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SLIVOVITZ |
Hubris |
Moonjune Records |
2009 |
ITA |
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Sicuramente non passa inosservata l'origine partenopea di questa band, anche perché sul CD viene precisato che la musica è "100% made in Napoli". Ma cosa succede se il classico caffé napoletano, forte e aromatico, viene corretto con una buona dose di Slivovitz, e cioè col classico distillato di prugne che viene consumato in quantità industriali nei paesi Balcanici? Forse è questo il segreto di questa musica, estroversa e dai colori accesi, in cui si leggono influenze molteplici e multietniche, o forse sarà interamente il frutto della bravura dei sette musicisti che si sono uniti per dare vita a questo progetto. Quello che invece è sicuro è che questo carrozzone non passerà inosservato. Se si leggono senz'altro delle influenze partenopee fra gli stili che si incrociano in questo album, sarebbe un tragico errore soffermarsi solo su queste: certamente il primo punto di repere a cui mi sono aggrappata è stato quello dei Napoli Centrale, ma non bisogna fermarsi qui. E' vero che c'è persino una traccia in napoletano, "STRESS", che è per la precisione l'unica traccia cantata dell'intero album, ma questa è solo una delle tante note di colore che tinteggiano questo insieme sonoro proteiforme. Non ci sono tarantelle klezmer in questo disco: toglietevelo dal cervello… anche se mi rendo conto che sono stata abbastanza abile a confondervi le idee in tal senso. Allora proviamo a recuperare dei vocaboli più intelligibili: jazz rock, sicuramente, contaminato da elementi multietnici, balcanici, a volte anche africani (e come non potrebbe essere così nel jazz?) e certo, anche partenopei a cui si aggiungono una chiave interpretativa che si allinea con i gusti del progressive rock ed una tendenza naturale ad espandersi oltre i confini stessi della musica, in piena poetica Zappiana. Un aiuto nella definizione di questa musica indefinibile può arrivare in parte dalla strumentazione impiegata che comprende, accanto ai consueti strumenti elettrici, anche il sax, alto e tenore, l'armonica, il violino, il vibrafono (nella sola "Mangiare") ed elementi percussivi vari. Un esempio di sincretismo culturale illuminante è fornito subito dalla traccia di apertura, il cui titolo è già tutto un programma ("Zorn a Surriento"), in cui potrete ritrovare le cadenze mediorientali di cui la musica napoletana è ricca, inframmezzate agli improvvisi sbalzi di umore Zorniani. Improvvisazione e divagazioni sono ovviamente diffusi, anche se la maniera in cui vengono distribuiti nei vari contesti sonori rende ogni stravaganza musicale per niente pedante e assolutamente gradevole. In "Caldo Bagno" sono riconoscibili ritmi e colori africani, che rappresentano il trampolino di lancio verso escursioni musicali che ci portano in altri territori. "Mangiare" è sicuramente fra le tracce che preferisco, con le sue cadenze avanguardistiche scandite dai rintocchi metallici del vibrafono, ed i suoi astrattismi. Sono belli anche i toni distesi e Canterburyani di "Errore di parallasse" in cui viene sfoderato un bellissimo violino Holdsworthiano, in un crescendo di intrecci strumentali davvero strabiliante. E' incredibile come, con la velocità del pensiero, la band passi con scioltezza da un tema musicale all'altro, il modo in cui si intrecciano a loro volta le partiture dei diversi strumenti ed infine come ogni stravaganza musicale appaia così naturale e per niente frutto di forzature. Non mancano momenti più distesi come avviene nelle tracce centrali "Né carne" e "Né pesce" (che presenta delle trame percussive superbe), con preziosi richiami agli Hatfield & The North, oppure nella successiva "Dammi un besh o" che riscopriamo stranamente psichedelica e contaminata da strani accenti gitani. E' davvero raro trovare un album così ricco di idee e linguaggi, una musica che in sostanza si sforzi di dire qualcosa di nuovo, seppur passando attraverso la strada della contaminazione e delle intersezioni musicali. E' comunque raro che così tante influenze musicali vengano convogliate in un insieme sonoro compatto, anche se variegato, e in uno stile abbastanza riconoscibile. Se vi ho messo almeno un po' di curiosità con questa recensione il consiglio è quello di ascoltare questa musica e di premiare i musicisti che si sono messi in gioco con così tanta audacia. In chiusura, una nota che di solito si mette all'inizio delle recensioni: questo è il secondo lavoro della band, il primo CD, che potete assaggiare sul MySpace del gruppo, fu pubblicato per una etichetta indipendente e non si trova facilmente, motivo per cui spero in una bella ristampa.
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Jessica Attene
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