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CORVUS STONE Corvus stone Melodic Revolution Records 2012 FIN/UK

Un album che nasce quasi per caso, grazie a degli incontri anch’essi casuali… su Facebook!
I finlandesi Pasi Kovu (tastiere) e Petri Lemmy Lindström (basso), più il chitarrista inglese Colin Tench, sono tre musicisti con passate esperienze musicali note e meno note al pubblico dei prog fans; tramite i contatti di cui sopra, Kovu chiede a Tench di suonare la chitarra su un brano di sua composizione, intitolato “Iron Pillows”. A lavoro finito, dopo averlo ascoltato, Lindström apprezza e chiede di poter eseguire le parti di basso. Tutto ciò si ripete più o meno anche per altri pezzi, fino a creare questo primo album omonimo, il cui moniker e l’interessante grafica sono stati realizzati da Sonia Mota, ritenuta un componente della band a tutti gli effetti. Dopo aver terminato la stesura dei brani, viene aggiunto il batterista Robert Wolff e, in alcune canzoni, il cantante polistrumentista Blake Carpenter dei Minstrel’s Ghost, che aveva da poco collaborato proprio con Tench.
Il lavoro è stato autenticamente “costruito” con parecchi overdubs, ma riesce comunque a suonare assai live, segno che ci si deve essere molto impegnati a livello di produzione, anche se la batteria è fin troppo “leggera”. I pezzi sono addirittura ventuno, riempiendo tutti e gli ottanta minuti ad oggi disponibili su supporto ottico. Un po’ troppi forse, visto che alla fine si rimane dell’opinione che si sarebbe potuto ridurre il numero a favore di una maggiore concretezza e coesione. Le idee ci sono, sono tante e per la maggior parte appaiono buone, ma nell’ampio arco di durata dell’album si ha un po’ troppo spesso la sensazione che l’hard prog proposto non sia riuscito a concretizzare quanto ci si era proposti all’inizio. La musica contenuta è comunque molto gradevole, si fa ascoltare con assoluta piacevolezza (come “October Sad Song” posta in apertura), fino a far pensare ad un prodotto prog easy listening (suona forse come una bestemmia ai grandi santoni del genere in questione?), capace di essere ascoltato in vari momenti della giornata e magari ampliando l’audience di riferimento. I Corvus Stone rendono al meglio nelle lunghe stesure strumentali e sembra che la parte centrale della release sia quella in cui il gruppo si dimostri più convincente, facendosi esecutore di partiture tanto complesse quanto ben strutturate e bilanciate. Titoli come la lunga title-track, “Moron Season”, “Moustaches in Massachuttes”, la già citata “Iron Pillows” (forse la migliore) ed i dieci minuti cangianti di “Cinema” stanno lì a dimostrarlo, mentre la baroccheggiante “Pilgrims” (bella soprattutto nel finale) ed “After Solstice” avrebbero avuto bisogno di un’ulteriore revisione.
C’è anche un pezzo Zappiano che si intitola “JussiPussi” (rotoli di pane finlandesi…) suonato col chitarrista Stef Flaming dei Murky Red ed un tributo ai Black Widow, “You’re so wrong”, su cui suona John Culley, sei corde proprio dei ‘Widow (ma ci sarebbe potuto benissimo essere chiunque altro!). Colin Tench, dal canto suo, anche se non si lascia purtroppo andare ai medesimi lunghi assoli, in questo contesto ricorda spesso Benny Stanley dei danesi The Old Man & The Sea, rifacendosi così, a sua volta, a Andy Latimer dei Camel e al Carlos Santana più raffinato. Tutti elementi che possono essere ravvisati in “Highway to Emptiness”.
Pare che la creatività di Pasi Kovu viaggi assai spedita, tanto è vero che da questo album è rimasta fuori un bel po’ di musica. Nelle note di copertina ci si tiene a far sapere che sono pronti già cinque brani per la prossima uscita, ma c’è da credere che nel frattempo siano aumentati. L’augurio è di continuare su questa strada di spensieratezza ed allegria, magari sfornando un lavoro che possieda meno brani ma maggiore incisività.



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Michele Merenda

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