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SLYCHOSIS |
Fractured eye |
autoprod. |
2012 |
USA |
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La stabilità della line-up non è certo prerogativa degli americani Slychosis. Al 4° album è rimasto il solo leader Gregg Johns (chitarra-tastiere-basso) come comune denominatore della band, ora ridotta a trio, con Tony White (voce-chitarra) e Shannon Goree (batteria). I primi tre album avevano mostrato una formazione in netto progresso compositivo tanto che, nell'immediato futuro, mi aspettavo un grande lavoro per le notevoli e variegate idee che il gruppo, seppur in nuce, aveva avuto modo di sviluppare soprattutto nell'ultimo “Mental Hygiene” del 2010. “Fracured eye” non è l'album “epocale” che auspicavo, ma mostra comunque una ulteriore maturazione del “sound” dei ragazzi americani, che pur rimanendo nell'ambito dell'autoproduzione, migliorano anche per qualità di registrazione del prodotto. Il nuovo cantante, Tony White, parrebbe aver risolto il problema vocalist (una delle pecche delle precedenti release) e già dalle prime due tracce “The Sphinxter” ed “Elements” si fa notare parecchio in positivo. La prima band di paragone che mi sovviene per questi brani è quella dei Pallas prima maniera anche se con meno enfasi ed epicità. Se la ballata “The mariner” ricorda un po' certi Rush (anni ‘80), degne di menzione sono il malinconico strumentale “Elegy for Christy” e soprattutto gli incastri vocali (Echolyn docet?) di “The memory”. Gli ultimi tre pezzi sono altrettanti rivisitazioni di brani presenti nell'album d'esordio omonimo del 2006. L'episodio minore “Dreamscapes 2012” si può genericamente ricondurre agli Yes di “Drama”, mentre “Samuel 2012” mischia il new prog ad un tenue space-rock. “Glass ½ full 2012” (altro strumentale) ricorda anch'esso gli Yes (di “Würm” stavolta). Un album che non ha certamente picchi di assoluto valore ma che conferma una band in continua crescita a cui potrà certamente contribuire una maggiore stabilità di formazione.
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Valentino Butti
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