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Seguiti con estremo interesse e sempre con deciso piacere, fin dai loro inizi, ecco che gli October Equus arrivano alla terza uscita. Prima novità è l’approdo alla label italiana Altrock, mai sazia di prodotti di elevato contenuto progressive e avanguardistico. Altra novità, che conferma una certa instabilità della formazione, è l’arrivo di Vasco Trilla, terzo batterista per il terzo disco e del violoncellista Pablo Ortega. Viene invece confermato Francisco Mangas sax e flauto, raddoppiato dall’altra new entry Alfonso Muñoz. In soldoni, il gruppo è fondamentalmente quello del trio “storico” Ontalva, Rodriguez, Pazos, chitarra, tastiere e basso e organo pensante della band spagnola. Nella loro evoluzione stilistica, sempre moltissima coerenza, confermata anche da questo nuovo lavoro che mantiene l’approccio fortemente avanguardistico sperimentale dei due precedenti, ma se ne distacca per tinte e varietà sonora. Quindi, se riassumendo in maniera estremamente sintetica, il primo disco aveva un approccio molto vario per ispirazioni e temi, il secondo era più mirato su una linea RIO canterburyana, questo terzo è decisamente ancorato alla miglior tradizione del RIO, visto nella sua originaria accezione, quella del concepimento da parte di Chris Cutler. Il nuovo concept ci fa ritrovare i temi cari alla band, quindi un nuovo ciclo ispirato ai miti dell’antica Roma. Questa volta tocca ai “Saturnali”, le festività invernali che, dopo sacrifici, orge, mascheramenti e sfilate, terminavano nel solstizio invernale con le “strenne”, i doni fatti per placare le divinità che vagavano rendendo i campi incoltivabili. Il line-up variato e accresciuto, ci porta a zonzo per questi temi mitici, dimostrando, ce ne fosse ancora bisogno, grande capacità tecnica, freschezza compositiva e una invidiabile abilità nel tracciare con compiutezza il percorso tra il concetto musicale generatore e i risultati ottenuti. Si parlava di predominanti elementi RIO, in effetti i 13 brani, per circa 46 minuti complessivi, si presentano con una veste composta di drappi multicolori e multiforme, ma ben centrati su quello che band come Henry Cow e Univers Zero tracciarono nella seconda metà degli anni ’70. Non mancano, vista anche e soprattutto la formazione di base di Ontalva, riferimenti frippiani ma, a differenza di quanto detto, specie per l’album di esordio, qui si raggiunge una grande maturità stilistica e si affina la personalità, determinando un suono che ormai non è più di Tizio o Caio, ma è sempre più decisamente October Equus. Molto coerenti stilisticamente, i brani si aprono e si chiudono rivelando mano a mano i temi cari alla band. Si erge tra gli altri, forse più per differenza stilistica che per reale differenza qualitativa il secondo brano “El furioso despertar del homúnculo neonato”, fortemente intriso di jazz rock henrycowiano, con un utilizzo di ritmiche spezzate e travolgenti, sovrastate da una parte armonica/disarmonica dove chitarra e sax si doppiano in maniera esemplare. L’inserimento del violoncello accresce e indirizza le trame, lambendo, assieme ai fiati, parti cameristiche come nell’opener “Estructuras primitivas en el crepúsculo” o in “Una mirada furtiva en la Noche Saturnal” dove vengono toccati anche temi che sarebbero stati molto cari a Zappa. Come sempre egregio il lavoro di Amanda Pazos al basso, macchina ritmica che riveste un ruolo sempre determinante e, ascoltare “Sutiles ecuaciones vivente”, è un buon esempio del suo ruolo mai secondario. Quasi inutile sottolineare l’apporto di Rodriguez le cui parti soliste svettano per vigore e intelligenza e i cui tappeti sanno rilasciare i giusti fili che permettono ai sax di intrecciarsi in mirabili tessiture. Grazie alla maturità e alla forza espressiva raggiunta dagli October Equus, questo disco, oltre ad essere il vertice qualitativo della band, si pone ancora una volta tra i miei migliori ascolti dell’anno, pertanto, pur rimarcando una decisa complessità di trame e di sviluppi sonori, son qui senz’altro a consigliarlo.
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