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GÁSPÁR ÁLMOS / KORMORÁN |
Bálványosvár legendája |
Periferic Records |
2008 |
UNG |
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Segreti e leggende si nascondono fra le rovine del castello di Bálványos, nel cuore della Transilvania e Gáspár Álmos, nativo di questa terra, contemplando i resti della possente struttura, ne ha assorbito sicuramente tutto il fascino misterioso. Dopo la rivoluzione in Romania del 1989 Gáspár si trasferě in Ungheria, unendosi piů tardi allo storico gruppo di folk rock dei Kormorán, dei quali divenne il violinista. In questo album, quasi interamente strumentale (la voce di Erika Géczi, nelle sue sporadiche apparizioni č usata solo come uno strumento musicale), uscito a nome congiunto suo e del gruppo, Gáspár rievoca la magia degli antichi racconti attorno a questo luogo incantato e lo fa mescolando melodie della tradizione con suoni dal taglio sinfonico e moderno, fondendo il vecchio con il nuovo in un unico racconto musicale di ampio respiro. La leggenda del castello di Bálványos parla dell’amore del signore del castello, István Apor, verso la bella Imola, corrisposto ma ostacolato dal fatto che il giovane era pagano. Fu allora che István decise di rapire Imola e di portarla nel castello, promettendo comunque che i figli sarebbero stati battezzati con il rito cristiano. Questo scatenň perň l’ira delle fate malvagie che invasero il castello e lo ridussero in macerie. I due amanti si salvarono grazie all’intervento divino e le fate scomparvero dopo il battesimo dei figli. L’album non č organizzato come un concept vero e proprio ma come un’opera sinfonica scandita da 16 movimenti che ispirano suggestioni vaghe che non fanno riferimento a fatti precisi. I titoli si rifanno al vocabolario della musica classica e indicano l’enfasi con cui sono suonati i pezzi. Abbiamo quindi un movimento intitolato “Giocoso” dalle festose arie rurali, con belle melodie dipinte da flauti di legno e dal violino, vi č poi un “Appassionato Languendo”, estremamente romantico e dilatato, in cui si fanno strada anche i taglienti fraseggi della chitarra elettrica, un “Marziale”, abbastanza concitato, un “Malinconico” arioso e pacato e cosě via. A prevalere sono le atmosfere classicheggianti ed i suoni si basano per lo piů su impasti moderni che possono ricordare in parte i connazionali After Crying. In altre occasioni emerge lo spirito dei Camel, come giŕ nell’introduttiva “Prolog”, in cui viene sfoderata una limpida chitarra alla Latimer. E’ il flauto di legno assieme al violino ad imprimere delle caratterizzazioni folk che comunque vengono diluite in maniera elegante e delicata in un contesto sonoro avvolgente. A questa matrice prog folk intensamente sinfonica e classicheggiante si intrecciano gli strumenti elettrici, con basso, chitarra, batteria e synth. La sezione ritmica offre una impalcatura schematica ma abbastanza solida e dall’impatto moderno e viene meno quando prevalgono le arie strumentali piů liriche lasciando che siano i soli temi melodici a segnare l’andamento del pezzo. E’ forse in questa eccessiva schematicitŕ della batteria che vedo un difetto come anche nell’utilizzo di suoni poco pieni e poco intrecciati in favore di poche sfumature utilizzate per dipingere paesaggi sonori ampi. Si tratta comunque di appunti che tolgono poco al disegno complessivo dell’opera, ben strutturata nella sua stesura musicale e arrangiata in fin dei conti con una classe invidiabile. Gli amanti delle sonoritŕ sinfoniche arricchite da un pizzico di folk, come puň avvenire in un gruppo come gli Iona o i primi Mostly Autumn, difficilmente rimarranno delusi da un album cosě, incantevole, nonostante qualche imperfezione, che forse in fin dei conti non č neanche tale.
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Jessica Attene
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