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MARIA FAUST GROUP |
Warrior horse |
Barefoot Records |
2010 |
EST/DAN |
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Il debutto discografico “Bitchslap Boogie” del 2008 ci aveva fatto conoscere una sassofonista matura e dotata di lunghi artigli che sfoggiava un linguaggio compositivo brillante e decisamente ribelle, seppure allo stesso tempo molto seducente. Maria Faust, estone di nascita ma affinata musicalmente in Danimarca (terra da cui proviene anche il resto della band), sforna un secondo album se possibile ancora più maturo e di carattere, ricco di slanci atavici e primordiali, ma intriso di fascino, mistero e raffinatezza. Questo insieme di sensazioni contrastanti, ma elegantemente mescolate, deriva da una commistione di stili interessante che unisce l’avant-jazz ad elementi cameristici e cupi richiami al folk estone, fragranza quest’ultima che dona un sapore decisamente forte a questa musica, in grado di colpire duro e di avvincere, di stuzzicare l’orecchio fino a rapire completamente l’ascoltatore. Una pregevole esemplificazione di questa complessa sintesi musicale la troviamo, a partire dal titolo, su “Pastorale moderato”, che sfoggia una architettura cameristica (meraviglioso in tal senso il lavoro di Morten Petersen al piano, dagli echi decisamente Stravinskyani) con intarsi folk cupi e grotteschi che si aprono inaspettatamente verso soluzioni ricche di pathos o verso l’anarchia sonora. Un altro meraviglioso dipinto musicale è rappresentato dalla splendida “Kraft”, con il suo lento trascinarsi di suoni profondi che sembrano avanzare come se fossero legati a pesanti catene che pare quasi di udire nei cadenzati rumori metallici che scandiscono il pezzo. Il sax alto di Maria Faust completa l’atmosfera, davvero potente nella sua malinconia che sembra progressivamente stemperarsi in un senso crescente di rabbia, fra le disarmonie delle improvvisazioni, i repentini cambi di umore e quelle che alla fine sembrano quasi urla disperate. Un forte carattere come quello di Maria Faust è senza dubbio esaltato dal magistrale operato della sua orchestra che esibisce una sezione di fiati davvero valida con Tobias Wiklund alla tromba, Lars Greve al sax tenore e al clarinetto e Tormod Holm al sax baritono. E’ incredibile come a momenti elegiaci possano repentinamente sostituirsi improvvisi sfoghi di rabbia, come nella lugubre “Adagio”, sepolcrale e dimessa, pesantemente trascinata ma decisamente seducente, con un finale breve e violento. “Mingus Presto” è sicuramente un titolo molto eloquente nel chiarire alcuni importanti punti di riferimento per questa che, non lo scordiamo, è prima di tutto una jazz-band. Esasperazione e virtuosismo, destrutturazione avanzata, ribellione e maestosità sono intrinsecamente raccolti in questo big bang di suoni. Ad accelerazioni brusche fanno spesso seguito pezzi esasperatamente lenti, come il conclusivo “For all unborn children”. Un album decisamente intenso, con splendide melodie, grande classe, grande tecnica, che sicuramente si sarebbe collocato al vertice della mia classifica personale di quell’anno, se solo mi fossi accorta in tempo della sua uscita che colpevolmente noto con discreto ritardo. Ma c’è sempre un’occasione per rimediare e anche voi lo potreste fare acquistando questo CD che consiglio fortemente.
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Jessica Attene
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