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PIERPAOLO BIBBÒ Genemesi M. P. Records 2012 ITA

Il progressive rock vive in parte di nostalgia e ricordi, come mostra l’emorragia di reunion di tante band più o meno conosciute e venerate che negli anni Settanta ebbero i propri momenti di gloria, alcune delle quali al periodo avrebbero probabilmente considerato assurda la possibilità, dopo oltre quarant’anni, di realizzare ancora dischi o esibirsi all’estero. Nella bagarre di questi ritorni, spesso pubblicizzati come eventi epocali e caricati di enfasi su social network e forum specializzati, un nuovo album di Pierpaolo Bibbò rischia di passare ingiustamente inosservato, semplicemente perché avulso da qualsiasi logica o intento inquadrabile in quanto appena descritto. Asceso allo status di artista di culto, conosciuto soprattutto dai collezionisti vinilici e sdoganato ad un pubblico più ampio grazie alla ristampa su cd del suo primo e (sino ad ora) unico album, Bibbò in realtà non ha mai chiuso i conti con la musica, riuscendo invece nel corso degli anni a farne la propria attività principale, accumulando esperienza e perizia tecnica che, come vedremo, risulteranno utilissime nella realizzazione del seguito di “Diapason”. Questo seguito ha un legame col suo predecessore principalmente spirituale, ma se ne distacca dal punto di vista musicale, anche se i punti di contatto tra i due lavori, a distanza di oltre trent’anni, non mancano.
“Genemesi” è un disco che suona sorprendentemente fresco e moderno, senza concessioni al passato o tentazioni ruffiane. È fortemente progressivo, anche se non solamente dal punto di vista musicale, con l’autore che ha realizzato pienamente un’evoluzione di stile lontanissima da manierismi di qualunque tipo. Volendo semplificare, si tratta di un disco di rock ricercato, basato su splendide composizioni sapientemente costruite su una struttura di base semplice, arricchite da arrangiamenti curatissimi, variazioni e passaggi strumentali calibrati alla perfezione, con un occhio a timbri elettronici ben calibrati e guidati spesso dal sequencer, e una scelta di suoni che spicca per originalità ed evita i soliti stereotipi progressivi. L’album è realizzato ancora una volta principalmente in solitaria, nello studio personale dell’autore, con pochi ospiti che aggiungono alcuni raffinati interventi strumentali o vocali e la chitarra di Fabio Orecchioni, più presente e determinante, a caratterizzare buona parte dei brani.
Come “Diapason”, “Genemesi” è costruito legando le tracce tra loro, così che l’ascolto acquista pieno senso se consumato nel suo insieme, complice anche la durata non eccessiva. Chi si aspetta di trovare convergenze con il suo illustre predecessore rimarrà spiazzato, a partire dall’assalto sonico di “Il viaggio”, epico incipit dal duro sapore metallico che ad un ascolto attento non mostra niente di rozzo e banale, essendo costruito su raffinate soluzioni strumentali integrate alla perfezione con la furia chitarristica, oltre ad essere melodicamente appagante. Il passaggio alla successiva “Fratello” avviene in maniera naturale, con un arpeggio che introduce al violino di Luca Agnello e a un brano rockeggiante dal riuscitissimo ritornello. “Metastasi d’autunno” si dipana tra atmosfere dure e cupe, per trasformarsi poi in una melodia malinconica che precede quello che probabilmente è il gioiello dell’album, la breve ma intensa “L’osservatore indifferente”, costruita su un crescendo emozionale creato da liriche e voci (con l’aggiunta di quella femminile di Silvia Ciudino, splendida controparte di quella di Bibbò) e un sottofondo strumentale elettronico. “Deus ex machina” è una cavalcata di arpeggi e riff di chitarra studiati per conferire tensione al brano sino al finale liberatorio, mentre “L’urlo del pesce rosso” introduce alla parte finale del lavoro con una bellissima melodia su cui la chitarra solista sembra quasi volare, tanto è sentita l’interpretazione. “Dimmi chi è il tuo Dio” chiude l’album con un’alternanza di parti serrate e malinconiche, tirando anche le fila anche del concept, basato sulle personali riflessioni riguardanti l’esistenza della divinità.
Come descrivere ulteriormente “Genemesi”? La realizzazione tecnica è di prim’ordine, i suoni sono puliti e nitidissimi e ogni strumento è mixato in modo da spiccare chiaramente rispetto agli altri, facendo emergere, soprattutto se si possiede un buon impianto audio, tutti i dettagli degli arrangiamenti, che ad ogni ascolto regalano nuove sorprese. Anche l’esecuzione è da manuale, con Pierpaolo Bibbò che suona la maggior parte degli strumenti dimostrando di avere una tecnica molto funzionale alla musica, e la stessa programmazione della batteria riesce ad evitare qualunque parvenza di freddezza che ci si aspetterebbe dai suoni percussivi sintetici. Ottima anche la voce che pur non raggiungendo le vette di “Diapason”, rimane riconoscibile e dimostra di aver acquisito maturità e capacità interpretativa. Un disco assolutamente da consigliare, in definitiva, realizzato con passione per la musica e con la voglia di fare qualcosa senza avere l’assillo di ottenere a tutti i costi riconoscimenti di alcun tipo, ma che meriterebbe attenzione ben al di là di quella che può offrirgli il, purtroppo, ristretto pubblico appassionato di progressive.



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Nicola Sulas

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