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WOLMARI |
Wolmari |
Presence Records |
2019 |
FIN |
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Dietro a questo nuovo monicker si cela una sorta di supergruppo finlandese, composto da Pasi Koivu (tastiere) dei Corvus Stone, Petri Lindstrom (basso), anch’egli dei Corvus Stone ma anche fondatore dei Progeland, e da Matti Kervinen (tastiere, chitarra e voce) dei Pax Romana. Accanto a loro ci sono altri musicisti in qualità di ospiti, anch’essi provenienti da interessanti esperienze musicali come Esa Kotilainen (fisarmonica) dei Wigwam ed Anssi Nykänen (batteria) dalla band di Pekka Pohjola, ed altri come gli esperti vocalist Timo Rautiainen e Hannu Leidén, l’altro ex-Pax Romana Samu Wuori (chitarra) o la giovane sassofonista Sonja Virtanen. L’intento dei nostri si indirizza verso l’ennesima declinazione di Prog sinfonico, scegliendo questa volta di indirizzarsi verso un Prog folk oscuro e vagamente reminiscente di Änglagård e Opeth. Ammetto che alcune delle esperienze pregresse dei musicisti mi facevano un po’ storcere la bocca: ricordo ancora lo scarso entusiasmo provocatomi dall’ascolto dei lavori di Progeland e Pax Romana e quindi in partenza non ero particolarmente fiducioso su questo nuovo progetto. Alla prova effettiva di ascolto devo dire che il primo approccio è stato invece sostanzialmente positivo: abbiamo una musica dai toni piuttosto oscuri, dall’incedere quasi sempre piuttosto cadenzato e raramente sopra le righe, anche se non certo immobile, prevalentemente strumentale, in cui i saltuari inserimenti di fisarmonica e sax donano un sapore particolare all’insieme. La musica, si diceva, è in maggior parte strumentale ma talvolta la roca e cavernosa voce di Leidén o quella quasi gutturale di Rautiainen intervengono ad accrescere il senso di inquietudine donato dalle atmosfere brumose ed incombenti, come un’alba umida ed autunnale in una foresta acquitrinosa nordica. Talvolta si ha l’impressione tuttavia che i temi musicali e le atmosfere siano tirate troppo per le lunghe, sfruttandone in modo eccessivo l’effetto inquietante ed anticipatorio; un brano come “Onkapannu” ad esempio appare come fondamentalmente inutile, costituito com’è da oltre sei minuti di suoni prolungati di tastiere. A conti fatti tuttavia devo ammettere che l’album è piacevole, benché un po’ annacquato, come dicevo; giocato fondamentalmente sulle emozioni e sulle impressioni, esso non vuole compiacere per forza l’ascoltatore ma stimolarne l’immaginazione, magari ricorrendo a qualche passaggio a vuoto e qualche lungaggine ma riuscendo nell’intento di farci trascorrere positivamente 45 minuti.
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Alberto Nucci
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