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CSABA VEDRES |
Mire megvirrad, Staniwlaski dalok |
X Produkció |
2000 |
UNG |
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Sicuramente il nome di Csaba Vedres si trova impresso in qualche modo nelle fibre cardiache di ogni appassionato, dal momento che č fra i fondatori del gruppo che reputo il simbolo del Prog dell’ultimo ventennio e cioč gli After Crying. Estrazione culturale accademica ma con una forte passione per i classici del Progressive Rock, Csaba č riuscito a disegnare un linguaggio musicale personale, in bilico fra la musica da camera e sinfonica ed il rock, pur non calcando le stesse impronte dei grandi del passato. Dal 1994 Csaba si č trovato costretto, per ragioni personali, a lasciare la sua band e da allora persegue una carriera solistica che č fatta anche di musica per organo, visto che nel 1996 ha conseguito il diploma proprio per questo strumento. I suoi album hanno una profonda ispirazione classica che comunque viene spesso sostenuta da un’anima rock, se non proprio per la forma musicale, almeno per il song-writing fresco e dinamico. Non č affatto difficile riconoscere nella sua musica i frammenti di un insieme musicale che č quello degli After Crying, ridotto qui ad una forma piuttosto essenziale ma pur sempre identificabile. Questo album contiene essenzialmente due gruppi di composizioni, ispirate a racconti e poesie, che occupano uno span temporale che va dal 1992 al 1998: il primo, “Mire megvirrad/Bythe Break of Dawan”, č strato realizzato fra il 1992 ed il 1996 ed il secondo, “Stanislawski dalok/Stanislawski’s Somgs”, fra il 1997 ed il 1998. In aggiunta, a fare da ponte a queste due opere, sono state collocate due piccole composizioni grottesche, “Két groteszk/Two Grotesques”, risalenti invece al 1988. Come abbiamo detto, la veste di questi brani č piuttosto semplice, con la voce familiare di Csaba, cupa e dimessa, che ricordiamo perfettamente dai primi album degli After Crying, che canta sulle sue splendide melodie di piano, da lui stesso create ed eseguite. Occasionalmente viene utilizzato anche un synth Korg e vi č anche l’intervento isolato, in qualche pezzo, di Kristóf Fogolyán al flauto (musicista che ha suonato con gli After Crying nell’album “Overground Music”), di Júlia Gyermán alla voce e di Balázs Winkler (After Crying) alla tromba. Questa musica č un po’ come un albero senza foglie, di cui possiamo apprezzare la bellezza dei rami intricati ma senza altri ornamenti. Da questa elegante semplicitŕ le emozioni sgorgano in maniera potente, grazie ad un song-writing che non facciamo fatica a ricollegare allo splendido “Overground Music”. In effetti troviamo qui un po’ il cuore pulsante, senza altri orpelli, dei primissimi After Crying ed č proprio da ciň che nasce, secondo me, tutta l’empatia con l’ascoltatore. Le sequenze di piano sono assolutamente inebrianti, specialmente quando prendono il volo in mille volute, accelerando e divenendo sempre piů complesse, come nella movimentata “Mire megvirrad”, un gioiellino di undici minuti che sicuramente sarŕ apprezzato anche da chi non ama particolarmente le opere basate essenzialmente sul piano; o come anche in “Csak mész” (il pezzo in cui interviene Balázs Winkler, con splendidi duetti con piano e Synth) che sembra quasi un frammento lasciato fuori proprio dallo splendido “Overground Music”. Di questo album amo particolarmente gli intrecci ma molto belle sono anche le composizioni piů lineari, come la successiva “Misericordia”, abbellita in maniera delicata da un flauto leggiadro. In linea generale la seconda parte del CD, ove campeggia “Stanislawski’s Songs”, č, a parte qualche piccola eccezione, molto piů povera di note e basata complessivamente su visioni semplici e meno vivaci. Le tracce si fanno estremamente corte, fugaci, modeste e basate soprattutto sulle emozioni e su linee melodiche esili ma pur sempre a loro modo affascinanti. Consiglio sicuramente questo album a completamento della discografia degli After Crying dalla quale non riesco bene a disgiungerlo per la comune prospettiva e per una ispirazione condivisa che rivela che in fondo stiamo parlando di aspetti diversi della stessa anima.
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Jessica Attene
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