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ALBION |
The indefinite state of matter |
Lynx Music |
2012 |
POL |
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Sono passati oramai 18 anni da quando questa band esordì con un album timido, sicuramente acerbo, ma sincero. Della formazione di allora è rimasto (da tempo, ormai) solo il duo formato da Jerzy Antczak (chitarra) e Krzysztof Malec (tastiere), cui si è unita da tempo la vocalist Katarzyna Sobkowicz-Malec; i tre componenti vengono affiancati da tre ospiti che si occupano di basso, batteria e backing vocals. Se la musica che ritroviamo in questa quinta prova in studio è, in linea generale, sempre caratterizzata da un elegante New-Prog, bisogna ammettere che, nel corso degli anni, la musica degli Albion ha perso molte spigolosità ed incertezze degli esordi, dilatando i tempi ed acquistando diversi punti in raffinatezza ed atmosfera. Forse però si è voluto dilatare troppo, tant’è che i sei brani di quest’album, ancorché di durata non elevata (solo due arrivano a toccare i 10 minuti), sembrano talvolta molto annacquati e le poche parti di sostanza, in cui chitarra, cantato o (molto raramente) tastiere prendono il sopravvento spuntano come isole nell’immensità di un oceano in placido movimento. Il brano d’apertura, lo strumentale “Particle of Soul”, ad esempio, comincia a prendere vita dopo un lungo periodo di animazione sospesa, a poco più di un minuto dalla fine dei suoi 10 minuti. Appena il tempo di apprezzare un paio di riff di tastiera e di chitarra e, senza soluzione di continuità (tutti i brani sono legati l’un l’altro), parte il pezzo successivo (When I See the Light”) in cui cominciamo a familiarizzare con la voce di Katarzyna; non si tratta di una voce che rimarrà negli annali delle cantanti femminili, a dire il vero, ma comunque non è sgradevole e possiamo tranquillamente godercela senza brutte sorprese. Le sorprese, belle o brutte, non sono certo dietro l’angolo nel corso di questo disco, per la verità: l’incedere di tutti i brani è tranquillo, con accelerazioni e cambi di tempo ridotti al minimo, come nella canzone successiva “Children’s Rhyme”, caratterizzata da un bel finale in cui la chitarra finalmente si libera delle briglie e scorrazza incontrastata per dar vita un epilogo scoppiettante. Tutto rientra nei canoni con la successiva “Airborne”, un brano che inizia soffuso e cantato quasi sottovoce, come a scusarsi di aver svegliato i vicini poco prima. “Indefinite State” è un brano in bilico tra un blues leggero e un certo feeling floydiano (che, peraltro, percorre un po’ tutta la musica degli Albion) e sfocia nello strumentale “Fear”, anch’esso piuttosto annacquato, a dispetto di un avvio che avrebbe fatto presagire ben altri sviluppi, quasi a voler riproporre specularmente la struttura del brano d’apertura. Questa sesta prova degli Albion in definitiva non è da disprezzare, nonostante alcune critiche che è possibile muovergli; si tratta di un album che scorre tranquillo (anche troppo, come abbiamo visto) e che talvolta riesce a stento a tenere viva l’attenzione ma che comunque si merita la piena sufficienza; forse si tratta addirittura del migliore della loro discografia, per quel che posso dire.
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Alberto Nucci
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