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XII ALFONSO Charles Darwin autoprod. 2012 FRA

52 pezzi (22 cantati e 30 strumentali) divisi in tre CD per oltre tre ore di musica, una splendida confezione con copertina rigida ed un booklet di 76 pagine a colori, 50 musicisti ospiti, una grandissima varietà di strumenti musicali, alcuni dei quali davvero insoliti (meticolosamente catalogati nel libretto di accompagnamento, con tanto di foto per ognuno di questi), un concept basato sulla vita e sul lavoro di Charles Darwin… sembra quasi il trailer di un colossal e in effetti i XII Alfonso hanno fatto davvero le cose in grande, nonostante la scomparsa in corso d’opera, nel Settembre 2011, di un elemento importante della band, il batterista Thierry Moreno al quale questo album è dedicato. In due anni di meticoloso lavoro il gruppo si è messo sulle tracce di Charles Darwin sviscerando e volgendo in musica sia gli aspetti della sua vita privata, sia gli elementi cardine delle sue teorie.
I CD seguono un ordine cronologico partendo dal 1809, anno della sua nascita, fino ad arrivare alla morte, avvenuta nel 1882, dipinta nell’ultima traccia del terzo CD, “Charles Darwin Burial”. Il cuore del primo CD è senza dubbio il viaggio attorno al mondo sul veliero Beagle dove Darwin si era imbarcato come naturalista. Fra le tappe più suggestive troviamo lo stretto di Magellano e la Terra del Fuoco (tracce 14 e 15) i cui paesaggi unici e sorprendenti sembrano accendersi davanti ai nostri occhi grazie ad una musica descrittiva che, di situazione in situazione, acquisisce connotati etnici diversi. Nel secondo volume sono narrati alcuni episodi di vita familiare, come il matrimonio con Emma Wedgwood (“Emma and Charles”) e la morte della figlioletta all’età di appena dieci anni, ritratta nella splendida “Annie”, magistralmente cantata da Gérard Lenorman su atmosfere che evocano un misto di tenerezza e drammaticità. Il fulcro dell’ultimo CD è invece rappresentato dalla celebre teoria sull’origine delle specie, come bene si intuisce da titoli quali “Descend with Modification”, “Last Human Common Ancestor” o appunto “On the Origine of Species”.
I tanti elementi etnici di varia origine sono utilizzati in maniera molto creativa come a voler sottolineare con tantissimi particolari la ricchezza della natura, vista attraverso il processo evolutivo. Il bellissimo motivo suonato dal pianoforte nella traccia di apertura, “Collection one”, dedicata alla prima collezione di pezzi naturalistici messa insieme da Darwin all’età di appena quattro anni, lo sentiremo ricorrere più volte nel corso dell’opera, con arrangiamenti sempre diversi, ma le canzoni sono tantissime e tutte diverse e nel materiale abbondante questo piccolo filo logico è sicuramente poco per dare la sensazione di unità e consequenzialità. Inevitabilmente l’ascolto dell’opera è laborioso e complesso, da intraprendere senza fretta e da accompagnare rigorosamente alla lettura del ricchissimo book, denso di informazioni. Anche l’impiego di ben nove voci soliste può forse disorientare un po’, fra queste voglio citare quella di “Maggie Reilly” (che ricordiamo nella hit di Mike Oldfield “Moonlight Shadow”) nella graziosa “Earliest Recollections”, che evoca l’infanzia di Darwin, quella della cantante vietnamita Huongh Thanh, che interpreta tre pezzi fra cui la splendida “On the Origine of Species”, imprimendovi un insolito e magico tocco orientale (interessante tra l’altro la scelta di utilizzare la propria lingua di origine), quella di Ronnie Caryl, chitarrista di Phil Collins, che interpreta in coppia con Amy Keys (già corista con numerosi artisti fra cui Phil Collins e Earth Wind & Fire) il dialogo fra Darwin e la moglie Emma in “Emma and Charles”, un pezzo sinfonico romantico molto soft, con intonazioni vocali quasi soul e luminosi richiami folk sul finale.
E’ impossibile citare tutti gli ospiti intervenuti, altrimenti mi ridurrei a fare un lunghissimo elenco ma fra questi voglio mettere in evidenza i tastieristi Mickey Simmonds (Mike Oldfield, Camel, Fish ecc.), che è intervenuto anche in fase di arrangiamento di ben dieci canzoni, e Ton Scherpenzeel (Kayak) che in particolare ha realizzato i maestosi cori di synth di “Mysterious Illness” (traccia 11, disco III), i chitarristi Francis Dunnery degli It Bites, Tim Renweck (che ha lavorato on stage con Pink Floyd, Procol Harum, David Bowie e molti altri), il bassista Mickaël Manring (allievo di Jaco Pastorius) che ha suonato il basso fretless nell’oscura “Vision of the Indian Mound” (traccia 13, disco III), Terry Oldfield e John Hackett (fratelli di Mike e Steve) che suonano il flauto rispettivamente in “The Copley Medal” e nel bellissimo riarrangiamento di un classico tune irlandese, “L.U.C.A.” (o meglio “L.ast hU.man C.ommon A.ncestor”).
L’abbondanza delle parti strumentali rende quest’opera estremamente ariosa, lasciando molto spazio alle atmosfere, ai colori dei suoni, speziati e particolareggiati, grazie all’impiego misurato e sapiente di tanti strumenti di origine diversa provenienti da ogni parte del pianeta, dall’Australia, all’Argentina fino ad approdare nel continente asiatico e in quello africano. Anche le parti cantate non sono mai soffocate dalle parole ma acquisiscono spesso i connotati di ballate romantico-sinfoniche spesso stemperate da nuance pop o soft jazz. Si è cercato insomma di sfruttare al massimo tutti gli ingredienti, tantissimi e varissimi, dando all’opera una forma comunque leggera e mai forzata, cosa senza dubbio non semplice che comporta un grosso lavoro di affinamento, di selezione e grosse capacità di organizzazione e coordinamento. In più di tre ore di musica si respirano atmosfere provenienti da ogni angolo del mondo che rievocano in un modo o nell’altro la bellezza e le particolarità di paesaggi terrestri remoti ed esotici ma il gusto di base è sempre e comunque guidato dal prog romantico che, seppure arricchito di tanti ornamenti e da tante contaminazioni, non risulta mai carico o, come si potrebbe temere, addirittura pacchiano. Più che altro bisogna saper cogliere e scoprire tutti i vari dettagli per poi assaporarli con gusto e senza fretta.
In tantissimi minuti di musica devo però dire che mancano dei veri e propri vertici di pathos e tutte le emozioni sono sempre molto misurate, come quando si osserva una scena da lontano senza mai entrare però nel vivo dell’azione o meglio come attraverso un diario di viaggio di un esploratore che viene letto con passione ma senza prendere parte direttamente ai fatti narrati. Questo può forse far calare un minimo l’attenzione e direi che ascoltare di seguito tutta l’opera può risultare oltremodo stancante o meglio si rischia di perdere più volte il filo del racconto lasciandosi sfuggire tante cose interessanti. Il consiglio è quello di dedicarsi a quest’opera in momenti diversi, proprio come quando leggendo un buon libro si cerca di non divorarlo all’istante ma di centellinarlo in maniera da goderne molto più a lungo e più intensamente. I XII Alfonso hanno puntato in alto, forse più in alto di quanto abbiano fino ad ora osato, il risultato è qui, un compendio di prog moderno a prima vista pretenzioso ma in realtà decisamente fruibile. Non è sicuramente l’evoluzione del nostro genere ma sono sicura che vi darà comunque molto da fare.



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Jessica Attene

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