|
Per parlare di questa ultima fatica del gruppo capitanato da Cristiano Roversi forse prima dovremmo metterci d’accordo su cosa è il rock progressive oggi e su che cosa ci aspettiamo da un disco di questo genere musicale alle soglie del 2010.
Premettendo che nessuno inventa niente in musica e che è tutto stato già detto, ma può essere solo incastrato in maniera diversa, l’appassionato medio, quando oggi sente parlare di questo genere musicale rimane spiazzato, trovandosi di fronte a proposte sperimentali, a tributi ai suoni (o ai gruppi) del passato e a cose che col progressive rock hanno poco da spartire.
Dobbiamo riconoscere a Cristiano di essere uno dei pochi in questo campo a muoversi benissimo su tutti i fronti, ad essere sempre al passo con i tempi sfornando lavori dove si trovano sempre idee attuali, alle quali altri gruppi, anche più blasonati, spesso arrivano dopo.
I Moongarden difficilmente (anche agli esordi) hanno fatto un disco uguale all’altro. Questo aspetto fa onore al gruppo lombardo, sempre alla ricerca di cose non banali, ma nello stesso tempo mette in crisi chi si abitua a determinate sonorità e vorrebbe risentirle all’infinito.
Non so cosa penserà l’appassionato medio di prog di questo disco, difficilmente ho sentito tante cose diverse in uno stesso lavoro e difficilmente le ho sentite convivere così bene da fare in modo che appassionati di diversi generi possono sentire proprio questo “A vulgar display of prog”. Mettiamo anche sul piatto della bilancia il fatto che questo lavoro è suonato divinamente e prodotto in un modo non del tutto usuale per una produzione italiana e abbiamo un disco che ha tutto per essere apprezzato anche fuori dell’asfittico e apatico mercato italiano.
Manca solo un particolare a questo disco per essere perfetto, il target a cui rivolgersi.
“A vulgar display of prog” è un disco che non è fatto per chi vuole certezze sonore e in un mondo così conformista com’è quello dell’ascoltatore medio di rock progressive (conformismo particolare, ma sempre conformismo) quest’aspetto diventa una discriminante purtroppo importantissima.
Basteranno per i progster le influenze classiche che si sprecano tra i solchi di questo lavoro? Basteranno i tappeti di tastiere genesisiane e le ritmiche crimsoniane che si susseguono per tutto il CD a mettere in secondo piano i momenti meno tranquillizzanti (e diciamolo, anche meno riusciti) di questo dischetto? Basterà il grande lavoro di Mau di Tollo alla batteria per non far pensare al titolo del disco dei Pantera e all’elettronica? Basteranno tutti i momenti originalmente deliziosi che questo disco ci regala a nascondere l’ombra dei Porcupine Tree e, in maniera minore, dei Riverside?
Il fatto di mettere in uno stesso lavoro idee che altri gruppi metterebbero in musica in una carriera ventennale, paradossalmente diventa il limite di questo “A vulgar display of prog” che sarebbe stato veramente un disco da ricordare nel futuro se si fossero sviluppati al massimo un paio di fili di quella tela di ragno che lo contraddistingue.
Addentrandoci nelle tracce di “A vulgar display of prog”, anche volendo, è impossibile negare la bravura di questo gruppo; gruppo che propone cose che in Italia difficilmente si sentono a questi livelli. Pensiamo alla traccia iniziale “Boromir” che ti fa entrare nel mondo Moongarden dalla porta principale, spostiamoci su lidi molto differenti e moderni nei successivi 10 minuti di “Aesthetic Surgery “, approdiamo al porto della musica elettronica con “After the MDMA”. “Wordz and Badge” ci catapulta nel magico mondo del prog metal di nuova generazione filtrato dalla tradizione degli anni 70. L’onirica “Demetrio & Magdalen” ti riporta in mezzo ad atmosfere conosciute e rassicuranti (con un Simone Baldini Tosi ispiratissimo che si conferma uno dei migliori cantanti italiani grazie al suo timbro originalissimo). Si finisce con i 16 minuti di “Compression”, personalmente la cosa migliore prodotta dai Moongarden in tutta la loro carriera, eliminando quei 2 minuti alla Rage Against The Machine che rischiano di rovinare uno dei brani migliori costruiti in Italia ultimamente.
Un disco di frontiera che è destinato a far discutere. Se per “The gates of Omega” questo mondo ci ha messo quasi dieci anni per capire che aveva davanti un capolavoro, forse ne serviranno altrettanti a questo “A vulgar display of prog” per essere amato ed accettato completamente.
Ci vorrebbero più Moongarden, ossia gruppi che guardano al futuro senza dimenticare le radici, per questo spicchio di mondo musicale diviso tra chi copia e tributa e chi, cercando nuovi spunti, non sa più che cosa è rock progressive. Ci vorrebbero più occasioni soprattutto in Italia per discutere di dischi di questo genere e riconoscere che questo è un mondo dove chi allarga il proprio raggio d’azione verso altri generi e altri tipi d’appassionato viene sempre criticato anche a torto.
|