|
Nel 2012 il nome Echolyn ha un peso molto forte nel mondo del prog. In realtà, lo ha da quasi venti anni, perché nella prima metà dei Nineties il gruppo statunitense ha scritto pagine che possono essere considerate fondamentali per questo mondo di nicchia, ma seguito sempre con entusiasmo dagli appassionati, consolidando e mantenendo ben salda una posizione di rilievo. E’così inevitabile che ogni sua nuova uscita faccia “rumore” e sia attesa con curiosità, ma anche con quel pizzico di preoccupazione, visto che le fantasie scatenate nel 1995 dal contratto con la Sony e dal superlativo “As the world” sono state nel corso del tempo molto affievolite, oltre che dalla mancanza del tanto sperato riscontro commerciale, anche da prove che hanno raccolto in egual misura consensi e critiche. Nel 2012 gli Echolyn si ripresentano con un doppio cd (anche se non ne capiamo esattamente il motivo, considerando che la durata totale è di circa settantaquattro minuti e sarebbe bastato un unico supporto) ed otto composizioni nuove di zecca che mostrano musicisti ispirati ed affiatati, una scintilla creativa nuovamente splendente e strutture ed esecuzioni che si prestano davvero a ben pochi dissensi. Basterebbe l’incipit “Island” a scatenare la passione dei fan, con sedici minuti e mezzo ricchissimi di spunti elettrizzanti. Emerge subito quella capacità di far incrociare alla grande gli strumenti che sparano note a raffica e riaffiora, così, quell’influenza che i vecchi mentori Gentle Giant hanno sempre avuto sul gruppo. Nei primi minuti, grazie agli spumeggianti dialoghi tra tastiere e chitarre, conditi da un sottofondo di archi e su ritmi indiavolati, siamo subito travolti da un vortice di emozioni e nel corso di questa suite non c’è il minimo calo di tensione. Presentazione migliore non ci poteva essere, quindi, per il nuovo parto di Ray Weston, Brett Kull, Paul Ramsey, Tom Hyatt e Chirstopher Buzby, che fanno subito sfoggio del loro enorme talento e di un momento di forma felicissima. Da elogiare anche le accuratissime scelte timbriche, che saranno una costante di tutto il lavoro. A dire il vero, la successiva “Headright” non convince del tutto con melodie non irresistibili ed un andamento senza grossi sussulti. Ma è l’unico episodio che non soddisfa appieno e infatti il resto dell’album scorre che è una meraviglia, con brani dall’ampio respiro, tra stravaganti e riuscite tentazioni di mescolare elegante blues-rock e prog sinfonico (“Locust in Bethlehem” e “Past gravity”) e nuovi ricami gentlegiantiani con rimandi a “As the world” (“Some memorial” e “When Sunday spills”). Degnissima di nota è la conclusione dell’album, affidata a due pezzi da novanta. Innanzitutto c’è “(Speaking in) lampblack”, che è l’episodio più raffinato del lavoro, con quasi undici minuti delicatissimi, che vedono all’inizio protagonisti voce, piano e archi, tra riferimenti classicheggianti ed una forte vena malinconica, poi i crescendo che si susseguono, l’entrata di chitarra e batteria e le melodie immaginifiche non fanno altro che accrescere il romanticismo sinfonico di un vero gioiello che va a candidarsi per un ruolo importante tra le cose più belle scritte dalla band. A chiudere, troviamo invece “The cardinal and I” che in oltre sette minuti ci conduce in quei territori sonori pieni di intrecci strumentali e cambi di tempo e di atmosfera, che fanno venire a galla al meglio le capacità sia tecniche che compositive dei musicisti. Il 2012 del prog segna quindi un ritorno, a distanza di sette anni dal precedente “The end is beautiful”, da assoluti protagonisti per gli Echolyn, che per l’occasione ripagano in pieno tutte quelle aspettative che accompagnano ogni loro passo. Non che nei precedenti lavori mancassero ispirazione e qualità, ma dal gruppo di “Suffocating the bloom” e “As the world” ci si aspetta sempre qualcosa di significativo, il coniglio dal cilindro, la perla di valore… E stavolta la perla è arrivata!
|