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INCHANTO |
Le stanze di Ambra |
Radici Music |
2011 |
ITA |
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E’ strano come un gruppo così, con quindici anni di attività alle spalle e tre album in studio prima di questo, sia rimasto pressoché nascosto alle attente orecchie degli appassionati di musica Prog ed è una grande gioia scoprire che questo tesoro si trovi sepolto non troppo lontano dal posto in cui vivo, nella meravigliosa Val D’Orcia, terra che ha conservato gelosamente i dolci lineamenti della campagna medievale, guadagnandosi per questo il titolo di patrimonio dell’umanità. Gli InChanto sono riusciti a catturare tutto il fascino di queste terre trasformandolo in linfa vitale per le proprie opere che traggono ispirazione dalla musica antica e dal folk europeo ma che sfoggiano un approccio colto ed accademico con squisite contaminazioni sinfoniche. La loro musica conserva quindi l’umiltà della tradizione popolare che viene trasfigurata attraverso una rilettura elegante, ricercata e dal taglio moderno. Come tanti altri gruppi folk prog degli anni Settanta che hanno trovato ampia diffusione soprattutto in Francia, gli InChanto si ispirano al patrimonio tradizionale modificandolo in base ai propri gusti, alle proprie esperienze e alla propria cultura, ottenendo quindi un risultato del tutto nuovo e personale in cui si mescolano tantissimi elementi di derivazione diversa. Il sound è essenzialmente acustico e vengono utilizzati strumenti di varia provenienza temporale e geografica: i flauti dolci, il clarinetto ed il tin whistle di Giampiero Allegro, il violino di Franco Barbucci, la cetra, la chitarra liuto, la chitarra folk e il bodhran di Marco Del Bigo, la ghironda, il dulcimer, lo harmonium e le tastiere di Cesare Guasconi. A questo splendido campionario si aggiungono la voce affascinante e le percussioni di Michela Scarpini ed anche diversi ospiti che suonano tabla, darbouka, uillean pipe (dell’ex Modena City Ramblers Massimo Giuntini) e violoncello. Questo bellissimo album (anche per quanto riguarda la ricchissima confezione corredata da un booklet molto corposo pieno di disegni) ruota attorno ad un concept che trae ispirazione da una leggenda toscana, il mito di Ambra, narrato da Lorenzo il Magnifico nell’omonimo poemetto. Il fiume Ombrone si innamora della bella ninfa Ambra che fa il bagno nelle sue gelide acque. La Dea Diana, vedendo che l’amore non è corrisposto dalla ninfa che fugge, decide di trasformarla infine in roccia cosicché il fiume di inverno possa avvinghiarla con le sue acque ghiacciate. Questa storia così semplice ed agreste viene raccontata con grazia dalla musica e con l’aiuto della voce recitante di Paola Lambardi che lega così alcuni momenti dell’album rafforzandone il filo narrativo. Un po’ come accade per i connazionali Rêverie, con cui trovo diverse affinità (anche per il connubio fra musica e letteratura), la musica degli InChanto non ha un’identità ben definita ma acquista un’impronta universale ed atemporale, nonostante i precisi riferimenti che vi troviamo disseminati. La traccia di apertura, “Notturno D’acque”, viene introdotta da un intreccio di voci recitate e musica dal sapore speziato e quasi orientale ma, proseguendo con l’ascolto, si inseriscono elementi celtici che ricordano gli Iona e poi all’improvviso la ghironda ed il flauto danno il via ad una specie di danza rinascimentale sostenuta da percussioni fluttuanti e contrappuntata da un violino di impronta accademica. Tutti gli elementi si mescolano così in maniera fluida e complessa in suoni eleganti e raffinatamente stratificati ed arrangiati. Enorme cura è riposta in ogni particolare e anche brani in apparenza più semplici, come la successiva ballad “Riflessi d’Ambra”, mostrano bei dettagli da studiare con la lente d’ingrandimento. In questo caso ad attirare maggiormente l’attenzione sono i versi di Raffaele Giannetti interpretati in maniera suadente da Michela Scarpini ed incorniciati da una musica sognante che si adatta perfettamente alla loro aura favolistica. Molto bella è anche l’esile “L’ombra della Luna”, con flauto dolce, chitarra arpeggiata e canto, ma la massima espressività viene raggiunta secondo me quando vengono utilizzati, in forme variamente intrecciate, strumenti dai colori diversi e cito ad esempio “Come un graffito”, la rinascimentale “Punto di Fuga” (che mi ricorda l’abilità dei francesi Menestriers”) o anche “La porta del sogno” che assume una luce quasi psichedelica, forse grazie al cantato ipnotico e quasi sciamanico o forse per il serpeggiare delle tabla. Molto particolare è “Risveglio”, collocato al centro dell’album e basato sui versi originali di “Lorenzo il Magnifico”, che vengono recitati e accompagnati da un substrato sonoro piuttosto avanguardistico anche se realizzato con strumenti antichi. Il disco scorre in maniera piacevole grazie anche al filo conduttore del concept che viene narrato in maniera molto coinvolgente. Se amate il folk prog e la musica antica questo disco, realizzato davvero bene anche sul versante tecnico, potrebbe fare al caso vostro e devo dire che l’uso della nostra lingua (ed i testi, lo ripeto, sono davvero molto belli e suggestivi) rappresenta un valore aggiuntivo che ne accresce il godimento.
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Jessica Attene
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