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JACK JEFFERY |
Passage to Agadir |
autoprod. |
2010 |
USA |
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“Passage to Agadir” segna il debutto di Jack Jeffery, musicista statunitense, che presenta un lavoro in cui canta e suona tutti gli strumenti. Il disco è composto principalmente di canzoni che sembrano un misto di pop lunatico moderno e psichedelia classica. L’apertura “Whiskey burns” ci fa entrare immediatamente nel pieno dell’atmosfera che permea l’opera, con una chitarra elettrica acida a dettare i temi principali, le tastiere che cesellano in sottofondo, ritmi secchi e parti vocali stravaganti. Con “You’ve lost Tomorrow” ci addentriamo invece in altri territori, più vicini ad un folk-rock bizzarro, malinconico e dalle sonorità semiacustiche, che può riportare alla mente tanto Tim Buckley quanto John Martyn. Arrivati alla terza traccia, quella che dà il titolo all’album, possiamo dire che l’opera è completa e che Jeffery ci mostra i paesaggi musicali che ha voluto esplorare, con un ambient ricco di effetti, suoni avvolgenti e atmosfere sognanti, un po’ a cavallo tra la new-age e le sperimentazioni di Brian Eno. In effetti, Jeffery si mostra abile a calare influenze del passato in un contesto più attuale ed a mostrare un sound nel contempo limpido, nonostante l’autoproduzione, ma anche con timbri che di tanto in tanto si fanno “sporchi”. Mentre la musica scorre è possibile percepire echi di Beatles, Velvet Underground, Incredible String Band, Hawkwind, ma anche Alan Parsons Project, Porcupine Tree e Piers Faccini, in un susseguirsi di canzoni eclettiche e non banali, che forse non danno omogeneità al lavoro, ma con cadute di tono decisamente sporadiche. C’è poi un brano il cui titolo è tutto un programma: “Interstellar echoes on the dark side”! Ovvio che nei quasi undici minuti di durata il punto di riferimento siano i Pink Floyd e che si prenda spunto dalle varie epoche della celebre band britannica, risultando un bel mix di psichedelia, space-rock e aperture ariose sinfoniche. Un bell’esordio, forse un po’ troppo lungo (circa sessantasette minuti), particolare, che spazia in più stili musicali e che potrà essere un bell’ascolto per chi ama gli artisti citati nella recensione.
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Peppe Di Spirito
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