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UT GRET Radical symmetry UnHeardOf 2011 USA

Dieci anni di lavoro, serio e svolto con competenza e preparazione. Dieci anni per avere un prodotto assolutamente unico intrigante e appassionante come raramente capita di ascoltare.
La proposta di questo combo di Louisville, Kentucky è ricca di fascino. È musica che salta fuori dai ghetti, che si tinge di klezmer, di musica etnica e folk delle più svariate provenienze: araba, balcanica, orientale, mediterranea, su solidissime basi jazz, avanguardistiche, classiche, cameristiche, contemporanee e con una buona dose di prog vagamente rimandabile ai King Crimson, ai The Muffin, agli Happy The Man, ai Cartoon, ai French TV, qualche tocco zeuhliano dal sapore Present, una dose di sano jazz canterburyano che riporta alla mente soprattutto i Gong e, per finire, varie puntate sul quelle forme di RIO dove l’impatto è più diretto e meno contorto.
La presentazione potrebbe già bastare per capire quanto sappia essere piacevole questo “Radical Symmetry”, l’ascolto, minuto dopo minuto, è la conferma di essere al cospetto di un signor disco.
Vista la particolarità della proposta, anche la band e la strumentazione utilizzata seguono schemi piuttosto anomali: moltissimi gli strumenti acustici tradizionali e utilizzati da chi sa esattamente cosa significhi essere polistrumentista. Il tutto consente un eclettismo reale e compiuto, dove nulla è tralasciato e tutto è espresso nel migliore dei modi. Tutti, nella band, hanno grande esperienza: Steve Good ai clarinetti, sassofoni, fagotti e varie percussioni, Joee Conroy per chitarre di ogni sorta, bassi, sitar, bouzouki e viola, Stephen Roberts prevalentemente tastiere, piano, mellotron, ma anche alla tromba, Gregory Acker ancora fiati, flauti, sassofoni, didjeridoo, e varie percussioni, Gary Pahler dietro ai tamburi e alle percussioni. La band si completa con l’utilizzo solo su alcune tracce della bella voce di Dane Waters, degli effetti elettronici di Denny Whalen e del violoncello di James Vaughn.
Credo la parola progressive, usata per dischi come questo, abbia il suo riscontro ideale: il compendio sonoro, le strutture, i concetti che sono alla base stessa degli sviluppi sonori sono esattamente la dimostrazione (quasi in senso matematico) del progressive stesso.
I brani creano bellissimi contrasti sonori, grazie all’unione di tutte le interculture musicali, in più, riescono a convergere in un composito sviluppo il cui filo d’Arianna è sempre ben visibile e stretto tra le mani, così che la trama si possa sviluppare con estrema coerenza e non ceda mai il passo a semplici esercizi di bravura. Gli stessi brani sono molto variabili sia nei temi, sia nella durata che va dal lampo (meno di un minuto) di “Rouse Brown Mouse” uno spiritoso esercizio sonoro tra le corde della chitarra acustica, alla suite avanguardistica di “Infinite Regress” che copre oltre sedici minuti dell’opera, in un tourbillon appassionante e ricco di variabili, tra tempi complessi, figure e temi che si rincorrono in progressioni e regressioni, attorcigliamenti e svolgimenti. Impossibile non citare la forza melodica di “For Viswa” dove il sitar è guida tra sonorità indiane e orientali e momenti di grande liricità. Al pari si svolge “Walk in the garden” nella quale a far da guida diventa il flauto traverso, per non far mancare un solo attimo di dolce melodia. E ancora i temi canterburyani e un po’ folli di “Souvenir City”, quelli maggiormente jazzati, in sapore anni ’50 di “Cobra in a basket”, i disequilibri in 6/8 di “Rule IIO” tra Gong e Zappa. Ma, visto che non c’è neppure un secondo da scartare, mi fermo, altrimenti cito tutto il disco.
Lavoro per me inevitabilmente da selezionare per i migliori dell’anno. Davvero bello, ricco e appassionante.



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Roberto Vanali

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