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SLIVOVITZ |
Liver |
Moonjune Records |
2018 |
ITA |
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Dopo quattro convincenti album in studio, era arrivato il momento che la band partenopea desse alle stampe il suo live ufficiale, con cui sintetizzare e magari anche rinfrescare la proprie uscite discografiche. Per l’occasione, è stato scelto il concerto del 27 maggio 2016 tenuto a Milano alla Casa di Alex, riproducendo per intero l’atmosfera della serata. In un primo momento il live era stato pubblicato sotto etichetta SoundFly e solamente in vinile, per poi essere ristampato su CD l’anno seguente dalla Moonjune, label per la quale sono stati pubblicati i loro ultimi lavori. E il concerto mette davvero in rassegna la carriera dell’ensemble napoletano, tanto che l’inizio è affidato sorprendentemente a “Mai per comando”, dal loro primo album omonimo del 2005 (una pubblicazione uscita su Ethnoworld e per lungo tempo introvabile, che adesso può essere reperita online tramite Musicraiser). Un andamento chiaramente funkeggiante, dove dominano Pietro Santangelo (sax) e Derek Di Perri (armonica); pezzo di sicuro più disimpegnato rispetto alle composizioni future che con il loro eclettismo hanno spesso guardato all’universo di John Zorn (ci sono stati esempi espliciti fin dal titolo), ma che comunque si dimostra un brioso apripista per la successiva “Cleopatra Through” dal fortunato “Bani ahead” del 2011; il violino di Riccardo Villari viaggia per sentieri aspri di natura tendenzialmente mediorientale, pieni di buche in cui la sezione ritmica formata da Vincenzo Lamgna (basso) e Salvatore Rainone (batteria) deve fare delle autentiche acrobazie, soprattutto quando poi subentrano gli strumenti a fiato. Quest’ultimi sono nuovamente protagonisti in “Currywürst” dell’ultimo “All you can eat” (2015), ruvido come il raglio del mulo diventato loro simbolo – in questa copertina disegnato dall’artista murale napoletano Centottantanove – che poi diventa vertiginoso con l’entrata del violino. Di nuovo da “Bani ahead” subentra “Egiziaca”, alternando nella sua versione da otto minuti abbondanti ritmi balcanici (che ormai sono loro marchio di fabbrica) con fumose atmosfere che si dipanano al confine di Suez, tra le note ficcanti della tromba di Ciro Riccardi e la ritmica sempre più vorticosa, prima che l’armonica narri una folle corsa tra le sabbie del deserto e si riprenda nel finale un commento sonoro jazzato da presentazione cinematografica sbilenca. Ritmo sbilenco (per dirla come gli “Elii”) tipo quello che viene subito attaccato con “Mani in faccia” ancora da “All you..”, dove c’è un gran lavoro di basso e violino elettrico, grazie anche ad una batteria precisa e leggera che fa da base per potercisi destreggiare su a proprio piacimento. Esattamente come accade nella seconda parte, dove il chitarrista Marcello Giannini – fino a questo momento del concerto inappuntabile sotto l’aspetto ritmico – si lascia andare ad una fase solista distorta e “nervosamente controllata”. Distorsione esagerata nella versione corrosiva di “Negative Creep” dei Nirvana, più vicina che mai al caos del succitato Zorn. L’edizione su dischetto ottico presenta una traccia in più e quindi si chiude con “Caldo bagno”, estrapolata dal secondo “Hubris” (2009), album validissimo lasciato purtroppo nel dimenticatoio. Il pezzo in questione risale ad un’altra data tenutasi nella Casa di Alex, precisamente il 25 maggio 2014; finalmente si ha la possibilità di sentire le sei corde esprimersi al meglio anche in fase solista, passando da fasi più pulite ad altre “telluriche”, concludendo col sax in primo piano. Concerto eclettico che riesce comunque a mantenere una sua coerenza stilistica, confermando che i sette musicisti campani hanno da tempo tracciato un’impronta di sé davvero ben delineata. I brani scorrono fluidi nonostante l’evidente complessità, sia esecutiva che compositiva, aumentando anche il minutaggio rispetto agli originali. Una pubblicazione che sa molto di ritrovo familiare, in attesa che arrivi anche il giorno delle grandi platee.
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Michele Merenda
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