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TELERGY |
The exodus |
Telergy Records |
2011 |
USA |
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Dietro questo moniker così particolare si cela il polistrumentista e produttore Robert McClung, impegnato nell’arco di quasi un ventennio con bands parecchio differenti tra loro, in cui ha avuto modo di suonare un’ampia gamma di generi musicali, accrescendo così le proprie capacità compositive. Nel 2009 prende la decisione di dedicare tutto sé stesso al prog, cioè quell’espressione artistica che aveva catturato la sua attenzione fin da quando era ragazzino. Raccogliendo le influenze più disparate, che passano soprattutto per l’hard prog ed il progressive metal (senza dimenticare le influenze sinfoniche), dà vita alla “creatura” Telergy, parola che sta ad indicare un particolare stadio telepatico, quando cioè una mente riesce ad influenzarne un’altra a distanza.
Le intenzioni di McClung sono quelle di impegnarsi in concepts prevalentemente storici, che per il loro curioso filone possano essere soggetti ad interpretazioni e studi approfonditi. Per questa opera prima, come suggerisce il titolo stesso, viene preso l’Esodo per eccellenza, cioè quello degli ebrei in terra d’Egitto, con tutte le dolorose realtà ed allegorie poi contenute nei testi sacri. Non vuole questa essere un’operazione di speculazione religiosa ma esclusivamente una particolare indagine storica, che viene resa stuzzicante con quello che è ormai un classico espediente letterario: una storia dentro la storia (tipico della letteratura araba). Una nonna racconta aneddoti al nipote curioso e quando parte la musica di un vecchio grammofono ha inizio il racconto vero e proprio, sulle basi di un interessante prog metal sinfonico. A dir la verità la parte “metallica” è dettata soprattutto dai riff tipici, ma vi è un uso della musica classica che spesso fa andare oltre gli stereotipi. Senza alcun dubbio questi sinfonismi sono la parte migliore dell’album, soprattutto nella prima metà, riuscendo a portare avanti un discorso parecchio scorrevole, nonostante le partiture riguardino un’attitudine piuttosto impegnata. Non bisogna poi pensare che si pecchi di superficialità, perché questa potrebbe essere un’impressione solo apparente, dettata da un ascolto approssimativo. “The exodus”, infatti, va ascoltato con calma, senza tralasciare alcuna sua parte, anche perché i dialoghi tra l’anziana ed il bambino risultano fondamentali, soprattutto nei commenti finali ad ogni storia (ci si esprime con un inglese che, facendo un po’ d’attenzione, permette di comprendere a grosse linee l’intera discussione). Per ottenere in tal senso dei risultati soddisfacenti, il deus ex machina si è avvalso di tutta una serie di collaboratori, abbastanza famosi nei vari ambienti musicali e provenienti da diverse parti del mondo, come il tastierista haitiano Alix Victorin o il flautista jazz israeliano Mattan Klein. Soprattutto l’uso degli strumenti ad arco si dimostra assai sapiente e se la prossima volta ci si vorrà affidare ad un batterista in carne ed ossa (per quanto la batteria elettronica sia programmata abbastanza bene), di sicuro il lavoro apparirà ancora più vivace.
In effetti, nonostante lo “spessore” del sound, sembra che i Telergy si muovano su sentieri che portino più alla meditazione ed alla contemplazione, pur non lesinando virtuosismi, come ad esempio le notevoli linee soliste di basso su un gracidare di rane al’inizio di “Plagues” (riferimento sacro/letterario più chiaro di così…) o gli assoli di chitarra che ricordano il Marty Friedman più neoclassico ed arabeggiante, tutte esecuzioni ad opera di McClung.
Si diceva che forse la prima parte risulta più interessante, in quanto dopo metà album l’attenzione va calando; occhio però alla lunga “Canaan”, dove nel finale c’è un altro ispiratissimo guitar solo. Trai brani viene anche inserita una rilettura di “Is There Anybody Out Here?” a firma Roger Waters e poi alcuni motivi etnici tradizionali, come “Avadim Hayinu”.
Lo stesso compositore ha annunciato di star già lavorando su del nuovo materiale. Chi ama paradossalmente rilassarsi con cose impegnative rese semplici, e di tutto ciò non se ne scandalizza affatto, è fin da ora allertato.
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Michele Merenda
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