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IFSOUNDS |
Apeirophobia |
Melodic Revolution Records |
2010 |
ITA |
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Forse non sarà l’album dell’anno, ma “Apeirophobia” degli If sounds (gruppo molisano già conosciuto più semplicemente come “If” e giunto al 5° album) farà certamente parlare di sé nell’ambito degli appassionati del prog di casa nostra. Un album delizioso, di classe, molto ispirato, di difficile assimilazione e solo lontano parente del ,comunque discreto ,“Morpho Nestira” che lo aveva preceduto nel 2008.
Lontano parente non solo per la proposta musicale (ora giunta a maturazione), ma anche per gli avvicendamenti di line up avvenuti nel frattempo. L’ossatura rimane quella storica con Claudio Lapenna (tastiere e voce), Dario Lastella (chitarra e voce) e Franco Bussoli (basso), mentre nuovi sono Enzo Bellocchio (batteria) e soprattutto Elena Ricci (voce) che instillano nuova linfa alle composizioni della band.
“Apeirophobia” è un album concept incentrato sulla paura dell’infinito insita nella natura umana.
5 i brani presenti, con la title track a chiudere il lavoro con i suoi 27 minuti.
“Anima mundi”, il brano d’apertura, è piuttosto aggressivo con un bel riff di chitarra elettrica, batteria secca e tastiere di sottofondo e solo l’ingresso della voce di Elena fa scivolare il pezzo verso un “trip” psichedelico molto floidiano.
Poche note di pianoforte, chitarra classica e voce introducono “Summer breeze” che solo nel finale “graffia” maggiormente. Un brano interlocutorio.
Livello decisamente più elevato per la successiva “Last minute”. Anche in questo brano inizio musicalmente impetuoso con la voce di Elena Ricci che si “adegua” e si fa “rabbiosa” e cupa quasi alla Patti Smith. Senza scordare un certo che di psichedelico e gilmouriano.
Di appassionata bellezza il breve strumentale “Aprile”: pianoforte e quartetto d’archi. Un tuffo al cuore.
Magnifica.
Il finale è tutto per la mastodontica “Apeirophobia” che presenta i (molti) pregi e i (pochi) difetti di ogni grande suite. Una varietà di temi, di stili, di situazioni che ripercorrono e abbracciano idealmente 40 anni di rock. Dallo “space” ( Eloy-Silent cries), al flamenco (?), dagli intermezzi acustici raffinati, ai “riffoni” hard rock, dalle divagazioni strumentali psichedeliche all’etno-rock.
Un melting pot ambizioso risolto molto bene dalla band, che non scade mai nell’autocompiacimento o nell’autocitazione, ma che anzi con così tante idee avrebbe potuto dar vita ad un altro album!!
Un apprezzabile lavoro, dunque, per un gruppo che pare proprio aver raggiunto una piena consapevolezza artistica e che forse meriterebbe un’attenzione maggiore da parte delle etichette italiane specializzate nel settore.
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Valentino Butti
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