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TELERGY |
Hypatia |
Telergy Records |
2015 |
USA |
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Terzo album per il polistrumentista e produttore Robert McClung con la sigla Telergy, proponendo ancora una volta un concept di matrice storica. Come i predecessori, anche qui le tematiche da colossal cinematografico sono in buona parte affidate a lunghe partiture strumentali, eseguite da un nutrito numero di ospiti. Tra un brano e l’altro, le voci dei differenti protagonisti narrano o sottolineano il succedersi degli eventi. Stavolta l’attenzione si è focalizzata su Ipazia, esempio più unico che raro di filosofa nella Storia della Filosofia antica, serioso appannaggio di soli uomini. Vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il 350 ed il 415 d.C., Ipazia era figlia di Teone, cioè il guardiano di quell’immensa biblioteca alessandrina che sarebbe entrata nell’eterno immaginario collettivo per essere stata barbaramente incendiata, privando così il genere umano di un Sapere dal valore incalcolabile. L’uomo avrebbe fatto crescere la ragazza immersa proprio in questa saggezza millenaria, aprendole gli occhi sui prodigiosi mondi dell’Astronomia, della Matematica e della Filosofia. Sarebbe diventata una scolara eccezionale ed un’insegnante brillante, comunicando ai propri discepoli il sapere di pensatori del calibro di Pitagora, Socrate, Platone ed Aristotele. Lo stesso Teone, nell’intestazione del terzo libro riguardante il suo commento al “Sistema matematico di Tolomeo”, scriverà: “Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”. Accusata di essere la confidente del governatore romano Oreste e quindi dei pagani, che miravano a monopolizzare il potere sfruttando sataniche dottrine, venne trucidata e fatta a pezzi da dei monaci copti guidati da Pietro il Lettore che, a quanto pare, vennero a loro volta aizzati dal vescovo Cirillo, scagliando di fatto un durissimo colpo alla figura femminile all’interno di quello che sarebbe diventato il mondo accademico. Per quanto riguarda l’album in questione, molti hanno subito parlato di una delle migliori uscite dell’anno. Beh, considerando che ormai parecchi album prog si attestano sul medesimo livello di appariscente aurea mediocritas, magari potrebbe anche essere vero. La musica è molto sinfonica, ben prodotta, e forse dà il meglio di sé nelle iniziali “Astronomer” e “Philosopher”. Qualcosa che si rifà sicuramente alle fughe dei Kansas (non a caso c’è anche il violinista David Ragsdale; che sia il suo violino quello che si sente nel bell’intermezzo di entrambi i brani?!), ma anche alla teatralità di gruppi prog nipponici che hanno reinterpretato gli stilemi della musica colta occidentale, come KBB o The Earth Explorer (T.E.E.), sfociando spesso e volentieri nella durezza dei Savatage più teatrali, con elementi già presenti nella rock opera “Streets” (1991) e poi sviluppati maggiormente su concept del calibro di “Dead winter dead” (1995) e “The wake of Magellan” (1997). Del resto, la presenza di Chris Caffery tra i chitarristi invitati vorrà pur significare qualcosa. E visto che si parla di teatralità, perché non citare i nostrani Rhapsody of Fire (peraltro qui è presente anche il relativo bassista, l’ex Sieges Even Oliver Holwarth …) ed il loro Hollywood metal nelle parti più trionfali suonate da fiati ed archetti? La fortuna è che non si emula il loro martellamento ritmico (se non in alcuni tratti funzionali alla trama) bensì l’attitudine decisamente “eroica”. Vi è anche un uso del flauto tanto oculato quanto azzeccato, così come un approccio al pianoforte (suonato dallo stesso McClung?) simile a quello di Jordan Ruddess. Dopo la più astratta “Mathematician seguono i belli ed esotici strumenti a corda di “Teacher”, per un finale ancora una volta decisamente di marca Savatage, periodo con Al Pitrelli. “The burning of the library of Alexandria” si rifà proprio a quel metal da colonna sonora di cui si parlava prima, terminando con il desolante e sofferente sax di Scott Page, che ad un certo punto sembra letteralmente piangere di dolore sulle fumanti ceneri dello scempio. “Scapegoat” è un assalto all’arma bianca, con le tastiere (presumibilmente) di Oliver Wakeman sugli scudi, per concludere con la capitolazione di “Murder” e la quiete di “Martyr”, chiudendo del tutto con le parole finali di un professore di storia. Il lavoro, nel suo insieme, è stato realizzato con competenza e per buona parte dell’album si sente bella musica, sempre se si amano le sinfonie, magari un po’ “metalizzate”. L’argomento, poi, mette bene in luce la figura storica di chi, influenzata dal pensiero neoplatonico (soprattutto di Plotino), stava pubblicamente tracciando un percorso che consentisse indistintamente ad uomini e donne di congiungere Cielo e Terra senza la mediazione del potere ecclesiastico. Essere riuscita a realizzare ciò, valse ad Ipazia la condanna sia ad una morte tremenda che alla distruzione delle sue opere. Un pensiero che è giunto ai giorni nostri solo a frammenti, grazie al fedele allievo Sinesio. I proventi di quest’album andranno alla Cross Roads House Homeless Shelter di Portsmouth (New Hampshire), che ogni anno sfama centinaia di senzatetto.
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Michele Merenda
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