al diavolo per una volta il prog “esotico”, al diavolo le speculazioni intellettualoidi che fanno tanto “in”, al diavolo RIO, fusion, jazz-rock, post-rock, avanguardie varie… per una volta!!
Viva il progressive “tradizionale”!! Viva i Moth Vellum!!

 

Valentino Butti

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